I principi sanciti dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 1108/2016.
Con sentenza del maggio 2014 la Corte di Appello di Genova riformava la sentenza emessa dal Tribunale del luogo in data 7 febbraio 2011, nei confronti di uno straniero imputato del reato di cui all´art. 474 Codice penale nella qualità di legale rappresentante di una ditta di pelletteria per avere concorso nella contraffazione e nell’introduzione nel territorio dello Stato, di n. 209 colli contenenti 8.875 borse riportanti il segno distintivo della ditta "Luis Vuitton" contraffatto.
La Corte, in accoglimento dell´appello proposto dal PG e dalla costituita parte civile, dichiarava l´imputato responsabile del reato ascrittogli e lo condannava alla pena di anni uno e mesi 4 di reclusione, € 1.300,00 di multa, nonché al risarcimento del danno a favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell´imputato deducendo (citando Cass., Sez. V, n. 111240 del 13 marzo 2008) che il reato presuppone la contraffazione in senso rigoroso e non la mera imitazione del segno distintivo originario, rilevando a tal proposito che le borse oggetto di imputazione risultavano da foto allegate e da quanto sostenuto dal giudice di appello dotate di una sigla semplicemente simile a quella del prodotto originale.
La Corte di cassazione, Sez. V, con sentenza n. 1108 del 2016, rigettava il ricorso.
I giudici di legittimità hanno infatti stabilito che ai fini della configurazione del reato di cui all´art. 474 Codice penale, nell´ipotesi dell´immissione in circolazione di prodotti contrassegnati da falsi marchi di provenienza, non rileva che il singolo acquirente sia stato effettivamente ingannato o fosse addirittura consapevole della falsità, bensì importa che il marchio contraffatto sia idoneo a fare falsamente apparire quel dato prodotto come proveniente da un determinato produttore.
Fonte: Corte di Cassazione
Fonte: il quotidiano della p.a.
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