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Bigenitorialità, SC: “Cognome paterno anteposto a quello della madre, anche se il padre riconosce il figlio anni dopo”

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Con l'ordinanza n. 18161 depositata lo scorso 5 luglio, la I sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla domanda di un padre che, riconosciuto il figlio minore, chiedeva che il proprio cognome fosse anteposto a quello della mamma, ha accolto l'istanza paterna in nome del principio di bigenitorialità.

Si è difatti precisato che in quel caso, considerata la convivenza del bambino con la mamma, la scelta di anteporre (anziché aggiungere) il cognome paterno preservava il minore da una raffigurazione non paritaria del ruolo dei due genitori, così evitando di attribuire un rilievo identitario al collocamento del bambino presso la madre e alla importanza del contesto familiare materno.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dal riconoscimento effettuato da un padre del proprio figlio che, nato da alcuni anni, portava il cognome materno.

Il Tribunale di Tivoli, accogliendo il ricorso dell'uomo nei confronti della mamma del bambino, disponeva la sostituzione del cognome del minore, anteponendo al cognome materno quello del padre.

La Corte di appello di Roma confermava la statuizione sul cognome, sulla base della necessità per il bambino di costruirsi un'autonoma identità, con paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione della sua identità personale.

In particolare, i Giudici statuivano che, nel caso di specie, doveva applicarsi lo stesso trattamento normativo che trova applicazione allorché il riconoscimento viene effettuato da entrambi i genitori al momento della nascita, sicché non poteva ravvisarsi alcuna preclusione nell'attribuzione prioritaria del cognome paterno, come solitamente avviene. 

Ricorrendo in Cassazione, la mamma censurava la decisione della Corte di merito per violazione e falsa applicazione, dell'art. 262, commi 2 e 4, c.c..

La donna evidenziava come l'interpretazione letterale dell'art. 262 c.c. – ai sensi del quale il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto e, se il riconoscimento è effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, il figlio assume il cognome del padre – non consente di equiparare l'ipotesi del riconoscimento contemporaneo con quello avvenuto successivamente per cause non imputabili al padre.

In secondo luogo, la ricorrente negava che la sostituzione del cognome corrispondesse all'interesse superiore del minore, stabilmente inserito nel contesto della famiglia materna; infine contestava che l'attribuzione del cognome paterno potesse impedire, per il futuro, il forte rischio di marginalità della figura paterna.

La Cassazione non condivide le difese formulate dalla ricorrente.

In punto di diritto, i Supremi Giudici ricordano che, in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto non contestualmente dai genitori, i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale. In tale ambito, la scelta, anche officiosa, del giudice è ampiamente discrezionale e deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all'ambiente in cui è cresciuto fino al momento del successivo riconoscimento. 

In particolare, ai sensi del secondo comma dell'art. 262 c.c., qualora la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre: in tale scelta, il giudice è investito del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità previste da detta disposizione avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all'interesse del minore, tenendo debitamente in considerazione che, nel nostro ordinamento, non vi è una regola di prevalenza del criterio del "prior in tempore", né sussiste alcun "favor" in sé per il cognome paterno.

Ciò premesso, con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano che, esclusa la rilevanza della anteriorità del riconoscimento, il giudice del merito ha optato, fra le possibilità previste dall'art. 262 c.c., comma 2, per la anteposizione del cognome paterno, chiarendo come tale scelta avesse il fine di non attribuire un rilievo identitario al collocamento del minore presso la madre e all'importanza del contesto familiare materno.

La Cassazione evidenzia come la scelta compiuta, adeguatamente motivata, consente al minore di rendere percepibile all'esterno la filiazione da entrambi i genitori, in quanto nell'anteporre (anziché aggiungere) il cognome paterno si preserva il minore da una raffigurazione, interiore ed esteriore, non paritaria del ruolo dei due genitori.

In particolare, la sentenza impugnata ha voluto salvaguardare, anche sotto il profilo identitario che comporta l'attribuzione del cognome, il valore della bigenitorialità, negando un rilievo al collocamento del minore affidato congiuntamente ad entrambi i genitori: tale scelta, se ben motivata, si sottrae dal sindacato giurisdizionale di legittimità.

Compiute queste precisazioni, la Cassazione rigetta il ricorso. 

 

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