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Danno non patrimoniale, lavoratore tenuto a provarlo in giudizio

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 1185/17 depositata in data 18 gennaio.
I Supremi Giudici hanno avuto modo di precisare che il danno non patrimoniale è risarcibile solo ove sussista da parte del richiedente la allegazione degli elementi di fatto dai quali desumere l´esistenza e l´entità del pregiudizio; in particolare tale onere di allegazione va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche, perché il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi in re ipsa, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici.
Antefatto
Con sentenza depositata il 3.10.2013 la Corte di appello di Milano rigettava il gravame interposto da un lavoratrice avverso le sentenze del Tribunale di Milano con le quali era stata accolta la domanda di pagamento del trattamento di fine rapporto e rigettate, invece, le domande dalla stessa proposte - aventi ad oggetto la condanna della datrice di lavoro al risarcimento dei danni subiti per la perdita della quota di pensione dovuta al mancato versamento tempestivo di alcuni contributi previdenziali, e al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguiti dalle condotte mobbizzanti subite.
La Corte di appello riteneva, con riguardo alla domanda relativa al danno da mobbing, e non potendosi riconoscere un danno in re ipsa, la correttezza della statuizione del giudice di "prime cure" che aveva rilevato la carenza di allegazioni specifiche circa il pregiudizio derivante dal preteso comportamento persecutorio dell´azienda, ed aggiungeva che neppure erano stati forniti elementi da cui eventualmente trarre presunzioni.
Per la cassazione di tale sentenza la lavoratrice aveva proposto ricorso .

Motivi della decisione

La Suprema Corte ha rigettato i motivi di ricorso riguardanti il mancato riconoscimento dei danni non patrimoniali da mobbing ,precisando che il ristoro del danno non patrimoniale determinato dal comportamento ostruzionistico da parte del datore di lavoro, può essere accordato al lavoratore purché sia allegata e provata la concreta lesione in termini di violazione dell´integrità psico-fisica ovvero di nocumento delle generali condizioni di vita personali e sociali, e a tal fine non è sufficiente il generico riferimento allo "stress" conseguente alla suddetta condotta, posto che esso si risolve nell´affermazione di un danno in re ipsa .
In particolare, sottolineando che il danno non patrimoniale è configurabile ogni qualvolta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i diritti della persona del lavoratore, concretizzando un vulnus ad interessi oggetto di copertura costituzionale; questi ultimi, non essendo regolati ex ante da norme di legge, per essere suscettibili di tutela risarcitoria dovranno essere individuati, caso per caso, dal giudice del merito, il quale, senza duplicare il risarcimento, dovrà discriminare i meri pregiudizi - concretizzatisi in disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili - dai danni che vanno risarciti, mediante una valutazione supportata da una motivazione congrua, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi giuridici applicabili alla materia, sottratta, come tale, anche quanto alla quantificazione del danno, a qualsiasi censura in sede di legittimità .
In particolare in materia di risarcimento danni, in caso di lesione di un diritto fondamentale della persona, la regola, secondo la quale il risarcimento deve ristorare interamente il danno subito, impone di tenere conto dell´insieme dei pregiudizi sofferti, ivi compresi quelli esistenziali, purché sia provata nel giudizio l´autonomia e la distinzione degli stessi, dovendo il giudice, a tal fine, provvedere all´integrale riparazione secondo un criterio di personalizzazione del danno, che, escluso ogni meccanismo semplificato di liquidazione di tipo automatico, tenga conto, pur nell´ambito di criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e della gravità della lesione e, dunque, delle particolarità del caso concreto e della reale entità del danno.
Infine viene evidenziata dai Giudici di Piazza Cavour come l´"onus probandi", seppure possa essere adempiuto tramite presunzioni, necessita sempre e comunque di elementi gravi precisi e concordanti non ravvisabili nella vicenda in questione.
Alla luce di quanto detto, i Giudici hanno rigettato il ricorso promosso dalla lavoratrice.
Si allega sentenza.







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