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Un vecchio uomo politico amava sostenere che in politica non sempre due più due fa quattro. E le argomentazioni, il più delle volte, venivano tratte dai commenti di tutti i leader politici che, puntualmente, al termine di un confronto elettorale, avevano, ed hanno, la pretesa di dichiararsi vincitori. E questo al di là dei risultati ancorati ai numeri e alle percentuali. E questo ieri come oggi!
Di norma venivano in aiuto i parametri delle elezioni precedenti. Parametri letti ed interpretati ad uso proprio.
Non importavano i riferimenti oggettivi dei precedenti confronti elettorali.
Importante era dimostrare all'elettore che tutti, in qualche modo, avessero vinto.
Ma con il passar del tempo l'elettore si è stancato di questo ridicolo confronto, che sapeva tanto di mortificazione "forzata" dell'intelligenza umana.
E a nulla sono valsi, e valgono, i richiami di quei politici che della coerenza ideologica avevano fatto scelta di vita. La disaffezione alla politica è diventato un tumore che rode, anno dopo anno, elezione dopo elezione, sempre una maggiore fetta dell'elettorato. Con buona pace di chi ha continuato a sostenere la bontà della "morte delle ideologie", le ruberie dei politici e chi più ne ha più ne metta.
Il fenomeno, contrariamente a quanto si sostiene, non era tipicamente italiano, ma investiva, anche moltissimi Paesi europei.
Del problema se n'era occupato, sia con articoli sia con pubblicazioni, il politologo inglese Ralf Dahrendorf, già rettore della London School of Economic.
Scrive Dahrendorf: "Qualcosa è accaduto alla democrazia nel senso di governo eletto dal popolo, ed è accaduto in tutto il mondo. In qualche modo i cittadini hanno perso fiducia nelle elezioni. La partecipazione sta venendo meno in molti Paesi; nel caso delle elezioni al Parlamento europeo, il livello dei votanti è così basso che è possibile dubitare della legittimità del risultato. Ma partecipazione a parte, ci siamo ormai abituati ad accettare che i partiti o i candidati che ottengono il 25 % dei voti popolari sono da ritenere dei 'vincenti'. Dall'Olanda alla Finlandia, dall'Argentina al Giappone, governi maggioritari sono formati con sostegno minoritari". Ed eravamo nel 2003, quando il prof. Dahrendorf pubblica questo articolo in un giornale svizzero di lingua italiana.
Di regola si sostiene che, comunque, è sempre un bene andare a votare e che non bisogna lasciare campo ai soliti "furbi della politica". Ma questi richiami sembrano cadere nel vuoto. E non solo, anzi soprattutto per i giovani.
Ne fanno fede le percentuali di astensioni che cominciavano a verificarsi, un po' ovunque in Europa, proprio in quegli anni in di cui si occupava il prof. Dahrendorf: "I cittadini sono diventati impazienti come mai fino ad oggi. Come consumatori sono abituati alla gratificazione immediata. Ma in veste di elettori devono attendere parecchio prima di poter vere i risultati delle scelte fatte al momento del voto. Qualche volta questi risultati non li vedono mai. La democrazia ha bisogno di tempo, non solo per le elezioni, ma per poter deliberare e per attuare controlli e bilanciamenti. Il consumatore-elettore, tuttavia, questo non lo accetta e per tale ragione tende a girare le spalle al sistema.
Di anno in anno, gli appuntamenti elettorali in Italia non hanno conosciuto grandi numeri di partecipanti. Quasi un terzo degli elettori preferiva, e preferisce, rimanere a casa, creando una disaffezione al voto sempre crescente. E pericolosa.
Certo non può fare testo l'ultimissima votazione effettuatasi recentemente a Roma in occasione delle elezioni suppletive per la Camera, per la sostituzione di Roberto Gualtieri che ha visto vincitrice Cecilia D'Elia vince con un 59,43%. Ma a dominare è l'11% degli aventi diritto è andato a votare. Certo un'eccezione ma stiamo attenti alle sorprese.
Se guardiano i dati della partecipazione alle urne dei cittadini aventi diritto di voto alle tre ultime tornate elettorali abbiamo questi numeri: elezioni 2008, partecipanti 78% sia per l'elezione della Camera sia del Senato; elezioni 2013, partecipanti 72% sia per la Camera sia per il Senato; elezioni 2018, partecipanti 73% per l'elezione della camera sia il 71% per il senato.
Ma l'elezione del 2018 fa registrare una valanga di voti sia al Movimento 5Stelle, 32.68%; sia alla Lega 17.35.
Una sorpresa che ha permesso ai due partiti di dare vita ad un governo bi-colore, giallo-verde, ma non di grande durata.
Dopo una crisi di governo, il Movimento 5Stelle forma un governo, tripartitico, giallo-rosso, sia con il Partito democratico sia con il Partito Libertà e Uguaglianza.
Se partissimo da questo ultimo dato, forse potremmo cominciare a ricostruire una serie di rapporti tra il cittadino-elettore e le Istituzioni che non potrebbe non fare bene alla democrazia.
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Rosario Antonio Rizzo
Dopo il conseguimento del diploma di insegnante di scuola elementare all’Istituto magistrale “Giuseppe Mazzini” di Vittoria, 1962, si reca in Svizzera, dove insegna, dal 1964 al 1975, in una scuola elementare del Canton Ticino.
Dal 1975 al 1999 insegna in una scuola media, sempre nel Canton Ticino e, in corso di insegnamento dal 1975 al 1977 presso l’Università di Pavia, acquisisce un titolo svizzero, “Maestro di scuola maggiore” per l’insegnamento alla scuola media. Vive tra Niscemi e il Canton Ticino. Ha collaborato a: “Libera Stampa”, quotidiano del Partito socialista ticinese; “Verifiche” bimensile ticinese di scuola cultura e società”; “Avvenire dei lavoratori”; “Storia della Svizzera per l’emigrazione”“Edilizia svizzera”. In Italia: “Critica sociale”; “Avanti”; Annali” del Centro Studi Feliciano Rossitto; “Pagine del Sud”; “Colapesce”; “Archivio Nisseno”.