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Condannabile a risarcimento danni chi abbandona coniuge gravemente malato

Moscuzza

 

37 mila euro a titolo di risarcimento danni, per aver lasciato la moglie ad affrontare da sola una gravissima malattia.
 
Con ordinanza n. 10741 del 3 Maggio 2017, la VI sezione civile della Cassazione decide in ordine ad una triste vicenda che vede protagonista la fragilità di uomo che, malgrado la solenne promessa " in salute e malattia ", lasciava che la giovane moglie portasse da sola il peso di una malattia che l´ha infine condotta alla morte.
 
I due presentavano richiesta di separazione con addebito, e successivamente la donna domandava risarcimento danni contro il marito per aver tenuto la condotta di cui sopra. In corso di causa la donna decedeva, e così l´uomo veniva condannato dal Tribunale di primo grado, a pagare la somma di 7 mila euro agli eredi della defunta che si erano costituiti in giudizio al fine di continuare l´azione già iniziata dalla parente vittima. Importo determinato dopo il riconoscimento della somma di euro 14 mila a titolo di danno morale e 7 mila di danno patrimoniale, più la detrazione dei due terzi dell´importo liquidato, per confusione con la quota ereditaria che spettava all´uomo.
 
Non soddisfatti della sanzione, e volendo così domandarne una esemplare, gli eredi adivano la Corte d´Appello, che liquidava il danno patrimoniale in euro 30 mila e condannava l´uomo alla totale somma di euro 37 mila, giustificando tale aumento a fronte della deplorevole condotta tenuta dall´appellato, che durante la fase più tragica della vita della moglie, colpita a soli 37 anni dalla patologia, aveva avuto il coraggio di voltarle le spalle.
 
Con ricorso per Cassazione, impugnava la sentenza il marito per aver il giudice d´appello aumentato il quantum della somma dovuta a titolo di risarcimento danni, senza una richiesta in tal senso degli eredi. Ai sensi inoltre, dell´art 1226 del codice civile, " se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa ". Rispetto a ciò, l´uomo poneva l´attenzione sul fatto che gli appellanti non avevano fatto richiesta al giudice di pronunciarsi secondo equità, e che detta norma non trovava applicazione data la mancanza di prove circa la sussistenza del danno.
 
Dato infine che gli eredi nessuna contestazione avevano mosso al tribunale di primo grado circa la valutazione dallo stesso operata, si eccepiva il non aver, il giudice di appello, applicato il principio di non contestazione, che laddove invece rispettato, non gli avrebbe consentito di liquidare il danno in misura maggiore.
 
Setacciati uno per uno i motivi di gravame, la Suprema Corte spiegava come per quanto astratto, in realtà appariva a sufficienza specifico il fine dell´impugnazione della sentenza di primo grado, ossia la contestazione del quantum. Continuando, dato che in appello non si contestava più la sussistenza del danno morale, non vi era preclusione per il giudice alla liquidazione del danno in via equitativa. Il terzo motivo, infine, inammissibile in quanto la controversia non verteva sulla risarcibilità del danno, essendo devoluta in appello solo la questione del suo ammontare.
Questi i motivi che hanno condotto la Cassazione a respingere il ricorso.
 
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´ Università degli Studi di Messina, nell´anno 2015.
 
 
 
 
 
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