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Di Covid19 e di altro Dopo due anni “Che fare”

rizzo

Due anni, come oggi, mi trovavo in Canton Ticino, Cantone svizzero di lingua italiana, per le mie visite annuali, alle quali non ho mai rinunciato da quando sono andato in pensione.

Rientrato a casa ho cominciato a respirare un'aria nuova. All'orizzonte cominciavano a stagliarsi, tra il dire e il non dire, ombre preoccupanti su qualcosa che stava per arrivare. E nel mese di marzo, di due anni fa, ci si informa che uno stranissimo virus, partito dalla Cina, aveva deciso di compiere un viaggio nel mondo. Ma non in ottanta giorni, come quello di Jules Verne descritto nel suo celebre romanzo pubblicato nel 1872.

Nonostante tutto l'ottimismo, gli scongiuri, le preoccupazioni, le bugie, le mezze bugie, le previsioni, giuste o sbagliate, siamo ancora qui, ritenendoci fortunati a confronto dei milioni di morti falcidiati da questo virus e dalle sue varianti.

Dopo oceani di parole ascoltate e rovesciate dai mezzi massmediologici su increduli cittadini: increduli nel senso che nessuno avrebbe mai pensato che ciò potesse accadere a noi, figli del Terzo millennio, cittadini di un mondo altamente tecnologizzato, che avrebbe dovuto metterci al riparo di qualsiasi "bizzarrìa" della natura. Dimentichi di tutti i danni che proprio noi, alla natura abbiamo provocato. 

 Contro ogni rosea previsione iniziale, dopo due anni ci troviamo a convivere, almeno noi superstiti, con questo viaggiatore, prima solitario ora in compagnia di altri confratelli, e siamo passati dall'ottimismo inziale al catastrofismo presente. Dopo dolorose riflessioni non siamo riusciti bene a trovare punti di convergenza, che possono aiutarci a capire a cosa dobbiamo prepararci per i prossimi anni.

La scienza è stata presa di mira, la stampa viene denunciata per le sue presunte collusioni con i "poteri forti", la politica "ladrona" sta facendo il gioco di Big Farm, che fornisce inutili medicinali e microchip per assoggettare i cittadini e trasformarli in sudditi docili e acquiescenti. Poi ci sono i "paurologi", mi si perdoni il neologismo, che sono in prima linea ad ammannire fortissime dose di paura affinché il cittadino non possa pensare di poter trovare via di scampo o un posto dove andare.

È un quadro, sul serio e sul faceto, che possiamo trovarci sotto gli occhi leggendo giornali e riviste; davanti agli occhi guardando e ascoltando ripetitive serie di talk show trasformati in pollai, dove chi grida di più ha sempre ragione. Nel segno di quel galantuomo di Massimo D'Arzeglio che, stando ai si dice, abbia pronunciato questa frase durante una tumultuosa seduta nel Parlamento dell'Italia Unita.

Intano ci sono scienziati e giornalisti che vivono sotto scorta, manifestazioni tumultuose di chi non vuole vaccinarsi, circa sei milioni di persone. Presidenti di Regioni che dissentono dalle norme decise dal Governo e dal gruppo di scienziati e di medici che studiano i dati che quotidianamente vengono monitorati.

Quando si grida non è facile capire esattamente cosa ci stia succedendo. A che cosa bisogna prepararsi, non dico in un futuro lontano. Ma a partire da domani. Domani lunedì 10 gennaio in cui si sarebbero dovute aprire le scuole, dopo la pausa delle vacanze natalizie. Invece, nonostante le norme governative alcune Regioni apriranno, altre rimarranno chiuse fino al 12 gennaio.

A questo punto, al povero cristiano, che di norma è anche un buon cittadino, viene spontanea la domanda: "Che fare?".

Esiste uno strumento per cercare di capire come e quando ne usciremo?

 Ci sarebbe la nostra Costituzione se, nel frattempo, ognuno non avesse pensato di darne interpretazioni quanto meno fantasiose, con l'avallo di qualche costituzionalista che si pone "fuori dal coro" nel filone di un famoso talk show dove chi grida e chi insulta "alla grande" è convinto di avere sempre ragione.

Ma la nostra Costituzione non impone solo diritti, ma, ahimè, anche doveri. E ognuno di noi sa quanto siamo refrattari ai doveri.

Ma di certo, dal momento che sono previsti tempi lunghi per uscire dal guado, penso ne valga veramente la pena di trovare un "modus viventi" per abbassare i toni, per permettere che gli scienziati facciano il loro lavoro e che i cittadini si abituino al rispetto dei diritti e dei doveri. E, soprattutto, che la politica capisca che non si possa pensare, solo ed esclusivamente, ai propri bisogni personali e a quelle delle numerose congreghe che foraggiano.

Della politica dobbiamo trovare linfa in quei personaggi che l'hanno onorata in tempi più bui dei nostri dove esistevano guerre e pestilenze. Pensiamo alla Prima guerra mondiale e alla Spagnola che ha mietute 90 milioni di vittime in tutto il mondo e altri 20 milioni durante la guerra.

Eppure i nostri nonni e le nostre nonne ne uscirono. Malconci, ma ne uscirono.

Pensiamo alla Seconda guerra mondiale, al nostro Paese devastato da vent'anni di dittatura e spaventato da un'immane lavoro di ricostruzione. Eppure i nostri padri e le nostre madri ci riuscirono.

Ora tocca a noi. Pensate che possiamo ancora restare a guardare chi "grida più forte?".

Leggete cosa scriveva don Luigi Sturzo, in anni non certo facili, lui che era stato costretto dal fascismo a lasciare il Paese ed emigrare negli Stati Uniti d'America: "… quale la rotta dell'Italia? Uomini di poca fede, perché dubitate? Cercate di vincere lottando e non di perdere lamentandovi, fate ciascuno il vostro dovere e non continuate a questionare fra voi per chi deve primeggiare sugli altri… Solo chi confida nel Signore potrà superare il proprio orgoglio; solo chi sacrifica se stesso per gli altri vince anche perdendo, solo trionfa chi alla menzogna preferisce la verità; all'egoismo l'amore".

 

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