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Dieci mesi per una cartella clinica: la denuncia di un avvocato, la ritorsione di un medico

Il 20 giugno 2017 veniva pubblicato un articolo che ha ottenuto moltissime visualizzazioni, da una testata giornalistica online, che raccontava la lungaggine di un ospedale del sud Italia per il rilascio di una cartella clinica.
Un articolo non urlante, che ha fatto informazione descrivendo un fatto realmente accaduto, che ha raccolto le poche parole dell´avvocato che segue la vicenda, tutt´ora, e che l´ha descritta senza riferimento alcuno, nel pieno rispetto che si deve alle regole deontologiche della professione forense quando si intrecciano a quelle proprie della professione giornalistica.
Nessun nome, nessun riferimento neanche casuale, nessuna traccia, anche solo astratta, che potesse agevolare la individuazione dei protagonisti da ambo le parti, ma solo due cose, fondamentali, sono state sottolineate da quell´articolo: la denuncia che dieci mesi sono davvero troppi per il rilascio di una cartella clinica, e la breve descrizione della normativa, anche recente, relativa ai tempi di rilascio delle cartelle cliniche. Tutto qui.
Cristiana Panebianco, avvocato del Foro di Crotone ma operante in diverse città italiane, ci racconta, non senza amarezza, alcuni degli episodi che, successivamente alla pubblicazione di quell´articolo, ha vissuto.
"Lo dico senza timore ma con amarezza perché fare l´avvocato, oggi, è già roba difficile diversamente da altre iper - tutelate professioni, e a tacer di vari messaggi che ho ricevuto con il sapore della stizza, del rimprovero e della etichetta non edificante, per me, di avvocato alla ricerca di visibilità, nonostante i miei sistematici rifiuti a non pochi inviti in alcuni programmi televisivi. Tuttavia credo e senza mai averlo negato e senza dubbio alcuno, nella informazione e nel dovere di informare rispettando i confini che la deontologia, non solo di tipologia professionale, ma in quelli che, per prima, la mia morale, mi impone, devo dire che la cosa che più mi ha colpita, profondamente colpita, è stato l´episodio che ho vissuto, personalmente, in un reparto dell´ospedale a cui l´articolo che lei citava, fa riferimento".
Vuole raccontarlo?
Convintamente si. Mi trovavo in quel reparto per fare una visita medica e nel corso della visita, ho posto diverse domande al medico, come credo sia normale, in quella circostanza. Mi è stato detto che non dovevo farlo e che, tuttavia, apparteneva alla mia natura caratteriale quella di "prendere le cose con eccessivo pathos," esattamente come avevo fatto con la cartella clinica: lì si è interrotta la mia visita. Una frase secca, totalmente inaspettata e decontestualizzata, anche, devo dire, irrispettosa del mio stato d´animo di "paziente". Mi è stato chiesto perché era stata richiesta la cartella clinica, lo ripeto, un medico ha chiesto ad un avvocato perché è stata richiesta una cartella clinica, mi sono state dette molte inesattezze poi dimostrate tali dai fatti, mi sono state date spiegazioni non richieste. Mi sono trovata in una situazione di estremo disagio.
Era sola?
No.
Che tipo di disagio le ha causato?
Non ho dormito per parecchie notti, e ho ripensato molto a quella circostanza, per tante ragioni. Innanzitutto ho provato la delusione di capire che al medico che avevo dinnanzi, in fondo, importava poco del motivo (di salute) che mi aveva portato lì e, con la capacità di stupirmi che non intendo perdere, ho provato l´amarezza di aver frainteso gesti e attenzioni di premura di cui ero stata resa destinataria, e, soprattutto, l´amarezza di sentire, ancora una volta, l´assenza di un´etica da cui non si può e non si deve mai prescindere: non si può agire con tali modi e non perché io voglia scomodare il vecchio adagio "excusatio non petita, accusatio manifesta", ma ho trovato fuori luogo, se così si può dire, il comportamento del medico che, lo voglio sottolineare, non era assolutamente citato nell´articolo di cui lei ha parlato, così come nessuna menzione è stata mai dedicata a nessun reparto di quell´ospedale, sempre nel medesimo articolo, tantomeno a quello del medico che mi ha visitata.
Come si spiega questo atteggiamento?
Non so dare una spiegazione e credo, comunque, che anche laddove le avessi trovate, non sia questo il luogo adatto per esporle. Posso e vorrei soltanto dire che, a dispetto delle cene dei reparti, delle opinioni dei medici e degli infermieri, delle chiacchiere da corridoio di un ospedale dove, immagino, non si dovrebbe chiacchierare, io continuerò, ogni volta in cui mi troverò dinnanzi ad una situazione da scoprire, ad una ingiustizia da condannare, ad un diritto da difendere, a fare esattamente il mio dovere, quello che il mio mestiere mi impone ovvero servire la verità nel miglior modo possibile.
Se fosse stato al posto del medico, cosa avrebbe fatto?
Nulla. Anche solo per una questione di stile e signorilità, prima che di etica e professionalità. Avrei eseguito l´esame medico in modo asettico, non avrei strumentalizzato una visita medica, a voler essere più chiara.
Oggi quello stesso ospedale è al centro di altre e diverse polemiche. Cosa ne pensa?
Non conoscendo i fatti preferisco non esprimermi anche se, purtroppo, è diffuso costume fare il contrario. Ritengo, tuttavia, che siano il sintomo dell´aria che si respira e del contesto complessivamente considerato.
E´ rammaricata?
Certamente. Il sud ha bisogno di sanità, di competenze, di strutture adeguate, di coscienze: è una terra in emergenza abbandonata, che lancia un SOS costante inascoltato. Una bomba che non fa rumore ed è la mia terra, il luogo in cui sono nata e che non ho mai abbandonato né ho dimenticato nelle mie silenziose battaglie che non necessitano di clamori o telecamere. Alle critiche preferisco rispondere con i fatti perché, appunto, parlare è da tutti, fare (davvero) è per pochi perché, per fare, appunto, è necessario il pathos. Almeno un po´.
Fin qui l´intervista, ai nostri lettori le conclusioni.
In allegato, l´articolo "incriminato"

Cristiana Panebianco, Avvocato e giornalista pubblicista, è nata a Crotone da mamma calabrese e papà siciliano. Svolge le sue professione tra Crotone, Roma e Perugia. Sostiene l´associazione veronese " Amici del pancreas" per la ricerca contro il cancro del pancreas.

 

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