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La Sentenza Penale Sez.1 n. 44583/2021 statuisce sul ricorso proposto da G.D. avverso l'ordinanza del Tribunale di Palmi, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione e letta la requisitoria del Pubblico Ministero, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Si ritiene in fatto che, con la sentenza citata il GIP del Tribunale di Palmi avrebbe applicato nei confronti di G.D. la pena di 2 mesi e 20 giorni di arresto e relativa ammenda, successivamente convertita in giorni di lavoro di pubblica utilità. Divenuta irrevocabile la pronuncia nel 2019, il Pm ha chiesto al Giudice dell'esecuzione di determinare le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità. Nel 2020 poi, il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale citato, ha disposto che l'esecuzione della pena di lavori di pubblica utilità venisse eseguita attraverso svolgimento, in determinati giorni e a già stabiliti orari, presso il Centro Antiviolenza per donne e minori A.M.C. In particolare, G.D. ne ha proposto ricorso per Cassazione avverso il provvedimento citato per mezzo del suo avvocato, deducendone con unico motivo di impugnazione, enunciato nei limiti necessari per la motivazione ex art. 173 disp. Att. Cod. proc. Pen., la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 186 D. Lgs. n. 285/1992 e 54, comma 2, D. Lgs. n. 274/2000.
Il ricorso evidenzia che l'ordinanza impugnata è erronea nel computo dei giorni e nella determinazione della durata della pena, superando di gran lunga i sei mesi consentiti per espletare i lavori di pubblica utilità: in tal modo, sarebbe stato violato l'art. 54, comma 2, D. Lgs. n. 274/2000. Nel 2021 perviene in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore Generale, con cui si richiede la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Ciò posto e considerato in diritto, il ricorso risulta essere manifestamente infondato e dev'esser dichiarato inammissibile. In particolar modo, l'art. 54, comma 2, D. Lgs. n. 274/2000 stabilisce che i lavori di pubblica utilità non possono avere una durata inferiore a dieci giorni, né superiore a 6 mesi. Tale disposizione generale viene derogata dall' art. 186, comma 9-bis, D. Lgs. n. 285/1992, in base al quale si ritiene che il lavoro di pubblica utilità ha una durata che corrisponde a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria. Ne consegue che è fondamentale, ai fini della valutazione dell'avvenuto rispetto del termine massimo indicato, verificare se al caso in esame sia da applicare la disciplina generale o quella in deroga citata.
A prescindere dal fatto che la difesa abbia omesso di indicare il reato per cui è stata pronunciata la condanna e operata la conversione, si deve riconoscere che è la stessa ordinanza impugnata a richiamare, basandosi sul presupposto della sua applicabilità al caso in esame, l'art. 186, comma 9-bis , D. Lgs. n. 285/1992. Sotto la previsione della disposizione derogatoria , il lavoro di pubblica utilità è stato disposto con una durata corrispondente a quella della pena detentiva applicata e che se tale durata fosse stata eccedente rispetto ai limiti temporali stabiliti dall' art. 54, comma 2, D. Lgs.
n. 274/2000, essa risultava essere del tutto rispettosa della previsione derogatoria contenuta nel citato art. 186. Sulla base di queste considerazioni addotte, il ricorso deve esser dichiarato inammissibile, poiché manifestamente infondato. Alla luce della Sentenza del 2000 proposta dalla Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi tali da ritenere che la parte ha proposto ricorso senza versare in colpa nel determinare la causa di inammissibilità, alla stessa declaratoria di inammissibilità consegue l'onere delle spese processuali e del versamento della somma in favore della Cassa delle Ammende, a norma dell' art. 616 Cod. Proc. Pen. Per i suddetti motivi, si dichiara inammissibile il ricorso e si condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e relativa somma in Euro pro Cassa Ammende. E' stato così deciso ad Ottobre 2021.
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Mi chiamo Cecilia Colletta, ho studiato Giurisprudenza presso l' Università di Bari, quivi laureandomi nell' aprile del 2019 con una tesi in Diritto Processuale Penale. Ad ottobre dello stesso anno, grazie ad una Borsa di Studio regionale, ho avuto l'onore e la possibilità di specializzarmi in "Legal Management e Diritto d' Impresa" presso la Lum School of Management, importante e all'avanguardia realtà accademica del Meridione. È qui che la mia preparazione di Giurista ha potuto completarsi a tutto tondo, dandomi la possibilità di aprire una finestra sul mondo dell' Economia e dell' Impresa. Questa formazione mi è servita moltissimo, ho potuto familiarizzare con contesti, tematiche, ambiti nuovi, di frontiera, estremamente attuali e in linea con le esigenze del mercato. Sono una persona estremamente precisa, volenterosa e concreta, amo il diritto e amo scrivere : è da queste mie grandi passioni che ho deciso di partire per cercare di trasmettere - ripercorrendo le mie conoscenze accademiche - il mio sapere Giuridico a chi condivide con me la medesima passione per Legge e Giustizia. I miei lavori non hanno la pretesa né la presunzione di rivolgersi ad un pubblico di colti e raffinati Giuristi, al contrario - ahimè - si rivolgono a principianti del diritto come me! Però è bellissimo condividere le medesime passioni e da qualche parte bisogna pur iniziare : e allora, io inizio!