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Fonte: https://www.codicedeontologico-cnf.it
Con sentenza n.252 del 14 novembre 2023 il Consiglio Nazionale Forense è tornato ad esprimersi sul rapporto di colleganza, affermando che l'impegno nella difesa del proprio cliente non può travalicare i limiti della rigorosa osservanza delle norme disciplinari riguardanti il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra i professionisti e l'obbligo di dare comunicazione al collega dell'intenzione di promuovere un giudizio nei suoi confronti per fatti attinenti all'esercizio della professione, salvo che l'avviso possa pregiudicare il diritto da tutelare.
Analizziamo il caso sottoposto all'attenzione del Consiglio.
I fatti del procedimento
Il CDD ha applicato la sanzione della censura nei confronti di un avvocato
L'incolpato ha proposto impugnazione avverso la decisione del CDD 1) sostenendo che nessuna delle lettere all'epoca allegate agli atti di causa era stata qualificata come riservata personale non producibile in giudizio e 2) deducendo l'insussistenza delle violazioni deontologiche addebitate sul presupposto che il dovere di difesa, fondato sul rapporto di fiducia con il proprio assistito, nella maggior parte dei casi debba prevalere sul rapporto di colleganza ex art. 23 del Codice Deontologico previgente.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense
Analizzando la ratio dell'art.48 cdf il Consiglio ha evidenziato che la norma nel vietare all'avvocato "di produrre, riportare in atti processuali o riferire in giudizio la corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualificata come riservata, nonché quella contenente proposte transattive e relative risposte", mira a salvaguardare il corretto svolgimento dell'attività professionale, nonché ad impedire che leali rapporti tra colleghi possano dar luogo a conseguenze negative nello svolgimento della funzione defensionale, in special modo quando la corrispondenza tra colleghi contenga ammissioni o consapevolezze di torti ovvero proposte transattive.
A questo riguardo la giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense è costante nel ritenere che il divieto di produrre in giudizio la corrispondenza tra i professionisti contenente proposte transattive abbia valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti interprofessionali, quali che siano gli effetti processuali della produzione vietata, in quanto la norma mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 181 del 19 dicembre 2019, sentenza n. 118 del 28 ottobre 2019).
Peraltro qualora la corrispondenza riporti proposte transattive scambiate con i colleghi, non assume alcuna rilevanza la circostanza che la corrispondenza non sia stata qualificata espressamente come "riservata non producibile in giudizio" in quanto il il divieto opera anche in assenza della succitata locuzione (Consiglio Nazionale Forense sentenza n. 140 del 7 luglio 2021).
Il Consiglio ha inoltre rilevato la violazione dell'art.38 del cdf a norma del quale "L'avvocato che intenda promuovere un giudizio nei confronti di un collega per fatti attinenti all'esercizio della professione deve dargliene preventiva comunicazione per iscritto, salvo che l'avviso possa pregiudicare il diritto da tutelare."
Nel caso di specie il ricorrente non ha reso la prescritta comunicazione alla collega prima di intraprendere l'iniziativa giudiziaria nell'interesse del cliente giustificando questa omissione con il rischio di incrinare il rapporto fiduciario con il cliente e sostenendo di aver operato con equilibrio in quanto avrebbe proposto la domanda di risarcimento danni mediante comparsa al fine di evitare che il proprio cliente presentasse una denuncia-querela contro la collega.
Sul punto il Consiglio si è espresso affermando che
Inoltre il Consiglio ha rilevato che avendo il ricorrente ammesso espressamente le condotte contestate, esse risultano il frutto di scelte consapevoli per cui al fine di integrare l'illecito disciplinare sotto il profilo soggettivo è sufficiente l'elemento psicologico della suità della condotta inteso come volontà consapevole dell'atto deontologicamente scorretto compiuto (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 26 del 20 febbraio 2021).
Quanto all'entità della sanzione, in considerazione dell'ammissione dei fatti da parte del ricorrente, del comportamento successivo, nonché dell'assenza di precedenti disciplinari, il Consiglio ha ritenuto congrua una riduzione della sanzione disciplinare.
Sulla base di queste argomentazioni il Consiglio Nazionale Forense ha accolto parzialmente il ricorso applicando al ricorrente la sanzione dell'avvertimento.
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Il mio nome è Anna Sblendorio. Sono una persona curiosa e creativa e mi piace il contatto con la gente. Amo dipingere, ascoltare musica, andare a teatro, viaggiare e passare del tempo con la mia famiglia ed i miei amici. Nel 2008 mi sono laureata in giurisprudenza presso l'Università degli studi di Bari "Aldo Moro" e successivamente ho conseguito l'abilitazione per l'esercizio della professione da avvocato. Nel corso degli anni ho collaborato con diversi centri di formazione occupandomi di tutoraggio in materie giuridiche e nel 2022 ho iniziato a collaborare con la testata giuridica online www.retidigiustizia.it.