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Mentre leggerete, cari amici e colleghi, credo che si stiano svolgendo i funerali del bambino ucciso a Vittoria, Alessio. Morto per mano di un uomo che conduceva una jeep a tutta velocità. In stato di ebbrezza e strafatto di cocaina, almeno secondo quanto dicono le fonti giornalistiche di tutta Italia.
Il primo pensiero a lui, al cuginetto Simone, e ai familiari. Ho appreso di questa vicenda tramite il direttore del portale su cui sto scrivendo, Piero Gurrieri, che nel suo articolo, si è augurato – "per un attimo, d'impeto" – che costui non potesse trovare alcun difensore, neanche un difensore di ufficio, ad assisterlo. In tanti hanno concordato, qualcuno si è stracciato le vesti. Ed io, che non sono nessuno, solo un altro collega, dico la mia. Ciò che penso.
Il tema è il diritto alla difesa e la possibilità per l'avvocato di dire no.
A certe difese oscene. Come questa.
Vi racconto una breve storia.
Faccio il difensore di ufficio. Come tante altre volte. La difesa è al lunedì. Il venerdì mi preparo il processo. Individuo perfino una questione di natura costituzionale. Mi diverto. L'imputato telefona in studio e alla mia richiesta di essere retribuito quale difensore di ufficio mi scarica. Normale. Studio il processo ugualmente. Faccio il mio mestiere. Arriva lunedì. Il giorno più trafelato della settimana. Entro in aula. Mi siedo e aspetto il mio turno. Mi avvicina un soggetto e mi chiede se sia l'avvocato d'ufficio assegnatogli. Si, sono io. Beh, io a lei non do soldi. Manco la conosco, ma chi ti conosce. Bene. Ci prendiamo a male parole. Meglio.
Appena mi chiamano faccio mettere a verbale che non intendo difendere questo individuo per grave inimicizia.
Invoco il famoso giustificato motivo di cui all'art. 97 co. 5 Cpp.
Dico in aula, chiaro e forte, che l'istituto delle difese d'ufficio è sacrosanto – Dio solo sa quante ne abbia sostenuto a gratis senza mai fiatare perchè è il mio dovere (ma è anche un dovere dei difesi retribuirmi) – ma la mia dignità vale anche di più. Almeno per me.
Questo semplicemente per dirvi che anch'io non difenderei mai, mai, un uomo che ammazza un bambino, ne decapita un altro e si allontana scappando.
Perchè esiste un giustificato motivo che è la mia coscienza. Una volta si chiamava obiezione di coscienza. Credo che possa valere ancora oggi, anche per gli avvocati. Credo che – in casi estremi – debba fare aggio anche sul diritto alla difesa. Che per me resta inviolabile. A patto che non sconfini nell'attentato alla vita di due bambini.
I bambini non si toccano. Si lasciano fuori da tutto. E questo ve lo dico da uomo, o almeno da quel poco di uomo che credo di possedere dentro di me.
Nihil humanum alienum a me puto.
Infine. Vi ricordate il processo alle Brigate Rosse del 1978, vi ricordate i brigatisti che decisero di non farsi difendere e minacciarono di morte i difensori che avessero assunto la difesa anche di ufficio? Bene.
Il Presidente Chiusano risolse la questione con un cavillo. I difensori di ufficio avrebbero assunto la difesa esclusivamente per vigilare sulla corretta osservanza delle regole processuali.
Nel nostro caso non mi sarei sentito di fare neanche questo. Avrei chiesto la sostituzione lo stesso.
A costo di farmi processare personalmente.
Questa secondo me è la vera indipendenza dell'avvocato, quella che caratterizza l'avvocatura.
La consapevolezza di dover difendere tutti, ad ogni costo, con la libertà di poter scegliere secondo coscienza. Sempre.
Solo così, mantenendo diritta la nostra coscienza di avvocati, possiamo dirci veramente liberi di invocare un giustificato motivo comunque previsto dal codice.
L'articolo del direttore:
"ALESSIO, SIMONE
Rimango senza parole nel constatare come il destino delle persone possa essere modificato improvvisamente dal corso degli eventi.
Ma una cosa sono le decisioni, un'altra l'essere travolti dalla follia, dal crimine, e rimanere così, io, noi, tutti, immobili di fronte ad una scena indicibile, inumana, straziante.
Ieri sera. Alessio e Simone, due ragazzi come tanti altri, cuginetti, undicenni, giocavano seduti, le spalle rivolte verso l'uscio di casa, su uno scalino del quartiere antico della propria città, Vittoria, estremo lembo a sud della Sicilia, ad un passo dai luoghi fantastici di Montalbano.
Forse, in questa estate torrida che le loro famiglie ricorderanno per sempre, che in un attimo si è presa tutto, risucchiando vita, speranze, giochi, sogni, erano lì perché non potevano permettersi una casa al mare, come altri coetanei. O forse stavano aspettando qualcuno, i loro genitori, altri amici per cenare o giocare. Cominciavano a scendere le ombre della sera, in un tramonto tinto di rosso come accade da queste parti.
Improvvisamente, in un attimo è accaduto tutto. Un fuoristrada lanciato a folle velocità tra le viuzze del centro, una manovra sbagliata, la Jeep che finisce, come una bomba atomica, addosso ai due ragazzi. Maciulla loro le gambe. Uno, Alessio, muore sul colpo, l'altro è in gravissime condizioni. Anche nella migliore delle ipotesi, nulla, proprio nulla sarà per lui come prima.
I bastardi non si fermano, si danno alla fuga lasciando in terra una pozza di sangue e due corpicini. Gli agenti li braccano, individuano Chi era alla guida, lo prendono. Il vigliacco è anche un bel tipo, il figlio di un mafioso locale, uno di quelli, ha scritto ieri Paolo Borrometi, che usano ubriacarsi e farsi di roba prima di andare a commettere un crimine. Il suo nome è Saro Greco, non omettiamo nulla. Chissà se lo era ieri sera.
Che non ci siano sconti e che ci sia il massimo rigore consentito dalla legge nel processare e nel punire il responsabile. Quant'è brutto dirlo per degli avvocati, ma vorremmo per un attimo, d'impeto, che non ci sia un solo Collega sulla faccia della terra che lo assista nemmeno come difensore d'ufficio! Un incidente può capitare, ma cercare il disastro degli altri sfrecciando per le vie della città in preda ai fumi dell'alcool o della droga o dal senso di superiorità e di impunità tipico dei malandrini non è da uomini, ma da bestie. Non le merita Vittoria, la loro città non le merita l'Italia, non le meritiamo noi. Il responsabile sia processato, incarcerato e messo al bando per il resto dei suoi giorni.
E ora, tutti intorno al piccolo Alessio, che non è più tra noi, a a Simone. Che Dio possa salvargli la vita, e dargli ancora forza e tempo per coltivare qualche sogno. Ed intorno ai loro familiari, vittime altrettanto incolpevoli di questo massacro. Ci hanno dato una coltellata, ci hanno colpiti tutti.
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