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Avvocati. Patto di quota lite e illecito disciplinare

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Fonti: https://www.codicedeontologico-cnf.it/

Con sentenzan.15 del 28 febbraio 2023 il Consiglio Nazionale Forense ha fornito alcuni chiarimenti in merito all'illiceità del c.d. patto di quota lite e alla relativa sanzione, richiamando anche il più recente orientamento di legittimità che ne ha ricostruito la sua complessa evoluzione legislativa.

Vediamo i punti salienti della vicenda sottoposta al Consiglio.

I fatti del procedimento

Nel caso di specie, in seguito al decesso del de cuius avvenuto a causa di un sinistro stradale, l'Avvocato ricorrente è stato incaricato di curare gli interessi degli eredi legittimi del defunto. Con il contratto d'opera le parti hanno concordato:

  • un compenso di € 5.500,00, comprensivo di spese ed onorari,
  • la cessione in favore dell'Avvocato della motocicletta BMW R1200 GS e dell'autovettura Porsche Cayman di proprietà del defunto (valutati per complessivi € 40.000,00);
  • un compenso aggiuntivo a favore del professionista pari al 20% dei danni liquidati ai clienti in relazione al decesso de cuius, ridotto al 13% per effetto della cessione dei suddetti beni.

Nel corso del procedimento disciplinare, tra i vari capi di incolpazione addebitati all'incolpato, in particolare il CDD ha rilevato la violazione del divieto di patto di quota lite in riferimento alla clausola del contratto d'opera in cui è stato menzionato un ulteriore di pagamento, corrispondente al 20% dell'importo ottenuto a titolo di risarcimento. 

 Il CDD ha inflitto all'incolpato la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per nove mesi ritenendo che:

  • la suddetta clausola non risponda ai criteri di proporzionalità tra l'attività svolta ed il beneficio a conseguirsi,
  • le parti abbiano sottoscritto un patto di quota lite vietato per legge in violazione dell'art.25 CDF.

L''incolpato ha così presentato ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense contestando la violazione del divieto del patto di quota lite e sostenendo che l'art.13, cc.3 e 4, L.247/12 specificherebbe che il divieto riguarda la dazione di un bene specifico oggetto dell'affare, lasciando libera la pattuizione dei compensi.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

In merito alla questione relativa alla violazione del divieto di stipulare un patto di quota lite, il Consiglio ha ritenuto sussistente la violazione, rilevando che all'epoca della sottoscrizione del contratto d'opera professionale vigeva il divieto assoluto di patto di quota lite previsto dall'art.13, c.4, L. n.247/2012, oggi vietato anche dall'art.25 comma 2 Cdf. a norma del quale "Sono vietati i patti con i quali l'avvocato percepisca come compenso, in tutto o in parte, una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa".

 E senza dubbio a parere del Consiglio:

  • la clausola riportata nel contratto è relativa ad una quota del bene o della ragione litigiosa in quanto fa riferimento all'importo ottenuto dai congiunti del de cuius a titolo di risarcimento nella misura del 20% ridotta poi al 13%;
  • non può essere accolta la censura relativa alla libera pattuizione del compenso che in ogni caso deve essere proporzionato all'attività svolta.

Ed infatti se da un lato il comma 1 dell'art.25 cdf stabilisce il principio della libertà della pattuizione dei compensi, dall'altro a norma del comma 2 dell'art.2233 c.c. "in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione".

Con particolare riferimento al divieto di quota lite, il Consiglio ha ricordato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui : "La liceità civilistica del c.d. patto di quota lite dipende dal momento in cui esso è stato stipulato dalle parti, stante la sua complessa evoluzione legislativa, ovvero:

  1. vietato in modo assoluto dall'art. 2233, terzo comma, cod. civ., nella sua originaria formulazione;
  2. successivamente, lecito in base alla modifica dell'art. 2233 cod. civ. da parte dell'art. 2 del d.l. n. 223 del 2006, convertito, con modifiche, nella legge n. 248 del 2006, che ne ha stabilito l'obbligo di forma scritta, sotto pena di nullità;
  3. infine, nuovamente vietato in base all'art. 13, co. 4, legge 31 dicembre 2012, n. 247" (Corte di Cassazione, SS.UU, sentenza n. 6002 del 4 marzo 2021).

Per questi motivi il Consiglio ha confermato la sussistenza dell'illecito, ma ha ritenuto di dover ridurre la sanzione nella sospensione in sei mesi dall'esercizio dell'attività professionale, in considerazione del comportamento complessivo dell'incolpato anche in relazione agli altri capi di imputazione.

 

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