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Fëdor Dostoevskij: "Tu non scendesti dalla Croce per non renderci schiavi con un miracolo"

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Fëdor Michajlovič Dostoevskij, noto come Fëdor Dostoevskij (Mosca, 11 novembre 1821 – San Pietroburgo, 9 febbraio 1881), è stato uno scrittore e filosofo russo.

È considerato, insieme a Tolstoj, uno dei più grandi romanzieri e pensatori russi di tutti i tempi. A lui è intitolato il cratere Dostoevskij sulla superficie di Mercurio. Le opere che lo hanno reso maggiormente famoso sono Memorie dal sottosuolo, Delitto e castigo, L'idiota, I demoni e I fratelli Karamazov, e viene considerato un esponente dell'esistenzialismo e dello psicologismo. Egli fu un uomo e un intellettuale spesso contraddittorio. Identificato dapprima come voce della corrente nichilista-populista, Dostoevskij capeggiò poi le file degli intellettuali russi più conservatori di fine Ottocento. Nelle Memorie dalla casa dei morti (1859-1862) fanno capolino i grandi valori della tolleranza religiosa, della libertà dalle prigionie materiali e morali, della indulgenza verso i malfattori, cioè verso coloro che, pur essendosi macchiati di crimini contro la legge, sono in definitiva solamente persone più sfortunate e più infelici, e quindi più amate da Dio, che vuole la salvezza del peccatore e non la sua condanna. Tutto è dunque proiettato verso "la libertà, una nuova vita, la resurrezione dai morti..."

A distanza di vent'anni dalle Memorie, alcuni di questi aspetti caratterizzanti del pensiero del giovane e progressista Dostoevskij si rovesceranno completamente nelle riflessioni severe e conservatrici del Diario di uno scrittore (1873-1881), ossia gli articoli scritti sul Cittadino di intonazione nazionalista e slavofila, e nelle sue pagine di riflessione, dove attacca gli usurai ebrei, difende la Chiesa ortodossa russa come unico vero cristianesimo specie in polemica con la dottrina e la gerarchia della Chiesa cattolica (ne L'idiota definisce il cattolicesimo come "peggiore dell'ateismo" stesso), critica Cavour per il modo in cui ha unito l'Italia (pur riconoscendogli doti diplomatiche) e prende posizione contro il lassismo giudiziario, polemizzando contro i progressisti che, dando la colpa di ogni violenza individuale all'ambiente sociale, chiedevano pene meno severe per gli assassini. Attacca il darwinismo sociale, il materialismo storico e il nascente superomismo (Thomas Carlyle, che ispirerà Nietzsche) già attaccato in Delitto e castigo nella figura del protagonista Raskol'nikov, omicida per un presunto bene superiore, oltre che per l'appunto le sentenze lievi o assolutorie nei confronti delle violenze famigliari sui bambini. L'autore esorta a non assolvere il peccato assieme al peccatore, mantenendo pene severe per i reati gravi, pur dichiarandosi sempre contrario alla pena di morte e pietoso verso le condizioni carcerarie.

Lo scrittore si caratterizza per la sua abilità nel delineare i caratteri morali dei personaggi che appaiono nei suoi romanzi, tra i quali spesso figurano i cosiddetti ribelli, che contrastano con i conservatori dei saldi principi della fede e della tradizione russa. I suoi romanzi sono definibili "policentrici", proprio perché spesso non è dato identificare un vero e proprio protagonista, ma si tratta di identità morali incarnate in figure che si scontrano su di una sorta di palcoscenico dell'anima: l'isolamento e l'aberrazione sociale contro le ipocrisie delle convenzioni imposte dalla vita comunitaria (Memorie dal sottosuolo), la supposta sanità mentale contro la malattia (L'idiota), il socialismo contro lo zarismo (I demoni), la fede contro l'ateismo (I fratelli Karamazov).

Nelle opere di Dostoevskij, come nella sua esistenza, la brama di vivere si scontra con una realtà di sofferenza e si coniuga con una incessante ricerca della verità; egli scrisse: «Nonostante tutte le perdite e le privazioni che ho subito, io amo ardentemente la vita, amo la vita per la vita e, davvero, è come se tuttora io mi accingessi in ogni istante a dar inizio alla mia vita [...] e non riesco tuttora assolutamente a discernere se io mi stia avvicinando a terminare la mia vita o se sia appena sul punto di cominciarla: ecco il tratto fondamentale del mio carattere; ed anche, forse, della realtà.»

L'autore, nei suoi romanzi a differenza che negli articoli e nei saggi, cerca di non lasciar mai trasparire un proprio giudizio definitivo sui personaggi, non giudicarli direttamente, ed è questa una sua peculiarità, che ne pose il pensiero in vivace antagonismo con quello dell'altrettanto contraddittorio Lev Tolstoj. Inoltre, anche Dostoevskij – proprio come Tolstoj, pur se per vie diverse – visse un confronto continuo ed al tempo stesso un rapporto tormentoso e quasi personale con la figura di Cristo, a cui si sentiva tanto legato da affermare:

«Sono un figlio del secolo del dubbio e della miscredenza e so che fin nella tomba continuerò ad arrovellarmi se Dio sia. Eppure se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità.»

In Dostoevskij il "sottosuolo" dell'anima è qualcosa di spaventoso che coincide con l'assolutezza del male. Scrive Giuseppe Gallo: "Sul piano dei contenuti, Dostoevskij traccia la prima implacabile anamnesi della crisi dell'uomo contemporaneo, lacerato da pulsioni contraddittorie e insanabili, privo di certezze e punti di riferimento solidi cui uniformare il proprio comportamento morale. A derivarne è una presa di distanza radicale dal razionalismo illuminista e positivista, alla cui pretesa di ricondurre le leggi della natura all'ordine della ragione lo scrittore contrappone la forza della volontà che non ammette limitazioni".

Dalla lettura di romanzi come quelli libertini del marchese de Sade egli rileva la propensione al sadismo (Sigmund Freud descriverà il grande scrittore come un masochista con tendenze minori sadiche, spesso rivolte però contro sé stesso) e alla sopraffazione del forte sul debole presente nell'umanità (raffigurata poi in diversi personaggi, come il Principe di Umiliati e Offesi, Svidrigajlov di Delitto e castigo e Stavrogin de I demoni, immorali e corrotti, ma destinati poi alla crisi personale e al suicidio), e si convince che solo la fede cristiana possa attenuarla: «una volta ripudiato Cristo, l'intelletto umano può giungere a risultati stupefacenti» poiché «vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L'uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa. Se l'uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti ad un idolo. Siamo tutti idolatri, non atei». Ne I fratelli Karamazov uno dei personaggi, il tormentato Ivàn Karamazov, pronuncia - in un dialogo col fratello Alëša che ha intrapreso la carriera religiosa - la celebre frase:

«Se Dio non esiste, tutto è permesso.»


Dostoevskij è definito "artista del caos" perché i suoi personaggi hanno sempre il carattere dell'eccezionalità e permettono di avanzare in concreto quei problemi (conflitto tra purezza e peccato, tra abbrutimento e bellezza, tra caos – appunto – e senso della vita) che la filosofia discute attraverso termini di puro concetto; sono concetti che Dostoevskij incarna nei personaggi dei propri romanzi: quindi si comprende perché il grande scrittore russo sia reputato a tutti gli effetti non solo un autore di letteratura, ma anche un autore di filosofia contemporanea. In merito ai suoi personaggi, lo stesso Dostoevskij scrive nel Diario di uno scrittore: «Non sapete che moltissime persone sono malate appunto della loro salute, cioè di una smisurata sicurezza della propria normalità, e perciò stesso contagiate da una terribile presunzione, da una incosciente autoammirazione che talvolta arriva addirittura all'infallibilità? […] Questi uomini pieni di salute non sono così sani come credono, ma, al contrario, sono molto malati e debbono curarsi.» dando così risposta a chi lo accusava d'essere interessato a soggetti con manifestazioni morbose della volontà. 

 Nei "Fratelli Karamazov" l'ultima opera, tra le più celebri, il grande scrittore russo Fëdor Dostoevskij (1821-1881) ha dedicato un brano alla morte in croce di Cristo. Essa è garanzia della libertà dell'uomo, chiamato liberamente ad amare ma senza imposizioni.

«Tu non scendesti dalla croce,
quando per schernirti e per provocarti ti gridavano:
"Scendi dalla croce, e crederemo che sei proprio tu!".
Non scendesti perché, anche questa volta,
non volesti rendere schiavo l'uomo con un miracolo,
perché avevi sete
di una fede nata dalla libertà e non dal miracolo.
Avevi sete di amore libero,
e non dei servili entusiasmi dello schiavo
davanti al padrone potente
che lo ha terrorizzato una volta per sempre».

 

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