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Tra clienti non paganti e sentenze che lasciano basiti. Arturo e la crisi: "Studi potentissimi e poi noi, la grande marea"

Un libro, protagonista Arturo Speranza. Omen nomen. Un avvocato. Libro scritto da un avvocato con protagonista un avvocato. Che parla di problemi comuni, di clienti che non pagano e di sentenze che lasciano esterrefatti. Insomma, pane quotidiano. Eco intervista concessa dell´autore del libro, Enrico Morello (foto)*



Arturo Speranza, omen nomen, non si abbatte. Più che uno studio di avvocati, aperto con un´ex compagna di università che ben presto lo lascia portandosi via pure il praticante, "è" uno studio di avvocati. Perché è rimasto solo lui a combattere ogni giorno con clienti che non pagano e neppure lo rispettano. Quelli che un tempo correvano e facevano anticamera e oggi lo fanno correre e aspettare. E non 5 minuti ma mezz´ora. In sale in cui svettano le foto del potente in montagna, in canoa, nel deserto o, ancora meglio, accanto a bambini poveri di associazioni umanitarie che sostengono, quei clienti che di un umano non hanno nulla. Semmai somigliano a rapaci pronti a spiccare il volo. Arturo Speranza non ha più uno studio ma semmai un «Ufficio salti mortali». Ed è l´alter ego di carta di Enrico Morello, 55 anni, torinese, divorziato con figli e seconda moglie. Come Arturo Speranza.

Ma gli avvocati torinesi stan davvero messi così male?
«Gli avvocati si dividono in due gruppi. Quelli dei pochi potentissimi studi e la marea sconfinata degli altri».

Perché non c´è lavoro, perché sono troppi o che cosa?
«La crisi ha investito tutti. Neppure gli avvocati dunque ne sono esenti. La nostra è la prima generazione che non migliorerà le condizioni di quella precedente, anzi».

Che cosa si dovrebbe fare?
«Intanto si dovrebbe mettere esami sbarramento all´università. E renderla a numero chiuso. Se il mercato non assorbe, inutile continuare a sfornare illusi».

Anche i cosiddetti praticanti han manifestato per le condizioni di sfruttamento. Al suo alter ego di carta invece non è andata così e dunque anche a lei?
«Io ho deciso di fare l´avvocato perché ero, e sono, appassionato di diritto. Nel libro si cita una famosa scena di un film con Paul Newman che all´ultimo decide di sfidare un giudizio che sa esser già emesso e tiene un´arringa che lo fa vincere. Questa scena me l´ha raccontata un giudice. Era la sua motivazione al mestiere. Vedo poca passione in giro».

La sua l´ha persa?
«No. Ho perso semmai, come molte categorie, il rispetto dei clienti. Che ti stimano finché sei potente, finché non fai capire che fai appunto i salti mortali. E poi per loro siamo diventati fornitori come altri, quindi non pagabili».

Sono tutti così pessimi i clienti?
«No. E anzi in alcuni casi, come nel diritto di famiglia, si arriva anche ad essere amici, confidenti, perfino un po´ psicologi. I clienti però non amano la verità e occorre spesso portarli a prendere decisioni senza dir loro subito come stanno le cose».

Quindi «tutto benissimo» come ripete il suo Arturo ai colleghi?
«Soprattutto ai colleghi. Un mondo duro e poco sensibile quello dei colleghi. Ma credo che, per esempio, dal lato familiare, sia giusto tenere i propri cari all´oscuro delle difficoltà. È una forma di protezione. Anche se alla fine capiscono da soli».

Nel libro Arturo soffre per il tradimento di un amico e per l´ingiustizia palese di certe decisioni dei giudici. È capitato anche questo?
«Guardi, quello che c´è nel libro è tutto vero. Ho cambiato i nomi e certi dettagli per non renderlo troppo smaccato, ma sì è tutto vero».

Cioè?
«Nei due casi specifici l´amico è realmente un ex compagno di liceo. Credo alla fine che abbia confuso il mondo reale con uno di sua costruzione, mentre per me certi valori restano saldi. Per quello che attiene decisioni che mi han lasciato sbigottito e ho sentito profondamente ingiuste gliene cito una recente: ho difeso un giovane calciatore, molto bravo. Un brasiliano, Junior Messias, che poteva avere una grande carriera. Ma il Tribunale federale nazionale della Figc ha respinto il nostro ricorso perché extracomunitario. Una vita e una carriera stroncate».

Che ne pensa dello ius soli?
«Doveva essere approvato. Ecco che cosa penso».

Ha rimpianti?
«Penso agli amici persi per strada. A quelli morti di eroina. Perché ci hanno dato tutto, molto, troppo?, e non abbiamo imparato ad apprezzare il poco o i piccoli gesti».

Arturo lo fa, gli basta un bagno con un ottimo sapone?
«Certo».

Quindi lo fa anche lei avvocato?
«Sì, ma la prego, scrittore. Amante della parola e del diritto. Quello sempre».

*intervista concessa e pubblicata dal Corriere della Sera 11 aprile 2018. Scritto da Barbara Notaro Dietrich. IL LIBRO «UFFICIO SALTI MORTALI» (CODICE EDIZIONI) E´ STATO SCRITTO DALL´INTERVISTATO.

 

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