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Dalle spiagge precipitosamente agli studi, "termini" legali ripartono: ipocrisia del 1^ settembre, tra abbandoni e promesse mancate

Siamo a domenica 21 agosto, e con la giornata di oggi (il meteo dice bel tempo al centro-sud, un po´ meno al nord) si chiude la settimana di Ferragosto, ed incombe ormai la ripresa piena della attività.
Una ripresa che, ammesso che tale si possa definire dato che a nessuno di noi risulta che ci sia del tutto fermati, sarà tra le più rapide di sempre, a causa dello spostamento - dal 16 settembre al 31 agosto - del termine finale della sospensione feriale, deciso un anno fa dal Governo.
Il quale, ricordiamolo, aveva originariamente proposto addirittura la data del 20 agosto, immaginando improbabili processi celebrati dai giudici sotto gli ombrelloni, data la impraticabilità, con 30 e più gradi meteo, di molte delle aule di tribunale ancora non dotate di impianti di climatizzazione).
In molti, allora, commentammo che si trattava di un provvedimento ipocrita, dato che nessun giudice avrebbe mai fissato alcuna udienza "ordinaria" nè l´1 nè il 2 settembre, ma i termini legali sarebbero invece decorsi comunque.
Il Governo andò avanti per la sua strada e siamo qui.
Quindi, di riprende, e questa ripresa è però distinta da numerose incognite, a partire, per molti professionisti, dalla stessa possibilità di "sopravvivenza".
I dati riguardo agli abbandoni, in particolare dei giovani avvocati, parlano chiaro.
Parlano di una situazione di declino generale, come quella attuale, che dipende, in buona misura, dalla mancata adozione di misure, richieste inutilmente da anni ed anni, ma mai adottate.
In una situazione come quella italiana, distinta da un aumento enorme del numero dei professionisti legali (fino, in alcuni Fori, a una loro decuplicazione ed oltre negli ultimi dieci anni) e dal naturale assottigliarsi della platea media di Clienti potenzialmente destinata a ciascun professionista, il buon senso dovrebbe consigliare alla politica e alle istituzioni di introdurre subito delle misure. Per esempio, un limite per l´accesso alle facoltà di Giurisprudenza e alla pratica forense.
Per esempio, misure che possano in qualche misura sostenere i professionisti "sopravvissuti" ad una crisi che ha assunto ormai da anni contorni sistemici.
Ma il buon senso raramente è stato assunto quale criterio del governare, ed infatti nessuna di queste misure è stata mai adottata.
Non è normale che al termine di un periodo, lungo decenni, nel quale il nostro sistema accademico ha fatto opportunisticamente credere ad una moltitudine di neodiplomati con qualche propensione per il diritto, che una semplice immatricolazione fosse sufficiente a spalancare magicamente a ciascuno di loro le sontuose porte dell´Avvocatura, adesso, con un esercito di avvocati da far paura al mondo intero, si possa pensare d´amblais di resettare tutto, introducendo ad esempio misure improntate ad una Giustizia fai-da-te perchè, in fondo dei conti, di un legale può sempre farsi a meno.
Non è normale che in un periodo di crisi come quella che il nostro paese sta vivendo, e dalla quale non si intravvedono che deboli segnali di fuoriuscita, quando si deve discutere di una legge finanziaria, il pensiero virale debba essere quello di "ritoccare" la misura del contributo unificato, o a escluderne qualche esenzione.
Non è normale che, tanto più in anni nei quali, dalle inchieste della magistratura, sembra che la corruzione pubblica sia tornata a livelli ante 1992, debba di fatto continuare ad essere precluso ai cittadini e alle imprese il ricorso alla giustizia, a causa della insostenibilità, per moltissime di esse, dei costi economici a causa di un contributo "stellare" (iniziale) oscillante tra i 2000 e i 6000 euro.
Non è normale che moltissime imprese piccole e medie siano nei fatti impossibilitate ad impugnare davanti ad un Tar un bando di appalto o l´esito di una procedura d´appalto, cioè l´insieme di atti della p.a. più permeabili, insieme all´urbanistica e ai rifiuti, al malaffare e alla criminalità, finendosi così (anche) per sbarrar loro le porte della giustizia e della tutela dei diritti, in quanto in molti casi i benefici che ne ritraebbero anche in caso di esito favorevole sarebbero inferiori alle spese che dovrebbero subito affrontare.
Non è normale che la liberalizzazione (giusta) debba accompagnarsi alla attuale tabella degli onorari e dei compensi liquidabili dal giudice, che è sbagliata e addirittura cervelloticamente irrazionale.
Non è normale, per esempio, che al termine di una procedura "Pinto" possa esser liquidata ad un legale da un organo giudiziario, a fronte di tutta l´opera prestata, una somma "cash" pari a 250 euro, secondo parametri orari che sarebbero giustamente rifiutati anche da una ...collaboratrice domestica, beninteso, con il massimo rispetto per questa dignitosissima categoria.
N9n è normale che debbano essere richieste ai giovani avvocati somme per contributi previdenziali spropositate in sè, e molto di più quando, collegandosi al sito della Cassa Forense e facendo qualche simulazione con i programmini di calcolo della pensione, il malcapitato che, riuscito a pagare tali quote alla Cassa, si accosta al programmino con malcelata soddisfazione, debba scoprire che il "tesoretto" accumulato, tradotto in ratei pensionistici, è più o meno quello che un tempo, da altre generazioni di professionisti del Foro, era destinato alle spesucce.
Non è normale che, sull´onda delle misure introdotte con la legge 247 del 2012 che, come noto, ha imposto a tutti gli iscritti al l´albo di iscriversi anche alla Cassa, qualunque ne fosse il reddito, e dopo che l´impennata di iscritti dei primi due anni (circa 50.000 secondo dati ufficiali) ha portato ad introiti ulteriori per circa 70 milioni, si debba poi assistere all´abbandono di ben 8000 neo iscritti.
Non è normale che questo dato debba essere interpretato come un successo, in quanto il rapporto tra iscritti attivi e a riposo risulterebbe migliore rispetto ad altre categorie professionali, e non, piuttosto, come la premessa da cui partire per aprire la strada ad un tentativo di comprensione del fenomeno e di ricerca di soluzioni praticabili idonee a limitare la marginalizzione di molti professionisti.
Il tutto, senza considerare, così come abbiamo anche ultimamente commentato sulle nostre pagine, che il decreto ministeriale sulle condizioni per l´esercizio continuativo della professione legale (e quindi per la permanenza della iscrizione all´albo) stabilisce che la cancellazione sarà automatica per i legali che non siano titolari di una posizione IVA, che non abbiano disponibilità di locali, linea telefonica e PEC, e che non si siano dotati di una assicurazione RC e che non abbiano assolto gli obblighi di formazione. Giusto e legittimo, ma, come è stato osservato, in mancanza di un progetto serio di rilancio della categoria, "rebus sic stantibus", che passa preliminarmente per la tutela dei suoi iscritti più in difficoltà, la applicazione di questo decreto altro non sarà che una sorta di eliminazione manu militari di una parte degli iscritti all´albo. Inaccettabile.
Nb: mentre scriviamo, ad alimentare ulteriore incertezza sul clima generale ci si è messa anche la Suprema Corte di Cassazione, che, con una recentissima sentenza (la n. 16697 del 9 agosto), depositata a distanza di quattro-giorni-quattro dalla n. 16640 della Sesta Tributaria, è riuscita a contraddirsi riguardo la questione degli accrediti sui conti correnti bancari del professionista, considerati quali incassi dalla più recente, mentre, quattro giorni prima, non lo erano affatto, essendo dichiarata la impossibilità della presunzione di imputazione di prelevamenti e versamenti sui conti correnti bancari ai ricavi ottenuti con la propria attività dai professionisti, cosicchè era il Fisco ad essere ritenuto onerato della dimostrazione che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario del professionista riguardassero proprio la sua attività, in quanto, in ipotesi di indagini nei confronti di titolari di reddito di lavoro autonomo, era stato affermato, sia i prelevamenti sia i versamenti privi di idonea giustificazione, non possono automaticamente costituire maggiori compensi, ma, appunto, l´amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare la loro correlazione tra con la professione intellettuale (e non) esercitata.
Principi affermati con enfasi, salutati con entusiasmo da molti opinionisti e giuristi, cancellati come con un colpo di spugna in quattro-giorni-quattro !
Con il che, insieme a tutte le altre incognite, bisogna adesso augurarsi che un intervento delle Sezioni Unite possa chiarire la questione, e che, medio tempore, non ci si metta anche l´amministrazione finanziaria, con le sue cervellotiche presunzioni che ben conosciamo, a rendere ulteriormente difficile la vita quotidiana ai professionisti.
Queste le incognite e i problemi che troveremo al nostro rientro.
Ma, per un momento, non pensiamoci, nonostante tutto, la nostra professione rimane una delle più belle del mondo.
Buon rientro a chi lo farà domani.
Noi della redazione

 

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