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Avvocati e divieto di conflitto di interessi: tra terzietà, dignità professionale e condotta illecita

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La ratio del divieto di conflitto di interessi

L'avvocato nell'esercizio dell'attività professionale deve comportarsi in modo da evitare qualsiasi situazione di conflitto di interessi con il cliente [1] in quanto la sua funzione è diretta non solo a tutelare il bene giuridico dell'indipendenza effettiva e dell'autonomia dell'avvocato ma anche «la dignità dell'esercizio professionale e l'affidamento della collettività sulla capacità degli avvocati di fare fronte ai doveri che l'alta funzione esercitata impone. In buona sostanza, evitare situazioni di conflitto risponde all'esigenza di tutelare l'immagine complessiva della categoria forense, in prospettiva ben più ampia rispetto ai confini di ogni specifica vicenda professionale». Ne consegue che costituirà illecito disciplinare la condotta dell'avvocato posta in essere in violazione del divieto di conflitto di interessi anche (CNF, sentenza n. 206/2019):

  • nel caso in cui il professionista sia stato autorizzato dalla parte assistita resa edotta e, quindi, scientemente consapevole della condizione di conflitto di interessi (CNF, sentenza n. 206/2019);
  • nell'ipotesi di mancanza di danno effettivo (CNF, sentenza n. 206/2019). Infatti perché «si verifichi l'illecito, è sufficiente che potenzialmente l'opera del professionista possa essere condizionata da rapporti di interesse con la controparte» (CNF, sentenza n. 187/2019).  

    In pratica, «l'illecito contestato all'avvocato è un illecito di pericolo, quindi l'asserita mancanza di danno è irrilevante: il danno effettivo non è elemento costitutivo dell'illecito contestato» (CNF, sentenza n. 187/2019).

Il divieto di conflitti di interessi nella prassi e nella giurisprudenza

Si ritiene che:

  • «nell'esercizio dell'attività professionale, l'avvocato deve conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti di ogni genere, anche correlati a interessi riguardanti la propria sfera personale» (CNF, sentenza n. 174/2019);
  • affinché possa dirsi rispettato il divieto di conflitto di interessi non solo deve essere garantita la terzietà dell'avvocato, ma occorre che non vi siano situazioni o atteggiamenti tali da far intendere che non sussista indipendenza del professionista stesso. E ciò in considerazione del fatto che si tende a tutelare la condizione astratta di imparzialità e di indipendenza dell'avvocato e quindi anche laddove sussista la sola apparenza del conflitto, la condotta del professionista può integrare illecito disciplinare per violazione del divieto di conflitto di interessi (CNF, sentenza n. 60/2019);
  • anche il domiciliatario deve uniformarsi ai doveri di lealtà, correttezza, imparzialità ed indipendenza, sicché non può accettare incarichi contro propri clienti, a nulla rilevando che si tratti di procedimenti celebrati telematicamente mediante PCT e PEC ovvero con potenziale attività diretta del dominus. Il fatto che si tatti di attività diretta del dominus non elide né scrimina il conflitto, anche solo potenziale, di interessi in quanto, più che la forma giuridica nella quale viene svolta la collaborazione fra colleghi, assume rilevanza il rapporto stesso di collaborazione continuativa e pubblica, tale da indurre chiunque a dubitare dell'autonomia di determinazione dei professionisti partecipi al sodalizio che si trovino a tutelare soggetti con posizioni opposte»(Cass. SS.U.U., n. 6961/2019);
  • «il rapporto tra difensore e assistito deve essere sempre diretto e basato sulla fiducia, e l'avvocato deve evitare sempre di trovarsi in posizione di conflitto di interessi anche potenziale con il proprio cliente: ciò, tanto nell'ipotesi che sia il solo difensore, quanto nella diversa ipotesi che altri colleghi siano associati a lui nella difesa del cliente, giacché non vi è una ulteriore funzione di controllo o di garanzia che un difensore deve svolgere nei confronti dell'altro, che consenta l'elusione di una delle norme fondamentali che devono caratterizzare il comportamento dell'avvocato, che deve essere sempre improntato alla lealtà» (CNF, sentenza n. 164/2018).


Note

[1] Art. 24 Codice deontologico forense:

«1. L'avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale. 2. L'avvocato nell'esercizio dell'attività professionale deve conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti di ogni genere, anche correlati a interessi riguardanti la propria sfera personale. 3. Il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un'altra parte assistita o cliente, l'adempimento di un precedente mandato limiti l'indipendenza dell'avvocato nello svolgimento del nuovo incarico. 4. L'avvocato deve comunicare alla parte assistita e al cliente l'esistenza di circostanze impeditive per la prestazione dell'attività richiesta. 5. Il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale. 6. La violazione dei doveri di cui ai commi 1, 3 e 5 comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale da uno a tre anni. La violazione dei doveri di cui ai commi 2 e 4 comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura». 

 

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