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Con la sentenza n. 24027 dello scorso 24 agosto, la VI sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per maltrattamenti in famiglia a carico di un uomo che aveva posto in essere continue minacce, aggressioni e violenze ai danni dei figli, giungendo persino a legare una corda intorno al collo del figlio, strattonandolo come fosse un cane e minacciando di ucciderlo.
Si è difatti ritenuto che, a fronte delle reiterate e conclamate condotte violente, non ci fossero gli estremi per la configurabilità del reato di abuso dei mezzi di correzione, posto che nel caso di uso sistematico di violenza fisica e morale, come ordinario trattamento del minore, anche se sorretto da "animus corrigendi", deve escludersi la configurabilità del meno grave delitto previsto dall'art. 571, in quanto non possono essere considerate come aventi finalità educative condotte vessatorie, umilianti e violente.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo accusato dei delitti di maltrattamenti in danno dei figli minori.
In particolare, l'uomo aveva imposto all'intero nucleo familiare un regime di convivenza familiare ispirato alla violenza, espressa con aggressioni fisiche, pestaggi, botte anche a mezzo di arnesi quali fruste e tubo delle capre, con continue minacce di morte, accompagnate da epiteti ingiuriosi e volgari; tale situazione aveva cagionato ai minori un protratto stato di prostrazione.
Per tali fatti, sia il Tribunale che la Corte d'appello di Catanzaro riconoscevano l'uomo colpevole del delitto contestato e, per la ricorrenza delle condotte abusanti e lo stato di prostrazione che ne era derivato, lo condannavano alla pena di quattro anni di reclusione.
A fondamento del giudizio di colpevolezza i giudici valorizzavano le dichiarazioni rese dalla compagna e dai figli minori, i quali raccontavano dettagliatamente i plurimi episodi di violenza. Una violenza emblematica si era estrinsecata allorquando il padre aveva legato una corda intorno al collo del figlio, strattonandolo come fosse un cane; al contempo l'uomo aveva legato una corda al collo della compagna, che difendeva il bambino, minacciando di uccidere entrambi.
Ricorrendo in Cassazione, l'imputato contestava la qualificazione giuridica del reato di cui all'art. 572 c.p. evidenziando come le condotte in danno dei figli erano sussumibili nella diversa fattispecie di cui all'art. 571 c.p., poiché la sua finalità era quella di impartire una buona educazione.
La Cassazione non condivide le doglianze formulate.
Gli Ermellini ricordano che il reato di maltrattamenti è ravvisabile in presenza del compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato; a tal riguardo, non esiste alcuno spazio per la configurabilità del reato di abuso dei mezzi di correzione, a fronte di reiterate e conclamate condotte violente.
Difatti, nel caso di uso sistematico di violenza fisica e morale, come ordinario trattamento del minore affidato, anche se sorretto da "animus corrigendi", deve escludersi la configurabilità del meno grave delitto previsto dall'art. 571 c.p., in quanto la giurisprudenza è granitica nel ritenere che non possono essere considerate come aventi finalità educative condotte vessatorie, umilianti e violente.
Con specifico riferimento al caso di specie, i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi sopra evidenziati: l'imputato, difatti, era solito ricorrere abitualmente a condotte abusanti, provocando per quasi nove anni uno stato di prostrazione nell'intera famiglia; a fronte delle reiterate e conclamate condotte violente, correttamente non si sono visti gli estremi per la configurabilità del reato di abuso dei mezzi di correzione.
In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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