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Avvocato: è responsabile se non chiede al cliente le fatture necessarie per dimostrare un pagamento

Avvocato: è responsabile se non chiede al cliente le fatture necessarie per dimostrare un pagamento

Con la pronuncia n. 56 dello scorso 7 gennaio in tema di responsabilità professionale dell'avvocato, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato la negligenza di un legale che aveva omesso di informare il cliente sull'importanza di depositare alcune fatture relative agli acconti corrisposti ad una società che chiedeva il pagamento del residuo corrispettivo di un appalto.

Si è difatti precisato che nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 1176 c.c., comma 2, ed all'art. 2236 c.c. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) i doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio da una richiesta di risarcimento formulata da un cliente avverso un legale che lo aveva assistito in un giudizio arbitrale, nel quale egli era stato convenuto, risultandone soccombente, per il pagamento del residuo corrispettivo di un appalto.

In particolare, il cliente deduceva la negligenza del legale nello svolgimento del suo incarico di difensore, per non avere prodotto tempestivamente nel giudizio arbitrale alcune fatture relative agli acconti corrisposti alla società appaltatrice, essendosi limitata a farne menzione in comparsa conclusionale.

 Il Tribunale di Milano rigettava la domanda risarcitoria, per non aver l'attore provato di "aver dato tempestivo avviso e consegna" di tali fatture al proprio legale.

La sentenza veniva confermata anche dalla Corte d'Appello di Milano.

Il cliente ricorreva in Cassazione denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 1453 e 2697 c.c., per l'omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa e concernente la negligenza del legale per non aver depositato le fatture utili a provare l'avvenuto pagamento.

A tal fine, sosteneva che la mancata produzione in giudizio dei documenti indispensabili per la valutazione delle somme dovute fosse, di per sé, manifestazione di negligenza del difensore, salvo che egli avesse dimostrato di non avere potuto adempiere per fatto a lui non imputabile (art. 1218 c.c.), o di avere svolto tutte le attività che nella particolare contingenza gli potevano essere ragionevolmente richieste allo scopo (art. 1176 c.c.).

Di contro, il legale non aveva dimostrato né di non avere ricevuto tempestivamente la documentazione, né di avergli sollecitato l'esibizione in tempo utile per poterla utilizzare in giudizio.

La Cassazione condivide i rilievi avanzati dal ricorrente.

La Corte ricorda che nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 1176 c.c., comma 2, ed all'art. 2236 c.c. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) i doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole

In merito all'onere della prova, la Cassazione specifica che incombe sul legale l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, essendo di contro insufficiente il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello jus postulandi, attesa la relativa inidoneità delle stesse a fornire una compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione rileva come, nel giudizio arbitrale, l'eventuale esistenza di pagamenti (e dell'eventuale relativa documentazione) da parte del cliente in favore della società controparte del giudizio arbitrale costituisse circostanza decisiva per il buon esito del giudizio, sicché il legale – per ben adempiere alla prestazione professionale richiesta – avrebbe dovuto approfondire tale aspetto: in particolare, rientrava tra le prime e più banali informazioni dell'avvocato quella volta ad appurare se il cliente avesse effettuato dei pagamenti in acconto, per quale ammontare e se ne conservasse la relativa documentazione.

In merito all'onere della prova, gli Ermellini evidenziano come era onere dell'avvocato, evocato in giudizio per responsabilità professionale, dar prova di avere diligentemente operato.

A tal fine, il professionista avrebbe dovuto provare di aver informato il cliente dell'importanza di una eventuale documentazione; era suo onere, altresì, dimostrare che la tardiva produzione nel giudizio arbitrale di quella documentazione fosse dipesa da fatto a lui non imputabile, eventualmente rappresentato dalla condotta dello stesso cliente.

Non avendo il legale provato alcunché, la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

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