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Dottoressa, giù le mutande. La denuncia choc di Cristiana, aspirante magistrata

Lei, Cristiana Sani, a questo concorso, quello di magistratura, aveva deciso di partecipare perché, come tanti candidati, aspira a fare il magistrato.
Che sia un concorso difficile, lo sanno tutti. Discusso, pure. Ma mai come quest´anno il concorso di magistratura è stato nell´occhio del ciclone. Sembrava fosse bastato il primo infortunio, quello del tema di amministrativo con una traccia di fatto già proposta nella scuola per magistrati diretta dal consigliere Bellomo, che, appena sospeso dal Consiglio di Stato, ha trovato perfino il modo di autocompiacersi pubblicamente che i massimi organi della Giustizia italiana avessero scelto lui, sì, una sentenza di Palazzo Spada da lui scritta come estensore-relatore per valutare l´attitudine professionale nella preparazione degli aspiranti magistrati.
Invece no. Quello che, in queste ore, sta facendo il giro dei principali quotidiani dei social è molto oltre tutto questo e fa veramente rabbrividire.
Il post, nella propria bacheca Facebook è proprio di Cristiana che lo ha scritto e lo ha pure firmato, mettendoci la faccia e mettendo in gioco, a questo punto delle cose, anche un possibile esito favorevole della sua prova.
Sì perché quanto scritto da Cristiana rappresenta una denuncia gravissima. Una denuncia di sistemi di violenza aperta. Di discriminazioni inaccettabili. Di costrizioni incivili a cui sono state soggette, probabilmente, oltre a Cristiana, anche molte candidate. Umiliate ed offese nella loro femminilità. alle quali, senza tanti giri di parole, è stato chiesto di calarsi le mutande. Si, esattamente: calarsi le mutande.
Ecco il post:
"26 gennaio 2018
Titolo: "Dottoressa, si tiri giù le mutande".
Agli scritti del concorso di Magistratura succede che alcune agenti della Polizia penitenziaria decidano improvvisamente (senza alcun indizio e indistintamente) di rinchiudere una concorsista alla volta in un angolo del bagno e perquisirla.
La perquisizione richiede di togliersi la maglia, allentare il reggiseno, calarsi i pantaloni.
E tirarsi giù le mutande.
"Dottoressa, avanti! Si cali le mutande. Ancora più giù, faccia quasi per togliersele e si giri. Cos´è? Ha il ciclo, che non se le vuole tirare giù?!"
Questo è quello che oggi è successo a me e ad altre mie colleghe.
Ed ha solo un nome: VIOLENZA".
Sulla bacheca di scatena la protesta delle Colleghe:
Chiara scrive: "Ti SCONGIURO, per il bene di noi tutte colleghe e future concorsiste, DENUNCIA PENALMENTE quello che ti è accaduto affinchè in futuro queste cose accadano con meno frequenza. Ciò che hai detto, che non ti hanno fatto togliere le scarpe, è assolutamente illuminante sul vero fine della perquisizione. Un giudice lo capirà perfettamente. Ricordo a TUTTI inoltre che ai sensi del codice di procedura penale chi viene perquisito ha diritto di fare assistere una persona di sua fiducia che sia prontamente reperibile".
E un´altra: "E´ fuori dal mondo quello che è accaduto, è pura violenza.... E´ annientare i diritti procedere ad una perquisizione fino alle parti intime senza nessun più che fondato sospetto/motivo. Non esiste una cosa così..... CHI NON DENUNCIA E´ COMPLICE. Esattamente come i magistrati che pur sapendo di reati di altri magistrati chiudono occhi e orecchie perchè sono "colleghi" (e purtroppo ne so qualcosa). Questo atteggiamento, certamente indotto dalla magistratura, doveva trovare un fermo rifiuto delle poliziotte/i ..... C´è un limite invalicabile si chiama libertà e presunzione di innocenza, non puoi procedere ad una perquisizione nelle parti intime così, indiscriminatamente; metti delle telecamere dappertutto, fai girare le guardie in continuazione, controlla ma non oltre. Anche perchè, oltretutto, è un controllo di pulcinella, gli ovuli dove li nascondono? ho detto tutto, non entro nei particolari, ma davanti ad un controllo profondamente IDIOTA come questo, che ha solo il sapore della violenza e dell´abuso di potere, il disonesto lo passa indenne".
Ecco i grandi giornali, Il Secolo, il Giornale.
Su questa seconda testata, l´articolo di Sara Mauri è bellissimo, toccante. Ha (probabilmente) sentito Cristiana, e il racconto si accresce di particolari (e di choc). Ne riportiamo un lungo stralcio:
"La fila è lunga, alcune sono davanti alla porta da 20 minuti, tempo prezioso sottratto al test. L´esame scritto di magistratura richiede studio, concentrazione e costanza. Ed è chiaro che, in caso di necessità fisiologiche, l´obiettivo rimane quello di fare più in fretta possibile. Tuttavia, mentre le ragazze sono in attesa, «arrivano dei poliziotti penitenziari» che invitano le ragazze a recarsi nei bagni esterni.
Ma le ragazze non vogliono perdere il loro posto in fila, perché è quasi il loro turno. E si rifiutano di cambiare servizi. Però, a quel punto, le cose si complicano: uno dei poliziotti va a chiamare due colleghe. Quando arrivano le poliziotte, le cose, stando a quello che scrive Cristiana, iniziano a prendere una brutta piega. «Non vogliono andare fuori che hanno freddo? Lasciatele qui che le riscaldiamo noi», dicono le poliziotte. E iniziano le perquisizioni.
Arriva il turno di Cristiana. Ma lei capisce che qualcosa non funziona: la ragazza che c´è prima di lei esce dal bagno in lacrime. «Io lì per lì, non avevo capito quello che stava succedendo», scrive. Le poliziotte le dicono di mettersi nell´angolo, «nel corridoio, con loro due davanti che mi fanno da paravento per la perquisizione».
E qui, Cristiana scrive, «non mi mettono le mani addosso. Mi fanno tirare su maglia e canotta. Mi fanno slacciare il reggiseno. Poi giù i pantaloni». Ma non finisce qui. «La cosa scioccante è stata quando mi hanno chiesto di tirare giù le mutande». Cristiana non cede. Abbassa di poco l´orlo degli slip. E allora, le poliziotte le dicono «Dottoressa, avanti! Si cali le mutande. Cos´è? Ha il ciclo che non vuole?»
Diteci se dobbiamo continuare a crederci, a questo Concorso.

 

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