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"Quando perdi le persone più importanti, vivere è come lottare: quel dolore ha spine enormi". Così Rosalinda ha ricordato, e continuerà a farlo per tutta la vita, suo fratello Salvatore Ottone, trucidato insieme ad un altro innocente, Rosario Salerno, 23 anni fa. L'anno scorso, altre parole, che hanno toccato il cuore: "Se avessi saputo che quello sarebbe stato l'ultimo abbraccio, giuro, avrei stretto più forte".
È il 2 gennaio 1999, a Vittoria ancora si brinda al nuovo anno. Quella sera va in scena l'inferno in terra. Salvatore e Rosario sono due ragazzi perbene, hanno 27 e 28 anni, amano la vita e il calcio. Forse per questo han deciso di brindare in quel bar senza nome, che tutti chiamano Esso, a due passi dallo stadio dei biancorossi. Entrano, c'è il barista, insieme a pochi altri. Angelo Mirabella, Rosario Nobile, Claudio Motta. Ragazzi anche loro, ma altri percorsi, lontanissimi dalla legalità. Un gruppo sfonda la porta, irrompe nel bar con le armi in pugno. Decine, centinaia di pallottole, piombo come grandine. Il barista si butta sotto il bancone, per tutti gli altri non c'è scampo. Muoiono tutti. Il commando si dà alla fuga. Le sirene della polizia, dei carabinieri, le lacrime disperate dei familiari di quei ragazzi. Salvatore e Rosario sono stati ammazzati per caso. Quanto è difficile pronunciare queste parole.
Due bravi ragazzi nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Quando si dice che la vita può essere una roulette. L'obiettivo erano gli altri. Ad ordinare la mattanza due clan rivali della Stidda vittoriese. I loro capi dovevano prendersi Vittoria, la capitale dell'oro rosso, per questa via conquistare anche gli Iblei. soldi, soldi, ed ancora soldi, la vita ridotta a meno di un soldo bucato. Due del clan sono scampati alla strage, ad uno si è rotta la serranda di casa, l'altro lo ha aspettato. Parlano al telefono delle vittime innocenti, Salvatore Ottone e Rosario Salerno, sostengono che anche Emanuele è morto per caso. "Ma che cazzo c' entravano quei tre? Cornuti di merda che sono, se volevano li potevano uccidere (Mirabella e Motta) dove volevano. Non capisco perché hanno fatto questa grande minchiata (la strage, ndr), ancora non l' ho capito, bastardi, bastardi che sono". "C'è mia moglie che è bianca (cadaverica, ndr)", risponde l'altro.
Sono trascorsi più di vent'anni, sono stati condannati tutti, mandanti ed esecutori della strage, l'ultima una sentenza della Cassazione. Anche Vittoria, da quel giorno, è rimasta bianchissima. Si riunisce ogni San Basilio, prega, depone una corona, dei fiori. Libera organizza qualcosa. Lo farà anche quest'anno, ci sarà la Vittoria che vuole cambiare. È passato tanto tempo, molti ragazzi non erano neppure nati, molti non sanno neppure cosa accadde quel 2 gennaio 1999. Rosalinda, e gli altri familiari di quei ragazzi innocenti, ce lo ricordano ogni anno. Parlano alla nostra coscienza, chiedono ancora un ricordo, un abbraccio. Nonostante tutto, continuano a vivere, a resistere, e noi dobbiamo accompagnarli in questo, portando sul cuore la foto dei propri cari.
Sapendo anche un'ultima cosa. Che la mafia è una montagna di merda e il nostro primo nemico.
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