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Cento anni fa la “Spagnola”. Da 50 a 100 milioni di vittime

rizzo

 Oggi chiedere ad un giovane se abbia mai sentito parlare della "Spagnola", rischieremmo di sentire risposte quanto meno bizzarre. E non per colpa loro, o della scuola, o dei "poteri forti"!

Ma per la contestualizzazione del termine "Spagnola" e nei modi in cui si verificò: dall'autunno del 1918 al mese di dicembre del 1919. Un momento in cui la Prima guerra mondiale volgeva al termine e che proprio in quei momenti i soldati, provenienti da tutte le parti del mondo, morivano non tanto nei campi di battaglia, quanto in appositi locali distanti dalle truppe, una specie di lazzaretti, in cui si moriva senza un evidente "perché"!

La "Spagnola" è un virus influenzale del tipo A e sottotipo H1N1. Un virus influenzale che, nello spazio di uno o più giorni, aggrediva le persone, giovani, soprattutto, senza lasciare vie di scampo.

I comandi e i medici militari al fronte, non riuscendo ad avere informazioni né certe né approssimative sul fenomeno, decisero di costruire una cortina di silenzio attorno al fenomeno imprevisto, quanto imprevedibile.

Dai fronti di battaglia non uscivano informazioni e la stampa, un po' perché ignara un po' per amor di patria, manteneva il più assoluto silenzio.

E, contrariamente a quanto si potrebbe essere portati a pensare, i primi casi di "Spagnola" non si ebbero in Spagna. Ma dalla Spagna uscirono le prime notizie su questa influenza, che decimava a migliaia e migliaia i giovani soldati, in quanto non essendo in guerra, c'era nel Paese una vigilanza più blanda sulle notizie di stampa.

 Alcuni titoli di giornali informavano che in Spagna: "Una strana forma di malattia a carattere epidemico è comparsa a Madrid. L'epidemia è di natura benigna non essendo risultata mortale".

Alcuni mesi dopo, l'epidemia si manifesta in altri Paesi europei.

A guerra conclusa, essendo stati toccati da questa influenza tutti i Paesi del mondo, chi più chi meno, si decide di ignorare il fenomeno, di rimuoverlo. Ed è questo, uno dei motivi, per cui difficilmente troviamo nei libri di storia un capitolo, un accenno, una nota sulla "Spagnola".

Solo recentemente sono stati pubblicati ricerche, testi, libri che ricordino il flagello prodotto dalla "Spagnola" dal 1918 al 1920.

I decessi stimati variano dai 50 ai 100 milioni di morti e le persone infettate furono oltre 500 milioni.

Ogni Paesi, da quelli più vicini a quelli più lontani: ai Paesi dell'Africa, dell'Asia, dall'Oceano Pacifico a quelli del Mar Glaciale Artico e dei villaggi dell'Alaska, ebbero il loro numero di morti a causa della "Spagnola".

L'approssimazione del numero delle vittime è dovuta al fatto che in quell'epoca non esisteva l'obbligatorietà di reciproca informazione sui disastri di epidemie di origine sanitaria.

La storiografia contemporanea, nell'affrontare la difficile ricostruzione di questa "inedita" e complessa problematica sanitaria, affronta le varie pestilenze, catastrofe, situazioni di grandi disagi umanitari che, comunque hanno causato delle morti, che per numero e situazioni, sono andate ad infittire i canoni delle tragedie umane.

 E pensiamo cosa utile tener presente che nei secoli passati, per esempio, le pestilenze erano ricorrenti e anche in periodi l'uno vicino agli altri. Contrariamente ai nostri giorni che, nel bene come nel male, abbiamo i tanti "vituperati vaccini".

Tanto erano i motivi: dalla povertà alla malnutrizione, tra le diverse classi sociali, alla mancanza delle elementari forme di igiene…!

C'è chi ha cominciato con l'origine della storia dell'uomo, identificata con la tradizione religiosa, con il libro dei libri, la Bibbia, partendo dalla Genesi, VI-VIII.E' il caso del "cronista" Matteo Villani (Firenze inizio 1300 -1363), morto di peste, autore con il fratello Giovanni, anche egli morto di peste nel 1348, della "Cronica": 11 libri che si occuparono sia delle vicende sia delle situazioni che a Firenze si erano verificate prima dell'arrivo, 1348, della "peste nera" che uccise un terzo della popolazione europea.

Matteo Villani interpreta <<…la peste secondo la concezione religiosa tradizionale: come i diluvi, le carestie e altri mali; essa è una delle punizioni che Dio infligge agli uomini per i loro peccati>>.

E' una visione che, ancora oggi e nonostante siano passati oltre sette secoli, "non vuole passare". Una visione che ogni tanto ritorna implacabile, da parte dell'ortodossia, a volte di comodo, per rimettere, quando non combattere, ogni diritto acquisito che riguarda la Comunità civile. E questi nostri tempi attuali, e non solo in Italia, dovrebbero renderci più vigili a tutti quei "cambiamenti" che si vogliono apportare in nome del "Popolo".

Giovanni Boccaccio (Firenze 1313 – Certaldo 1375), contemporaneo dei fratelli Villani, affronta la "Peste di Firenze" nella sua opera maggiore: il "Decamerone", composta tra il 1349 e il 1353, ma in una forma, che oggi potremmo definire, laica. Non tiene presente la concezione religiosa, anche perché è già nell'aria una ripresa delle attività umane in una Città, Firenze, dalla voglia sfrenata di tornare a vivere.Giovanni Boccaccio non si occupa della cronaca degli anni trascorsi, se non come punto di partenza da cui ripartire per gli anni che verranno.

Ma quali erano i comportamenti dei cittadini in questi giorni di grande drammaticità.

Se si ha memoria della "Colonna infame" di Alessandro Manzoni, che affronta la Peste del 1630, può avere contezza delle situazioni drammatiche, della fine degli "untori", innocenti capri espiatori, del sospetto, dell'odio e della diffidenza che modificò ogni regola del vivere civile.

Ma gli "untori" erano quelli che pagavano maggiormente le follie delle sentenze.

"Quell'infernale sentenza portava che, messi sur un carro, fossero condotti al luogo del supplizio; tanagliati con ferro rovente, per la strada; tagliata loro la mano destra, davanti alla bottega del Mora; spezzate l'ossa con la rota, e in quella intrecciati vivi, e alzati da terra; dopo sei ore, scannati; bruciati i cadaveri, e le cenere buttate nel fiume; demolita la casa del Mora; sullo spazio di quella, eretta una colonna che si chiamasse infame…", Alessandro Manzoni, "Storia della colona infame", Meridiani Mondadori, secondo tomo pag. 859.

Un inno alla cultura del rancore, del sospetto, dell'odio.

 

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