Scritto da Dott.ssa Paola Moscuzza
Con sentenza n 3347/2015 si pronunciava la Cassazione, in favore di un cittadino ivoriano, accogliendo ricorso da questo presentato al fine di ottenere la domanda di protezione internazionale negatagli in appello. La Cassazione ribaltava le argomentazioni della Corte secondo cui le motivazioni del richiedente non giustificavano a sufficienza la misura di protezione.
I racconti dello straniero, (imprecisi e confusi a dire del giudice di secondo grado) che vertevano sulle disavventure affrontate per fuggire dalla Costa d´Avorio, e per sottrarsi a dei criminali che lo avevano sequestrato e torturato, non sono state ritenute dalla Corte tali da attuare neanche una misura di carattere umanitario, non ritenendo l´aspirazione ad una vita migliore, una valida ragione per la domanda di protezione internazionale.
Molteplici le contestazioni della Cassazione sulla sentenza di secondo grado, da cui si evinceva che il giudice aveva ignorato la certificazione sanitaria e fotografica che il ricorrente aveva allegato a sostegno della sua richiesta, dando prova indiscutibile delle torture e angherie subite durante e dopo il sequestro; che lo stesso mancava di pronunciarsi sulla richiesta di protezione sussidiaria di cui era presente il presupposto di danno grave ex art. 14 lettera b del Decreto legislativo 251/2007 vale a dire " la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine". Non considerando il tal modo, un fatto narrato, allegato e documentato, il giudice integrava il vizio del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 Codice di Procedura Civile).
Tralasciava di accertare inoltre, la turbolenta situazione in cui versava la Costa d´Avorio, che a confine con zone pericolose configurava la "minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale" di cui alla lettera c dell´art. 14 del sopracitato D.lgs. Tale riferimento, meramente generico alla situazione del paese, e la mancata comparazione con le narrazioni del richiedente su di esso, violava l´obbligo di cooperazione che grava sull´autorità giurisdizionale.
Per ultimo, la violazione delle norme che regolano il diritto alla protezione umanitaria, in quanto questa veniva negata senza aver verificato la presenza delle condizioni ed esigenze definibili comunque umanitarie, che ne avrebbero giustificato la concessione.
Per questi motivi il ricorso veniva accolto e la pronuncia impugnata veniva cassata.
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Messina, nell´anno 2015.