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Avvocati, anno domini 2017: "sparirono i corpi e rimasero le ombre"

Cinquant´anni, una figlia, separata. Avvocata.
Non ho ereditato uno Studio dai miei genitori, né sono riuscita a infiltrarmi nelle lobbies di Banche, Compagnie di Assicurazione, Enti Pubblici. È stato impossibile. Non vanto conoscenze massoniche né clericali. Quelle partitiche, si sa, vanno e vengono. Instabili come foglie d´autunno, inaffidabili.
A suo tempo scelsi la professione per passione. Studiare diritto e scrivere mi piaceva, mi piace tuttora. Allora, scelsi l´avvocatura come si sceglie una missione. Più tardi, si è insinuata quella serpe della disillusione. Infine, è rimasto il nudo mestiere.
Ho seminato molto qui in provincia dall´inizio della professione, ma il raccolto non è giunto. A questa latitudine e in questa mia sciagurata generazione di mezzo, le vacche grasse non si sono mai affacciate. Si è trattato di stringere i denti. E io, io poi non ce l´ho fatta a superare l´onda che ci ha travolti. Non ce la faccio ancora.
Sopraffatta, è l´aggettivo giusto. In breve tempo, fallimenti, liquidazioni e chiusure volontarie hanno fagocitato i miei clienti, trascinandomi appresso senza colpa.
Faccio fatica anche a scriverlo: il mio reddito è insufficiente a pagare bollette, libri scolastici, cibo, abbigliamento, assicurazioni obbligatorie e benzina. Tanta benzina. Perché gli uffici giudiziari sono diventati sempre più lontani, si sa, soppressione dietro soppressione.
Se ho ancora un indirizzo di Studio devo ringraziare (si fa per dire) l´ospitalità gratuita di un collega, offertami un paio di anni fa, quando fui sul punto di chiudere baracca. Maschio, coetaneo, politico. Tutta un´altra storia, tutta un´altra vita. Decisamente un altro portafoglio.
Per ricambiare, da quando è cominciata l´apnea mi sono infilata in un vortice di riconoscenza che oggi mi strozza. Sono diventata fragile e non occorre l´analista per vederci chiaro e dire con lucidità - un velo appena di imbarazzo - che in Studio prostituisco la mia penna. Scrivo e studio per il collega, nell´ombra. Io scrivo e lui firma. A me la fatica, a lui i denari. Sorvolo sui meriti, in questo frangente diventati tristemente secondari.
Salti mortali tra le mie pratiche e le sue, le sostituzioni in udienza e la redazione di atti sotto scadenza. Perdippiù scrivo. Studio e scrivo. Atti, lettere, pareri, memorie, ricorsi, comparse, articoli per riviste di settore. Di tutto. Persino qualche discorso politico, è capitato.
In cambio, dispongo senza spese (!) di recapito di Studio, centralino, riscaldamento, aria condizionata, segreteria, cancelleria e soffici poltrone di pelle primo fiore in sala riunione.
In tutto ciò, non mi vergogno a dire che tra pagare Cassa Forense e fare la spesa ho scelto il cibo. Mia figlia studia al liceo, fa tanto sport e mangia. Sì, ho scelto il cibo, senza tentennamenti.
Non giungerò alla pensione, lo sento. Ma di pagare la Cassa, devo pagarla.
Dovessi morire in questo istante, mia figlia disporrebbe di un cuscinetto per terminare gli studi. Forse.
Dovesse prendermi un "grande evento morboso", in limine mortis mi spetterebbe una fetta di privilegio. Forse. Purché stesa nel letto di una clinica. Perché per meritare un dignitoso trattamento di malattia, devi affondare almeno un piede nella fossa eterna. Ipocriti.
La Cassa dunque va pagata. Per farlo, rateizzo il triennio di arretrati con Equitalia, che offre dilazioni più sostenibili. Ma non dimentichiamo i Contributi dell´anno corrente, e un mese sì e l´altro no si aggiunge pure la rata dell´IVA accumulata dallo scorso anno, non versata perché in tre mesi netti mi abbandonò il PC, saltò un tronco di fogna in casa e dovetti saldare il dentista, in coda già da due anni, poverino. Il tutto in attesa delle liquidazioni del gratuito patrocinio, dell´esito dei recuperi credito dei miei onorari e delle insinuazioni al passivo nei fallimenti dei miei stessi clienti storici. Cannibalismo sociale.
Mi privo del privabile, ovvio: vacanze, teatro, ristorante.
Mi inaridisco. Se non mi abbrutisco è perché so di essere ancora tra i fortunati. Mi sorregge la dolcezza, il senso dell´essere madre. Poi la salute regge. E infine tengo la barra a dritta con l´occhio fisso alla teoria del bicchiere. Mi sento una regina anche quando è totalmente vuoto. Vuoi mettere? Avere un bicchiere è già qualcosa. È più funzionale di una poetica giumella.
Sta di fatto che a cinquant´anni sono una nuova povera. Ed è dura da accettare.
Dice ... cambia lavoro, cercatene uno a stipendio. Magari! Ci ho provato, ma non è per nulla facile, lo sai? Un´avvocata di cinquant´anni non la prende nessuno qui a Mezzogiorno, nemmeno come segretaria. Anzi, a maggior ragione non prendono un´avvocata come segretaria. Ma nemmeno a Mezzanotte, ti assicuro. Ho cercato ovunque. Mi sarei trasferita ovunque. Niente.
Ho tentato anche i concorsi, cosa credi? Sono in attesa, ma qui il tempo passa e, come diceva mio nonno "un giorno esce e l´altro entra e l´alba non si vede ancora".
Allora mi sono fatta violenza, ho invocato la solidarietà del Consiglio dell´Ordine. Ma l´amico Presidente "... capisci - mi fa - è difficile collocare in qualche Studio una collega con vent´anni e passa di esperienza. Non è come caldeggiare l´assunzione di un giovane appena abilitato. Si teme la competizione, azioni di pirateria sulla clientela. Perché non fai domanda per il sussidio che riserviamo ai colleghi in difficoltà?"
E no, dai, Presidente, questo non me lo dovevi dire! Andiamo, su! Il sussidio no, è mortificante, umiliante, altro che decoro e dignità professionale. Il nostro è un piccolo Foro, ci conosciamo tutti, ti rendi conto? Io la chiamo vergogna. Tu lo chiami bigottismo? Può darsi. Per me è Vergogna.
E poi un sussidio non mi risolve il problema, scusa. Tra tre mesi sarei di nuovo punto e a capo, capisci?
Punto.
A capo.
Allora che si fa?
Qualcosa farò, in qualche modo. Qualcosa devo pur fare.
Mi avanza la sfrontatezza, per esempio, di scendere per sempre dalle scale di quello Studio, di rinunciare per sempre alla sala d´attesa e alle poltrone di pelle biancolatte e alla segretaria profumata, che mediamente guadagna più di me. Per ritirarmi a studiare e scrivere nell´ombra.
Se devo prostituirmi, che non sia più per riconoscenza. Preferisco l´onesto e coerente denaro.
Avvocato fantasma per conto terzi.
I limiti territoriali sono ormai abbattuti dalle tecnologie informatiche.
Si può fare, sì.
Ho esperienza forense ventennale. La prostituzione verbale è più recente ma decisamente intensa.
Dico proprio a te, quindi, senza distinzione di genere: collega avvocato, notaio, magistrato (togato e non), professore o assistente universitario, giurista a qualsiasi titolo, editore.
Ti sto dicendo che voglio vendermi sul mercato come ghost writer lawyer.
Hai urgenza di una ricerca e non hai tempo? Hai necessità di scrivere una memoria e sei in affanno? Un articolo da pubblicare a tuo nome? Un contratto, un patto parasociale, una scrittura parallela? Un capitolo, una tesi da ultimare?
La mia penna può scrivere per te.
Invisibile per mandato, posso darti voce per iscritto.
Prezzi da concordare caso per caso, come la tempistica e la modalità di esecuzione. Fatturazione con partita Iva - prestazioni di collaborazione professionale. Tutto regolare.
E bada, questo mio grido non è una semplice provocazione.
La mia storia è autentica. Solo, l´ho ritoccata per scongiurare riconoscibilità.
Il mio bisogno è reale. La mia richiesta di lavoro è sincera.
Sono certa che comprenderai bene le ragioni per cui non ho coraggio, qui, di mettere in gioco il mio volto e l´amato titolo.
Per le stesse ragioni, mi svesto della mia identità reale e, vigliaccamente, mi firmo
Claretta dall´Ombra
ghost writer lawyer
Contattabile all´indirizzo email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Claretta dall´Ombra

 

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