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Cassazione: è reato inserire in una chat erotica il numero di cellulare di una ragazza.

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Con la sentenza n. 46376 dello scorso 14 novembre, la III sezione penale della Corte di Cassazione, chiamata a esaminare la responsabilità penale di un donna che aveva registrato in una chat erotica il numero di telefono di una ragazza, ha confermato la condanna per il reato di cui all'articolo 167 del d.lgs. 196/2003, in quanto, anche a seguito del regolamento europeo sulla privacy, continua ad integrare la fattispecie di cui al menzionato articolo 167 "la condotta di chi, soggetto non autorizzato ai sensi dell'art. 125 del d.lgs. 196/2003, al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, arreca nocumento all'interessato, mediante il trattamento dei dati del traffico, tra i quali rientra il numero dell'utenza cellulare.".

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di una donna, accusata del reato di cui all' artt. 167 del d.lgs. 196/2003, per aver registrato in una chat erotica il numero di telefono di una ragazza, invitando i frequentatori della chat a telefonare a quel numero per ricevere prestazioni erotiche; il tutto al fine di procurarle un danno.

Per tali fatti, sia il Tribunale di Caltanissetta che la Corte di appello di Caltanissetta condannavano l'imputata alla pena di mesi nove di reclusione: la responsabilità penale dell'imputata, oggetto di doppio conforme accertamento di merito, poggiava su una pluralità di elementi probatori tra cui la confessione resa dalla stessa di avere registrato il numero di utenza cellulare della persona offesa sulla chat erotica, attraverso tre collegamenti tramite internet, avvenuti da un indirizzo IP collegato dall'utenza fissa installata presso l'abitazione della madre. 

Ricorrendo in Cassazione, l'imputata si doleva per aver la sentenza impugnata, con motivazione carente, concluso per la sua penale responsabilità senza considerare che la madre conviveva con un uomo, appassionato e assiduo utilizzatore di internet, che avrebbe potuto carpire il numero di telefono della persona offesa.

La Cassazione chiamata ad esaminare il ricorso dell'imputata, lo dichiara inammissibile in quanto basato su una doglianza di merito che riproduce un rilievo critico già esaminato e motivatamente disatteso dai giudici del merito. Tuttavia la Corte coglie l'occasione per valutare, d'ufficio, la questione dell'incidenza della modifica legislativa della norma sanzionatoria di cui all'art. 167 del d.lgs. 196 del 2003 a seguito dell'entrata in vigore del regolamento europeo sulla privacy.

Rispetto alla precedente formulazione, la nuova disposizione di cui all'art. 167 introduce, tra gli elementi costitutivi del reato, quello del danno all'interessato (da intendersi quale il pregiudizio, anche di natura non patrimoniale, subito dalla persona cui si riferiscono i dati quale conseguenza dell'illecito trattamento), il quale deve essere oggetto anche di dolo specifico. Inoltre, mentre prima si incriminava l'illecito trattamento dei dati personali in assenza di consenso dell'interessato (fattispecie di cui all'art. 23 del decreto legislativo richiamato), nella nuova norma non vi è più alcun riferimento all'art. 23 che fondava la responsabilità penale per il trattamento dei dati personali in assenza di consenso dell'interessata. 

Ne deriva, con specifico riferimento al caso di specie, la necessità di verificare
se il fatto contestato alla ricorrente sia ancora oggi sussumibile nella nuova fattispecie dell'art. 167.

Sul punto, la Corte rileva che l'avere diffuso il numero di telefono cellulare mediante il suo inserimento in chat a contenuto erotico, in assenza di consenso dell'interessata, costituisca, ancora oggi, fatto di reato punito dall'art. 167 comma 1, in quanto la condotta contestata ben può considerarsi avvenuta in violazione dell'art. 123, comma 5, del d.lgs. n. 196 del 2003 (dati relativi al traffico), ai sensi del quale il trattamento dei dati personali relativi al traffico, ivi compreso il numero dell'utenza cellulare di un soggetto, è consentito unicamente a persone che risultano autorizzate al trattamento, limitatamente a quanto è strettamente necessario per lo svolgimento di tali attività indicate dalla disposizione.

In conclusione la Cassazione, ravvisata la continuità normativa, annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che, in applicazione della nuova disciplina più favorevole, ridetermina in mesi sette e giorni sei di reclusione. 

 

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