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Compensi Avvocature pubbliche, atti alla Consulta

Il T.A.R. Trento, con ordinanza 10 marzo 2016, n. 138, ha rimesso alla Corte costituzionale la riforma dei compensi delle avvocature pubbliche.
Il T.A.R. ha adottato tale decisione esaminando il ricorso proposto da alcuni Avvocati dello Stato che, premesso di appartenere al personale della Pubblica Amministrazione che, ai sensi dell´art. 3 del d.lgs. 30.3.2001, n. 165, è tuttora inquadrato in regime di diritto pubblico - con il ricorso ha chiesto al Tribunale di “accertare” il loro diritto di ottenere la corresponsione degli onorari professionali senza le decurtazioni e limitazioni previste dall´art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, e, conseguentemente, di “condannare”, anche in forma generica, le Amministrazioni resistenti al pagamento delle somme dovute, anche se nelle more illegittimamente trattenute.
Presupponendo l´accoglimento di dette domande la declaratoria di illegittimità costituzionale dell´art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, convertito dalla l. n. 114 del 2014, i ricorrenti prospettavano svariate questioni di legittimità costituzionale della disciplina, che violerebbe numerosi parametri costituzionali nonché norme del diritto europeo e internazionale (segnatamente gli artt. 3, 4, 23, 35, 36, 42, 53, 77, 97 e 117 della Costituzione, anche in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale CEDU e agli art. 3 e 13 CEDU, circostanza, questa, che ridonda in altrettante violazioni dell´art. 117, comma 1, della Costituzione).
Le amministrazioni intimate si costituivano in giudizio argomentando diffusamente per l’infondatezza delle censure di incostituzionalità della disciplina introdotta con l´art. 9 del d.l. n. 90 del 2014 e chiedendo, pertanto, la reiezione del ricorso nel merito.
La decisione
Sgombrato il campo dalla prima serie di censure, dichiarate manifestamente infondate, il T.A.R. ha esaminato la quinta censura, con la quale è stata dedotta la violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione, atteso che il Legislatore avrebbe introdotto una vera e propria riforma strutturale del trattamento economico spettante agli Avvocati dello Stato con lo strumento del decreto legge (peraltro a contenuto plurimo), ma in assenza dei necessari presupposti della necessità e dell’urgenza.
Qui, ha ritenuto il Collegio che le argomentazioni esposte sul punto dai ricorrenti fossero non solo rilevanti ma anche non manifestamente infondate, per cui ha dubitato della conformità alla Costituzione dell’art. 9 all´esame.
Riconoscibile l’interesse che muove i ricorrenti, in quanto:
- alcune delle norme di cui all´art. 9 del d.l. n. 90 del 2014 sono di immediata applicazione: il limite massimo degli emolumenti comprensivo dei compensi professionali (c.d. “tetto retributivo” di cui all´art. 23 ter del d.l. n. 201 del 2011), stabilito al comma 1; l’abrogazione del sistema previgente della quota variabile quando la Pubblica amministrazione non risultava non soccombente e anche in caso di transazione e di compensazione delle spese (di cui all´art. 1, comma 457, della l. n. 147 del 2013 e all´art. 21, comma 3, del r. d. n. 1611 del 1933), stabilita al comma 3;
- anche la disposizione di cui al comma 7 (i compensi professionali non possono superare il trattamento economico complessivo) è di immediata cogenza;
- inoltre, a decorrere dall´1 gennaio 2015 l’Amministrazione pubblica può corrispondere i compensi professionali agli avvocati dello Stato nella nuova misura (il 50 per cento delle somme recuperate in caso di sentenza favorevole) solamente “in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l´altro della puntualità negli adempimenti processuali”, quindi secondo criteri di riparto delle somme da stabilire con i regolamenti dell´Avvocatura dello Stato (comma 8).
In ordine al punto di non manifesta infondatezza, il T.A.R. ha rilevato che l’art. 77, commi secondo e terzo, della Costituzione prevede la possibilità per il Governo di adottare, sotto la propria responsabilità, atti con forza di legge (nella forma del decreto legge) come ipotesi eccezionale, subordinata al rispetto di condizioni precise. Tali atti, qualificati dalla stessa Costituzione come “provvisori”, devono risultare fondati sulla presenza di presupposti “straordinari” di necessità ed urgenza e devono essere presentati, il giorno stesso della loro adozione, alle Camere, ai fini della conversione in legge, conversione che va operata nel termine di sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Ove la conversione non avvenga entro tale termine, i decreti-legge perdono la loro efficacia fin dall´inizio, salva la possibilità per le Camere di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge non convertiti.
Al riguardo la Corte costituzionale ha precisato che lo scrutinio di costituzionalità “deve svolgersi su un piano diverso” rispetto all´esercizio del potere legislativo, in cui “le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti”. Ha specificato al riguardo che “il difetto dei presupposti di legittimità della decretazione d´urgenza, in sede di scrutinio di costituzionalità”, deve “risultare evidente”, e che tale difetto di presupposti, “una volta intervenuta la conversione, si traduce in un vizio in procedendo della relativa legge”. Ha perciò escluso, con ciò, l´eventuale efficacia sanante di quest´ultima, dal momento che “affermare che tale legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto, significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie” (sentenze n. 128 del 2008; n. 171 del 2007; n. 29 del 1995).
La Corte ha poi precisato che il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti fattuali di cui all´art. 77, secondo comma, si ricollega “ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico”, e che l’urgente necessità del provvedere “può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall´intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all´unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare”.
Pertanto, considerato che il preambolo del decreto così recita: “Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni volte a favorire la più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, a realizzare interventi di semplificazione dell´organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici e ad introdurre ulteriori misure di semplificazione per l´accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre disposizioni volte a garantire un miglior livello di certezza giuridica, correttezza e trasparenza delle procedure nei lavori pubblici, anche con riferimento al completamento dei lavori e delle opere necessarie a garantire lo svolgimento dell´evento Expo 2015; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per l´efficiente informatizzazione del processo civile, amministrativo, contabile e tributario, nonché misure per l´organizzazione degli uffici giudiziari, al fine di assicurare la ragionevole durata del processo attraverso l´innovazione dei modelli organizzativi e il più efficace impiego delle tecnologie dell´informazione e della comunicazione”, e che l’art. 9 all´esame è parte del Titolo I rubricato “Misure urgenti per l´efficienza della p.a. e per il sostegno dell´occupazione” e del Capo I denominato “Misure urgenti in materia di lavoro pubblico”. Gli articoli del Capo dispongono, principalmente, in materia di ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni, di semplificazione e flessibilità nel turn-over, di mobilità obbligatoria e volontaria, di assegnazione di nuove mansioni, di divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza, di prerogative sindacali, di incarichi negli uffici di diretta collaborazione; il dubbio di costituzionalità dell´art. 9 del decreto legge n. 90 del 2014 insorge in relazione alla circostanza che nessun collegamento pare ravvisabile tra le riportate premesse e le previsioni normative di cui si prospetta l´illegittimità costituzionale.
Infatti, sostiene il Collegio, il primo paragrafo del preambolo fa riferimento a interventi organizzativi e semplificatori nella e della Pubblica amministrazione, il secondo alle procedure dei lavori pubblici, il terzo all´informatizzazione processuale. Ambiti, dunque, che con la disposizioni di cui si discute - volta a riformare la struttura degli onorari degli avvocati dello Stato e degli altri enti pubblici nell´ottica del contenimento della spesa pubblica - non sembrano aver nulla a che vedere. Appare dunque carente il rapporto tra la norma censurata e l’elemento funzionale - finalistico proclamato nel preambolo, come espressamente richiesto dalla Corte costituzionale.
Da qui la necessità della rimessione alla Consulta.

 

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