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Cassazione: straniero omosessuale ha diritto a protezione se perseguitato in paese d´origine

Moscuzza

 

L´omosessualità può costare il diniego della richiesta di protezione internazionale? A tale quesito dà risposta la Cassazione con ordinanza n. 9946 depositata in Aprile 2017, con la quale la Corte, accogliendo ricorso di un cittadino pakistano, ha annullato la sentenza di secondo grado della Corte di Cagliari, che a sua volta aveva confermato quella del primo.
 
Secondo il giudice di prima istanza, la domanda di riconoscimento della protezione internazionale presentata dal cittadino pakistano protagonista della vicenda, in prima battuta, non poteva trovare accoglimento, data la genericità delle circostanze, nonché la loro contraddittorietà e inverosimiglianza.
 
A causa del suo orientamento sessuale, per così dire "anomalo", lo straniero subiva una vera e propria persecuzione nel suo paese di origine, con il rischio di una ingiusta detenzione.
 
Insistendo in appello il pakistano, reclamava nuovamente il riconoscimento della protezione sussidiaria e, qualora questa non fosse stata concessa, quantomeno un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ebbene in appello, a giustificare lo stesso orientamento del giudice di primo grado, è stato l´accento posto sulla poca credibilità delle affermazioni dell´appellante, il quale impugnando la sentenza, contestava per l´appunto questo e non altro.
 
Solo una volta scomodata la Cassazione, che ha capovolto l´orientamento al riguardo, è stata data voce alla supplica dello straniero. Infatti, la riflessione sul contesto fortemente avvilente e castrante di un paese in cui l´omosessualità assurge a reato, ed è quindi condizione sufficiente perché un cittadino possa essere perseguitato e privato della libertà personale, avrebbe dovuto indurre la Corte d´Appello a concedere la tanto agognata richiesta di protezione. Circa ciò su cui verte l´esame della domanda di protezione, ossia la "situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare la condizione sociale, il sesso e l´età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave" e i trattamenti inumani e degradanti che sarebbe costretto a subire lo straniero una volta rimandato nel paese di provenienza, rispettivamente gli articoli 3 e 14 del Decreto legislativo 251/2007 sono senza dubbio chiari e calzanti, e perciò richiamati a fondamento normativo dei motivi dell´appello.
 
E´ così che con il richiamo alla giurisprudenza risalente (Cassazione Civile ordinanza n. 15981 del 20 settembre 2012 e Cassazione Civile sentenza n. 27310 del 2008) il giudice di ultima istanza, annullando la sentenza impugnata, affermava che : " ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui l´omosessualità sia considerata un reato dall´ordinamento giuridico del Paese di provenienza è rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiesta" e che : " devono, pertanto, essere acquisite le prove, necessarie al fine di acclarare la circostanza della omosessualità del richiedente, la condizione dei cittadini omosessuali nella società del Paese di provenienza e lo stato della relativa legislazione, nel rispetto del criterio direttivo della normativa comunitaria e italiana in materia di istruzione ed esame delle domande di protezione internazionale".
 
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Messina, nell´anno 2015.
 
 
 
 
 
 
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