È riconosciuta protezione alla donna straniera quando è dimostrato che nello Stato di provenienza non sono previste sanzioni efficaci contro l´uomo.
La sezione VI Civile della Cassazione, con ordinanza n. 12333/17, depositata lo scorso 17 Maggio, ha accolto il ricorso e cassato la sentenza che rigettava la richiesta di protezione in Italia avanzata da una donna marocchina che, fuggita dal proprio paese di origine, era restia a ritornarvi perché vittima di abusi e violenze da parte dell´ex marito.
La "preghiera" della donna veniva respinta in più occasioni, e così dalla Commissione territoriale, dal Tribunale e dalla Corte d´Appello di Roma, e ciò nonostante le appurate violenze di cui la richiedente da anni era vittima anche dopo il divorzio dall´ ex marito, il quale veniva sì punito, ma con una sanzione poco incisiva, quale quella della reclusione con sospensione condizionale della pena. Davanti a uno scenario di tal tipo , l´angoscia e la paura della donna di tornare a subire le medesime torture, una volta rientrata in Marocco, non erano discutibili.
Tuttavia, considerate una serie di elementi, la concessione della protezione internazionale non sembrava attuabile. E precisamente, i giudici, considerato che gli episodi di violenza fossero "confinati nell´ ambito del rapporto con l´ex coniuge", e che lo stato di origine si era comunque attivato, tutelando la donna procedendo sia al divorzio, che alla condanna penale dell´ex marito, non ritenevano di dover intervenire così come la donna aveva richiesto.
Da ultimo l´osservazione su di un dato, e cioè il presunto sostegno che avrebbe avuto dai genitori, avendola questi accompagnata per sporgere denuncia.
Adita la Cassazione, la difesa della donna si incentrava sulla carenza di tutela che il Marocco le aveva fornito.
Infatti, non prevedendo neanche "misure specifiche come l´allontanamento o il divieto di avvicinamento dell´uomo nei confronti della propria moglie", la protezione accordatale, in nessun altro modo poteva essere definita se non insufficiente. Sottolineando che il caso di specie rientrava nella definizione di "violenza domestica", il concreto rischio che la donna, in caso di rientro in patria, avrebbe nuovamente subito un "trattamento inumano e degradante", costituiva requisito in presenza del quale la protezione internazionale doveva essere riconosciuta. Il richiamo alla violenza domestica ha fornito ai supremi giudici lo spiraglio da cui far passare la possibilità di un accoglimento della richiesta di protezione. Difatti, la Convenzione del Consiglio d´Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti della donna, fa rientrare in tale espressione "gli di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all´interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l´autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima". Far rientrare tale condizione nell´ ambito dei "trattamenti inumani e degradanti", non era deduzione inopportuna.
Da ciò ne è derivata l´impossibilità di prescindere da un approfondimento che porti ad "accertare se lo stato marocchino sia in grado di offrire alla vittima una protezione adeguata", in presenza di una minaccia di danno grave proveniente dall´ ex-marito.
Non risultando quindi sufficiente il richiamo a "circostanze non indicative di un´adeguata protezione", accogliendo ricorso e cassando la sentenza, la Cassazione demandava tale approfondimento all´ Appello.
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Messina, nell´anno 2015.