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È contestabile con perizia di parte il valore venale di un’area edificabile in caso di accertamento IMU?

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Riferimenti normativi: Art.5 del D.Lgs.n.504/1992 - Art. 59, lett. G), L.n. 446/1997

Focus: Non tutte le aree edificabili hanno lo stesso valore. Il valore attribuito dal Comune alle aree edificabili per calcolare l'Imu (imposta municipale unica), in un determinato anno di imposta, può non corrispondere in concreto all'esatto valore venale (di mercato) da attribuire alle stesse. Il contribuente può contestare il valore venale attribuito dal Comune con perizia di parte? Sulla questione si è pronunciata la Corte di Cassazione con Ordinanza n.25782 dell'1/9/2022.

Principi generali: L'art.5 del D.Lgs. n.504 del 30/12/1992, riprodotto in larga parte nel testo dell'art.1, comma 746, della L. n.160 del 27/12/2019, disciplina la determinazione della base imponibile, ai fini Imu, di un'area fabbricabile da parte dell'Ufficio Comunale. Secondo tale disposizione per le aree fabbricabili il valore è costituito da quello venale in comune commercio al 1°gennaio dell'anno di imposizione, a far data degli strumenti urbanistici, avendo riguardo: alla zona territoriale di ubicazione, all'indice di edificabilità, alla destinazione d'uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche. 

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n.25782/2022, si è pronunciata nel senso che il contribuente può dimostrare il minor valore dei terreni, stabilito dalla delibera comunale, attraverso la prova contraria raggiunta con la produzione di una perizia di parte. Nel caso di specie, un Comune ha impugnato dinanzi alla Corte di Cassazione la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva respinto l'appello proposto dallo stesso avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale relativa alla valutazione di un'area edificabile sottoposta ad imposizione fiscale (ICI 2011). Con l'unico motivo di ricorso in Cassazione l'ente territoriale ricorrente ha eccepito la violazione e falsa applicazione dell'art. 2 lettera b) del D.Lgs n. 504/92 e dell'art. 36, comma 2, del D.L. n. 223/2006 ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. dei giudici di secondo grado. In particolare, il ricorrente ha evidenziato che la Commissione tributaria regionale ha errato nel prendere in considerazione la perizia della società contribuente, al fine di stabilire il valore venale dell'area edificabile sottoposta ad imposizione fiscale, in luogo dei valori attribuiti con atto regolamentare del Comune.

La Società contribuente, a sua volta, si è difesa con controricorso chiedendo la condanna alle spese del Comune per lite temeraria. La Corte Suprema ha confermato la decisione dei giudici di secondo gradoritenendo che, nonostante la facoltà riconosciuta ai Comuni di determinare il valore delle aree edificabili ai sensi dell'art. 59 lett. G) della L. n. 446 del 1997, " vale la regola, stabilita dall'art. 52 D.Lgs. n. 446 del 1997, secondo la quale il valore delle aree edificabili è quello stabilito nel commercio, per cui il contribuente può dichiarare un valore inferiore a quello stabilito nel regolamento, il comune può ritenerlo congruo, in quanto concretamente corrispondente al valore di mercato, come può accertare un valore maggiore, ed in tal caso l'accertamento deve essere motivato facendo riferimento ai valori di mercato" (Cass. n. 4605/2018). Pertanto, ha ritenuto infondato il ricorso considerato che il valore venale dell'area edificabile può essere pacificamente rideterminato attraverso documentazione idonea a dimostrare la non corrispondenza e adeguatezza degli indici comunali. 

 

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