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Avvocati, radiazione dall'albo: in punto torna la SC

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Non è viziata la sentenza del Consiglio nazionale forense (CNF) che, a fronte di una condotta del professionista consistente in più atti di abuso della fiducia dei clienti e nell'esercizio della propria attività professionale o comunque con la spendita di tale ruolo abbia applicato la sanzione della radiazione dall'albo, avuto riguardo, per un verso, alla accertata «violazione dei fondamentali doveri professionali connessa con l'assunzione di iniziative connotate da malafede e colpa grave» e, per altro verso, alla entità dei vantaggi patrimoniali conseguiti, alla pluralità delle azioni, alla gravità del pregiudizio provocato alla controparte e all'immagine della categoria, nonché, infine, al contegno successivo all'illecito [...] (Cass. S.U. 30868/2018).

Questo è quanto ha statuito la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n. 7073 del 3 marzo 2022 (fonte: http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/).

Ma vediamo il caso sottoposto all'esame dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa

Il ricorrente, avvocato, è stato destinatario della sanzione disciplinare della radiazione dall'albo per aver posto in essere una pluralità di condotte illecite sul piano deontologico, accertate anche nella loro gravità. Il suddetto provvedimento sanzionatorio è stato emesso dal Consiglio distrettuale di disciplina e, contro questo provvedimento, il ricorrente ha proposto ricorso al Consiglio nazionale forense. Impugnazione, questa, che è stata rigettata.

Il caso, così, è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito da quest'ultima autorità. 

La decisione della SC

Innanzitutto, il ricorrente lamenta che il CNF ha dato rilevanza, nel giudizio di colpevolezza e di congruità della sanzione, anche a fatti diversi da quelli rubricati tra gli illeciti disciplinari, in particolare aggiungendo quelli per i quali il medesimo ha subito una condanna penale, a suo dire, con decisione ancora non definitiva stante l'appello interposto e per di più posteriore alla pronuncia del CDD. A parere del ricorrente, pertanto, la decisione del CNF è viziata per eccesso dei limiti di indagine.

Di diverso avviso è la Corte di Cassazione. Infatti quest'ultima afferma che l'effettiva impugnazione delle sentenza penale non è stata documentata e, in ogni caso, la condanna ivi contenuta non ha assunto una portata assorbente. Infatti, ciò che per il CNF è stato rilevante è stata la pluralità di elementi storici e fonti di convincimento, evidenziata non solo dalle molteplici fonti di prova, ma altresì in relazione ai fatti che vi hanno trovato dibattito, con pieno contraddittorio processuale. In punto va ricordato che è legittima la raccolta, da parte degli organi disciplinari forensi, di informazioni e documentazioni nel corso della fase istruttoria, stante la preclusione a conoscerne solo ove si tratti di atti istruttori compiuti prima della comunicazione dell'apertura del procedimento disciplinare all'interessato (Cass. S.U. 737/2015). 

Pertanto, secondo i Giudici di legittimità, la sentenza del CNF non è viziata dal momento che in essa sono state considerate le condotte poste in essere dal ricorrente integranti una serie di atti di abuso della fiducia dei clienti e in violazione dei fondamenti doveri professionali. Comportamenti, questi, che sono risultati connotati da malafede e colpa grave (Cass. S.U. 30868/2018). La Corte di Cassazione ha, poi, ribadito che non opera in materia il principio di stretta tipicità dell'illecito, proprio del diritto penale, per cui non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, ma solo l'enunciazione dei doveri fondamentali, tra cui segnatamente quelli di probità, dignità, decoro, lealtà e correttezza di cui all'art. 9 del nuovo codice deontologico forense che, quale "norma di chiusura", consente, mediante l'art. 3, comma 3, della l. n. 247 del 2012, di contestare l'illecito anche solo sulla base di tale previsione precettiva, evitando che la mancata descrizione di uno o più comportamenti, e della relativa sanzione, generi immunità (Cass. S.U. 37550/2021).

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, il ricorso è stato conclusivamente dichiarato inammissibile.

 

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