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A riaccendere il dibattito sui cosiddetti prestiti COVID, è la sentenza n. 14874 della Cassazione; questa ha ritenuto ammissibile il sequestro nei confronti di un contribuente che, dopo aver ricevuto un mutuo per l'importo di 340.000 euro, garantito dal Fondo di garanzia a favore delle PMI, finalizzato ad assicurare "liquidità aziendale", destinava 320.000 euro all'estinzione di un precedente mutuo ipotecario della moglie e la restante parte a ripianare il proprio scoperto di conto corrente.
Trattasi dunque dei finanziamenti assistiti dalla garanzia pubblica rilasciata dal Fondo per le piccole e medie imprese previsto dall'art. 13 lett. m) del D.L. n. 23/2020 - Decreto liquidità - le cui finalità erano previsti dalla Legge: sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante necessari per fronteggiare la momentanea carenza di liquidità causata dall'emergenze epidemiologica.
Dunque, nel caso in cui successivamente all'erogazione di un finanziamento assistito dalla garanzia pubblica rilasciata dal Fondo per le piccole e medie imprese, gli importi erogati non vengano destinati alle strette finalità previste normativamente, si configura il reato di malversazione previsto dall'art. 316-bis c.p.. L'articolo del codice penale individuato punisce la condotta di chi, estraneo alla Pubblica Amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, destinati alla realizzazione di una o più finalità, non li destina alle finalità previste.
Dopo aver ripercorso l'evoluzione normativa delle agevolazioni in esame, la Cassazione afferma che la garanzia prestata dal Fondo per le PMI, in quanto diretta espressamente a facilitare l'accesso delle piccole medie imprese al credito, è per sua natura funzionale all'ottenimento di finanziamenti relativi allo svolgimento dell'attività di impresa e non può essere destinato a ripianamento di debiti personali. Sempre secondo la Cassazione in tal senso anche il tenore complessivo del D.L. n. 23/2020, la cui finalità è pur sempre quella di fornire un supporto alle attività imprenditoriali e professionali che hanno subito un danno a seguito dell'emergenza pandemica.
Il finanziamento in esame, pur essendo concesso in favore del beneficiario sulla base di un contratto di diritto privato, è inserito in una cogente disciplina pubblica, in quanto è lo stesso legislatore a qualificare espressamente l'operazione di finanziamento agevolato, realizzata mediante l'intervento del Fondo centrale di garanzia PMI, come una forma di intervento pubblico nell'economia vincolata alla realizzazione dello scopo di sostegno per le imprese in crisi di liquidità per effetto della pandemia.
In conclusione – secondo la Cassazione – pur a fronte dell'ampiezza della finalità della garanzia, che è diretta a consentire il recupero della liquidità venuta meno per effetto dei mancati introiti nel periodo emergenziale, non può per ciò solo ritenersi che la destinazione delle somme mutuate sia irrilevante o, comunque, non circoscritta all'attività professionale.
Già vedo i fruitori di questo contributo iniziare a verificare come si sono spesi le risorse dei finanziamenti covid ricevuti; non affannatevi, il dado è ormai tratto. Non ci resta che attendere ulteriori evoluzioni alternative della giurisprudenza, non mancheranno.
Meditate contribuenti, meditate.
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