Si tratta dei quesiti sui quali si è intrattenuta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 23348/2016, Sezione Lavoro, depositata il 16 novembre.
L´antefatto
Il caso sottoposto all´attenzione del giudice di legittimità aveva tratto origine dal licenziamento irrogato ad un giornalista il quale, senza essere a ciò autorizzato dal proprio datore di lavoro, aveva accettato l´invito ad intervenire, quale ospite, in trasmissioni di una emittente televisiva concorrente. I Giudici sono stati quindi chiamati ad esprimersi sulla condotta del professionista al fine di valutare la legittimità o meno del licenziamento irrogato.
I Giudici di merito esprimevano il medesimo orientamento, condiviso poi anche dagli Ermellini.
Già in Appello, infatti, veniva confermata la decisione dei giudice di primo grado che, previa conversione da licenziamento per giusta causa in licenziamento disciplinare per giustificato motivo soggettivo, aveva dichiarato legittimo il recesso intimato dalla R.A.I. s.p.a. ad (OMISSIS) a seguito di contestazioni disciplinari inerenti ad alcune partecipazioni del predetto a trasmissioni dell´emittente televisiva concorrente (OMISSIS), una delle quali svoltasi in concomitanza di assenza dal lavoro per malattia ed un´altra allorché risultava in servizio e in possesso di autovettura aziendale.
Da qui il ricorso del giornalista in Cassazione, conclusosi con la conferma della sentenza impugnata.
La decisione
I supremi Giudici hanno evidenziato che le critiche svolte con i motivi di ricorso loro proposto dal ricorrente concernevano non già la verifica in ordine ai criteri ermeneutici di applicazione della clausola generale di cui all´art.1455 c.c., ma, piuttosto, l´accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi ritenuti dai giudici del merito idonei a integrare il giustificato motivo di licenziamento.
Hanno quindi ricordato che la Corte territoriale aveva fondato il proprio giudizio sulla pluralità delle partecipazioni in periodo di tempo breve (meno di un mese), a trasmissioni di impresa giornalistica concorrente nell´ambito regionale, ed al contesto non pluralista di dette trasmissioni. Inoltre, in concomitanza ad una di queste, il lavoratore era assente dal servizio per malattia, e in concomitanza ad un´altra il lavoratore era di turno in redazione.
Dall´insieme dei citati elementi, uniti alla presenza di precedenti disciplinari, ed alla consapevolezza della violazione della clausola disciplinare (dimostrata dalla richiesta di autorizzazione formulata in occasione di altri eventi), legittimamente poteva essere tratta la sussistenza del giustificato motivo di licenziamento secondo i parametri indicati dalla contrattazione collettiva.
Respingendo le doglianze del ricorrente, la Sezione ha aggiunto che la Corte territoriale aveva puntualmente dato conto dei fattori, quali l´elemento intenzionale, che qualificavano la condotta contestata anche in termini di gravità del comportamento e proporzionalità della sanzione.
Da qui, l´impossibilità di esaminare utilmente la critica svolta dal ricorrente, che appariva "rivolta non già verso i criteri di applicazione della clausola generale, ma piuttosto verso la sussunzione, effettuata dai giudici del merito sulla base delle risultanze istruttorie, della situazione di fatto nei parametri indicati dalla clausola medesima", finendo così con "l´investire la valutazione delle risultanze istruttorie sulla cui base è stato formulato il predetto giudizio di sussunzione, proponendo a l Supremo Collegio questioni di mero fatto non esaminabili in sede di legittimità".
La Corte di Cassazione ha quindi rigettato il ricorso del giornalista in quanto "non è mai giudice dei fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa (...OMISSIS) e la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti".
Inoltre, e ad abundantiam, la Corte ha aggiunto che, facendo riferimento tutte le censure alla norma contrattuale collettiva, le stesse erano da ritenersi improcedibili per difetto di autosufficienza, non risultando prodotto per intero il contratto collettivo di riferimento.
Sentenza allegata