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Contratti di durata e sopravvenienze atipiche: quali azioni esperire per tutelarsi?

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Riferimenti normativi: Artt.1467 - 2932 cod. civ.

Focus: Nei contratti di durata, quali ad esempio quelli di appalto, locazione, mutuo, trasporto, l'equilibrio contrattuale tra le parti può subire un pregiudizio a causa del verificarsi di sopravvenienze imprevedibili, atipiche o non codificate. Tali sono tutte quelle circostanze che, intervenendo dopo la conclusione del contratto e prima della sua completa attuazione, mutano il contesto in cui il contratto è stato concluso e rischiano di pregiudicare gli interessi di una parte del contratto che, a causa delle sopravvenienze, non può più ottenere la controprestazione. Chi, tra i due contraenti deve sopportare il rischio connesso al verificarsi di circostanze sopravvenute durante l'esecuzione di contratti a prestazioni corrispettive? In tale contesto può il giudice sostituirsi all'autonomia negoziale delle parti e modificare il contenuto di quanto pattuito tra le stesse per adeguarlo alle circostanze sopravvenute che ne hanno determinato lo squilibrio economico? Tale tematica è molto dibattuta in dottrina e giurisprudenza.

Principi generali: La dottrina ha classificato le cause che impediscono il conseguimento della controprestazione, cioè le sopravvenienze atipiche, in due categorie: 1) le sopravvenienze che frustrano la causa in concreto del contratto e 2) le sopravvenienze che, alterando l'equilibrio economico del contratto, incidono sul rapporto di valore tra le prestazioni. 

1)Tra le sopravvenienze atipiche che frustrano la causa del contratto basta citare il caso giurisprudenziale, inerente al "pacchetto turistico tutto compreso", in cui il contraente ha stipulato un contratto di viaggio "tutto compreso" alla volta di Cuba, ma prima di partire viene a sapere che in quella zona si sta diffondendo un'epidemia emorragica. Decide, allora, di non partire e chiede la restituzione della somma anticipata, ma l'agenzia di viaggi pretende il pagamento dell'intero prezzo pattuito. Secondo l'impostazione tradizionale, rispondente al principio pacta sunt servanda, sono rilevanti solo le sopravvenienze tipiche, legali o convenzionali. Pertanto, poiché il contratto ha forza di legge tra le parti, nonostante la sopravvenienza atipica abbia frustrato l'interesse del creditore all'esecuzione della prestazione, quale nella fattispecie la finalità di svago e piacere del viaggio a Cuba, ciò non comporta alcuna conseguenza sul contratto. Quest'ultimo, quindi, in virtù del principio sopra citato, non può essere messo in discussione da circostanze successive alla sua conclusione. Se, quindi, da un lato, viene preservato il principio di certezza dei rapporti giuridici e, in particolare, dei rapporti contrattuali, dall'altro lato, il rischio della circostanza sopravvenuta ricade interamente sulla parte che subisce il pregiudizio derivante dalla stessa, in quanto la sopravvenienza atipica deve essere considerata insita nell'alea naturale e fisiologica del contratto. Questa tesi, ormai superata, risponde ad una concezione astratta della causa, fissata dall'ordina-mento, intesa come "funzione economico-sociale" del contratto, oggettivamente uguale per ogni contratto tipico, che trascende gli interessi dei contraenti per perseguire finalità di interesse pubblico, e, quindi, intaccabile da parte della sopravvenienza atipica.

L'orientamento giurisprudenziale è mutato con la teoria della "causa in concreto", elaborata dalla Cassazione con le sentenze nn.10490/2006, 16315/2007 e 10651/2008, che, spostando l'attenzione dalla causa astratta al concreto e dinamico assetto di interessi programmato dai contraenti, hanno ritenuto rilevanti le circostanze, non previste dalla legge, sopravvenute alla conclusione del contratto. Secondo la giurisprudenza ora prevalente i motivi del contratto, che restano generalmente ininfluenti, assurgono al ruolo di causa quando diventano una componente obiettiva e funzionale del contratto che ha inciso sul contenuto del contratto e di cui l'altra parte sia a conoscenza. In tal caso, le sopravvenienze atipiche, alterando le condizioni in presenza delle quali il contratto è stato stipulato, possono incidere sulla funzione economico-individuale perseguita dalle parti.

Riprendendo, quindi, il caso del contratto di viaggio "tutto compreso" la Corte di Cassazione ha evidenziato che la "finalità turistica" o lo "scopo di piacere" non costituisce un motivo irrilevante, ma connota, al contrario, la causa in concreto del contratto che si caratterizza per il viaggio, l'allogio, il divertimento e lo svago. Lo scopo di piacere, quindi, è incompatibile con il rischio di venire contagiati da una grave malattia: è evidente, allora, che siamo di fronte ad una sopravvenienza, non prevista dalla legge, che provoca il venir meno dell'interesse che il contratto è funzionalmente volto a soddisfare. Nel dettaglio la Suprema Corte ha evidenziato che "la prestazione, come stabilisce l'art. 1174 c.c., deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore; dunque, se il creditore, per un evento sopravvenuto, perde il proprio interesse al conseguimento della prestazione, l'obbligazione, come stabilisce la seconda parte del comma 2 dell'art. 1256 c.c., si estingue". In materia si è pronunciata più volte la Suprema Corte di Cassazione la quale ha chiarito che: << il contratto tra tour operator e consumatore si riterrà concluso per impossibilità sopravvenuta da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico, estinguendosi non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile la prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sarà il creditore, ed in questo caso il consumatore/viaggiatore, a non poter effettivamente utilizzare quanto concordato per cause sopravvenute che non dipendono direttamente da lui ma da forza maggiore >> ( Cass.civ., sez.III, 10/07/2018 n.18047 ). Per i giudici l'impossibilità sopravvenuta è data dal venir meno della causa del contratto stipulato tra le parti, intesa quale scopo pratico del contratto che conferisce rilevanza ai motivi che hanno assunto un valore determinante nell'economia del negozio, assurgendo a presupposti causali comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall'altra (Cass. 8100/2013; Cass. 12069/2017; Cass. 16315/2007).

Come può tutelarsi in tali circostanze il creditore che non ha più interesse all'esecuzione delle prestazioni dedotte? Secondo i giudici di legittimità la disciplina applicabile a quest'ipotesi è, per analogia, l'art. 1463 cod. civ., che prevede la risoluzione del contratto come strumento di reazione a fronte di una sopravvenienza tipica, quale è l'impossibilità sopravvenuta e totale della prestazione. La Corte Suprema ha sostenuto, in pratica, che il sopravvenuto difetto dell'interesse creditorio e la conseguente irrealizzabilità della causa concreta del contratto determinano la sopravvenuta impossibilità di utilizzare la prestazione. Di conseguenza il rimedio per la sopravvenienza atipica, consistente nel venir meno della causa in concreto del contratto, si sostanzia nella caducazione del contratto con effetti liberatori per entrambi i contraenti.

2) Sopravvenienze atipiche che alterano l'equilibrio del contratto: Tale è il caso di usura sopravvenuta su cui si è pronunciata la Cassazione a Sezioni Unite con sent. n. 24675/2017. L'usura sopravvenuta si può definire come quel fenomeno a seguito del quale il tasso di interessi concordato fra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura, determinata in base alle disposizioni della L. n. 108/1996. 

Nel caso di specie la controversia è scaturita da un contratto di mutuo stipulato nel 1990, cioè prima dell'entrata in vigore della legge n. 108/1996, risultato successivamente usurario a seguito dell'entrata in vigore di quest'ultima. Con la citata sentenza la Corte Suprema, considerato che il giudizio sul carattere usurario degli interessi può riferirsi solo al momento in cui gli stessi vengono pattuiti, ha considerato prive di effetto le circostanze successive alla stipulazione del contratto, in omaggio al principio pacta sunt servanda e al ruolo essenziale che la volontà delle parti ricopre al momento della negoziazione degli interessi nel contratto di mutuo. 

Inoltre, essa ha sottolineato che la buona fede è parte integrante del contenuto contrattuale rilevante ai fini dell'esecuzione del contratto stesso (art. 1375 cod. civ.), cioè della realizzazione dei diritti da esso scaturenti.

Come tutelarsi in caso di sopravvenienze atipiche che sono in grado di alterare l'equilibrio economico del contratto? Secondo la dottrina sono possibili tre soluzioni: 1) Ritenere irrilevanti le sopravvenienze atipiche, non previste dalla legge, come nel caso della precitata sentenza, e tenere in vita il contratto. 2) Risolvere il contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, ex art. 1467 cod. civ., se viene alterato l'equilibrio economico delle condizioni di base del contratto, tale che è necessario un intervento discrezionale del giudice. 3) Rinegoziare il contratto nell'esecuzione dello stesso. Infatti, posto che, di regola, il contratto non può essere sciolto unilateralmente perché una volta raggiunto il consenso esso ha forza di legge tra le parti, laddove si dimostri che le parti hanno implicitamente previsto la facoltà di recedere, nell'ipotesi in cui non si verifichi la circostanza presupposta il recesso è la soluzione stragiudiziale unilaterale più economica, gratuita ed immediata, per i consumatori. Come sostenuto da parte della dottrina, nella convinzione che la conservazione del contratto, nel moderno diritto dei traffici e degli scambi, rappresenti il più delle volte una soluzione di gran lunga più vantaggiosa rispetto alla sua caducazione , valorizzando il principio di buona fede ex art. 1375 cod. civ., si dovrebbe valutare, in primo luogo, se le alterazioni delle prestazioni causate dalle intervenute sopravvenienze atipiche siano realmente condizionanti il consenso, e, in secondo luogo, se possano essere fronteggiate con una modifica delle condizioni contrattuali, per cui il rimedio caducatorio del contratto si dovrebbe considerare come extrema ratio.

In caso di rifiuto della parte avvantaggiata dalla sopravvenienza di rinegoziare sarebbe esperibile, per l'altra parte, un rimedio giudiziale - conservativo previsto dall'art. 2932 cod. civ., ovvero l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto. Il giudice, in questo caso, modificherebbe il contenuto del contratto garantendo la proporzionalità dello scambio, e la sentenza del giudice sostituirebbe il contratto riequilibrato, non rinegoziato per la mancanza del consenso di una delle parti. Si pone, però, l'interrogativo se ed entro che limiti il giudice possa intervenire per integrare il contratto rimasto incompleto e consentire così la prosecuzione del rapporto, incontrando ciò un limite nell'art. 2932 c.c. Secondo il disposto del predetto articolo, infatti, il giudice non si sostituisce alle parti nella regolazione dei loro interessi ma emette una pronuncia di tipo costitutivo, che si configura come rimedio attuativo della volontà delle parti, come ad es. nel caso di un contratto preliminare inadempiuto il cui contenuto è già stato definito dal contratto preliminare. Il giudice, quindi, non può determinare autonomamente il contenuto del contratto, non essendoci nel nostro ordinamento alcuna norma che preveda questo potere giudiziale - conservativo sul contratto che, per circostanze sopravvenute, è divenuto economicamente squilibrato. Infatti, dall'analisi del sistema normativo italiano non emerge con fondamento che l'ordinamento, fatti salvi i casi per legge espressamente regolati, abbia previsto un generico obbligo di rinegoziare tra le parti in presenza di una sopravvenienza, con la conseguenza che tale attività ricade unicamente nel potere di autonomia dei privati.

 

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