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"Io non guardavo mai gli esami che dovevo ancora fare, ma ogni volta, per me, era un traguardo l'ESAME DATO.
A quel punto prendevo il libretto o la pagina dell'Università sul sito, e dicevo a mia madre: "Guarda, un altro è andato".
Lei, solo oggi, ad appena due settimane dopo la laurea, mi ha confidato che quando le facevo vedere il libretto lei mi incentivava ma dentro si sentiva morire perché gli esami erano tanti e difficili".
Parole di una lunga lettera di Alice, che è riuscita a laurearsi nonostante la dislessia che le è stata diagnosticata. Una lettera bellissima, che proponiamo ai nostri lettori senza alcun commento. In molte situazioni volere è potere. Alice, in bocca al lupo!
"Ho sempre avuto difficoltà fin dall'inizio. In seconda elementare tutte le sere a cena ero in lacrime perché a scuola non riuscivo a fare le cose, in più mi sentivo inferiore ai miei coetanei perché avevano tutti dei bellissimi voti tranne me (specialmente le mie compagne femmine me lo facevano notare..).In terza elementare ho cambiato scuola perché la maestra di matematica aveva un metodo di insegnamento particolare e io, avendo già delle difficoltà, non riuscivo ad entrare in quei meccanismi per me così astrusi, e preferii cambiare anche perché ogni volta che venivo chiamata alla lavagna facevo sempre brutte figure. Mi sentivo sempre giudicata, nel peggiore dei modi, da tutti.
Nella nuova scuola tutto è continuato, non era un problema di metodo, ma era un mio problema. Vivevo nell'assoluto anonimato, pur sapendo leggere, la maestra di italiano non mi chiamava mai e quando facevo bene un compito, mi chiedevano se l'avessi fatto io...
Ho cominciato così a dedicarmi a quello in cui mi sentivo più portata, il Pianoforte.
Alle medie è stata una tragedia, non andavo bene quasi in nessuna materia, a italiano addirittura non riuscivo a rispondere alle domande riguardo la comprensione del testo, non riuscivo proprio a individuare le risposte dentro a quel testo. Storia e geografia, anche se le studiavo, era come se non facessi nulla, non mi ricordavo le date, non capivo la collocazione del tempo storico, non mi ricordavo le capitali e le città (che dovevo studiare a memoria perché interrogavano alla lavagna su ogni Nazione)
Menomale una soddisfazione c'è stata, in seconda media sono stata ammessa dopo un esame di ammissione, a due conservatori, proprio io, su più di 50 persone.
Questo mi ha dato una carica incredibile per tutto e mi continuavo a dire che allora valevo qualcosa!
Alle superiori, Liceo Pedagogico, finalmente trovo una classe nella norma, dove se prendevi brutti voti non eri né la prima né l'ultima delle persone... andavo a ripetizioni di matematica e inglese continuativamente, e anche se in quel contesto andavo benino, capivo le cose che mi venivano spiegate, a scuola i risultati non li vedevo.
Riguardo alla matematica lo svolgimento dei compiti avveniva in un'ora, quindi tempo ristrettissimo e se anche con le ripetizioni ero riuscita a capire una procedura, durante la prova non la potevo mettere in atto, vuoi per il tempo e vuoi per quei piccoli errori che non mi permettevano di andare avanti, e di cui non mi accorgevo.
Nell'inglese facevo grandissima fatica a ricordarmi i vocaboli e le vicende legate alla letteratura.
A questo punto, ho iniziato a usare una nuova strategia: dicevo ai miei compagni, ogni volta che c'era un compito o una interrogazione, che non avevo studiato, così se prendevo un brutto voto loro sapevano che era per quel motivo. Smisi di dire, come tutte le altre volte, che avevo studiato o che ero andata a ripetizione.. perché percepivo di passare per scema.
In quinta superiore presi una decisione necessaria per poter affrontare l'ultimo anno con l'esame di Stato: ho interrotto al 5* anno di conservatorio perché non riuscivo più a conciliare la scuola, con le sue interrogazioni, simulazioni di esami ecc.. e il conservatorio, 3 volte a settimana, con una prof.ssa che non gliene fregava nulla degli impegni scolastici extra musicali e che non mi ha mai sostenuta e incentivata nel continuare.. quindi dovevo sempre farmi forza, supportata come sempre da mia madre (figura sfondo ma onnipresente).
Finite le superiori, come per tutti gli altri percorsi con grande fatica, mia madre, la quale aveva iniziato a interessarsi e a fare corsi sulla Dislessia, non curante di tutte le persone autorevoli che fino a quel momento le avevano detto di lasciar perdere e non approfondire la mia problematica, decise di portarmi a fare un controllo per capire come mai tanta sofferenza, tanto lavoro, tanto impegno ma con scarsissimi risultati.
Addirittura, giusto per fare un esempio di quanto sfruttassi ogni momento delle giornate scolastiche per avere più tempo per studiare, avevo rinunciato all'insegnamento della religione cattolica. Inoltre, quando i miei compagni "bucavano" a scuola per uno sciopero in corso, io non andavo in giro con loro, ma tornavo a casa, perché così studiavo. Ogni volta che facevo assenze a scuola, non era solo per una presunta malattia, ma perché dovevo studiare e mi serviva più tempo.
Mi è stato più utile il tempo trascorso in casa tra i libri e le spiegazioni su internet, che andare a scuola e seguire le lezioni dei professori.
Quest'ultima cosa a me non serviva perché le loro spiegazioni erano impostate in un modo che non si confacevano con il mio tipo di apprendimento, avevo bisogno di altro, e consideravo il tutto una perdita di tempo.
Così, nell'agosto del 2013, sono stata diagnosticata dislessica e discalculica.
Finalmente, c'era una spiegazione. È stato un conforto per me saperlo, perché mi ha chiarito tanti dubbi, tante insicurezze.
Dopo le superiori volevo andare all'estero per imparare l'inglese perché anche se non mi riusciva, a me piaceva!
Ma, spronata da una collega di mia madre, ho provato con l'università (mia mamma ed io eravamo molto scettiche).
Volevo fare Scienze della Formazione, a numero chiuso, ma non sono entrata (di dislessici al momento non ce ne sono, a detta di una pro.ssa dell'Università, e secondo me, perché l'esame è impostato come le prove Invalsi).
Allora ho provato, nel contempo, Scienze dell'Infanzia (anche qui c'era un esamino di ammissione) e tutto è andato bene.
Ho dato il primo esame frequentando e studiando da sola 5 libri, facendo riassunti ecc.. ma con grande delusione lo bocciai. Da quel momento decisi di non frequentare più e di studiare a casa con l'aiuto di mia madre che ha iniziato a seguirmi in alcune materie per me troppo difficili come filosofia, filosofia morale, diritto...dandomi delle dritte sulle cose importanti da rilevare nei testi letti, facendo riassunti e schemi adeguati.
Da lì, piano piano, con mia grande sorpresa sono riuscita a superare gli esami dati con una media tra il 22 e il 25.
Non sempre andavano tutti bene al primo tentativo, ma io imperterrita continuavo, sfruttando un grande strumento dispensativo, che erano gli appelli assegnati alle categorie dei lavoratori.
Un mio grande impulso mi era dato dal fatto di concentrarmi sui risultati buoni che ottenevo: non guardavo mai gli esami che dovevo ancora fare, ma ogni volta, per me, era un traguardo l'ESAME DATO.
A quel punto prendevo il libretto o la pagina dell'Università sul sito, e dicevo a mia madre: "Guarda, un altro è andato".
Lei, solo oggi, ad appena due settimane dopo la laurea, mi ha confidato che quando le facevo vedere il libretto lei mi incentivava ma dentro si sentiva morire perché gli esami erano tanti e difficili.
Ho affrontato l'università con tantissima determinazione, cosa che ho sempre avuto e che mi ha salvato.
Non ho mai rifiutato un voto, per me tutte le volte che passavo un esame era un 30 e Lode. Così, piano piano (e nemmeno così tanto piano) sono riuscita a laurearmi in tempo, senza andare fuori corso.
Ancora non ci credo.
Come citazione all'inizio della mia tesi, che non per niente trattava i "Disturbi Specifici dell'Apprendimento e problemi nelle relazioni familiari", ho messo questa frase che mi rappresenta.
<<La strada che percorre una persona morale e autonomamente consapevole, spontanea e capace di intimità, non è sempre agevole; ma chi la percorre con il coraggio di riconoscere la propria "vena perdente" e decidendo di cambiarla, costui ha forti probabilità di scoprire di essere nato con tutto ciò che è necessario per vincere.>> M. James, D. Jongeward. Nati per vincere.
Inoltre, questo è quanto dichiaro nel corso della mia introduzione: << ...Ho ritenuto doveroso, poi, affrontare le problematiche relative ai disturbi specifici "quasi dovessi saldare un conto" nei confronti di me stessa. Il tutto generato da un sentimento profondo, che arriva a toccare la sofferenza, una sofferenza inespressa tenuta nascosta agli occhi del mio mondo.
Questi argomenti mi hanno portato indietro negli anni facendomi ripercorrere i momenti significativi del mio apprendimento scolastico.
È stata una ricerca interessante ma al tempo stesso dolorosa, quasi fosse un "percorso terapeutico" perché ho acquisito maggiore conoscenza sul problema e ampia consapevolezza delle molteplici connessioni che intercorrono tra il soggetto in apprendimento, con disturbi specifici, la scuola è la famiglia>>."
Alice Nocchi
Fonte: Racconti di dislessia, Antonio Lo Presti
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