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Aree destinate a servizi pubblici, quando sono considerate aree legalmente edificabili ai fini dell'indennità di esproprio

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 Con ordinanza n. 21914 del 7 settembre 2018, la Corte di Cassazione, ha stabilito che quando la legge regionale prevede che le aree oggetto della pianificazione comunale si considerano legalmente edificabili, anche se destinate a servizi pubblici, resta valido il conseguente riconoscimento di un valore di mercato che, pur essendo superiore a quello dei suoli aventi destinazione agricola, risulta comunque ampiamente inferiore a quello corrente nel medesimo Comune per le aree residenziali. Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'attenzione dei Giudici di legittimità. Il Comune ricorrente si è opposto alla stima dell'indennità di esproprio riconosciuta ai proprietari di aree incluse nella zona destinata ad attrezzature d'uso e d'interesse pubblico. In buona sostanza, a parere del ricorrente, tale indennità è stata calcolata equiparando la suddetta area espropriata ad un suolo edificabile. Il che, secondo l'ente comunale, non è possibile in quanto l'art. 37 d.P.R. n. 327 del 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità)esclude l'edificabilità in presenza non solo di un apposito vincolo, ma anche di qualsiasi piano o provvedimento che precluda il rilascio di atti abilitativi alla realizzazione di edifici e manufatti di natura privata. Inoltre, a dire del Comune, siccome l'edificabilità s'identifica con l'edilizia privata, la destinazione pubblicistica di un'area è di per sé idonea ad escluderla; un'esclusione, questa, che resta ferma anche se la zona è urbanizzata. Da tale ragionamento, il ricorrente deduce che, nel caso di specie, essendo stata inserita l'area in questione nell'ambito di quelle destinate a servizi pubblica, è stata esclusa:

  • da un lato, ogni possibile edificabilità del suolo,
  • dall'altro, ogni potenzialità edificatoria di tipo privato.

Il caso è giunto all'esame della Suprema Corte di Cassazione. I Giudici di legittimità, innanzitutto, partono dalla norma su richiamata (art. 37 suindicato), sostenendo che tale disposizione, ai fini della determinazione dell'indennità, distingue tra aree edificabili e aree non edificabili. Tuttavia, tale distinzione non deve far trascurare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'emanazione del decreto di esproprio o dell'accordo di cessione. In pratica, a parere della Corte,

  • se, da un lato, è vero che il criterio per individuare la destinazione urbanistica di un'area è quello dell'edificabilità legale, mentre quello di edificabilità di fatto (che ha ad oggetto le caratteristiche obiettive della zona e le concrete possibilità di sfruttamento del fondo espropriato) è un criterio meramente sussidiario e complementare, utilizzabile in mancanza di strumenti urbanistici oppure ai fini della concreta determinazione del valore venale di un immobile del quale sia stata accertata l'edificabilità legale (cfr. Cass., Sez. I, 27/03/2014, n. 7251; 14/02/2012, n. 2062; 22/08/2011, n. 17442); e
  • e dall'altro è vero che non bisogna escludere il fatto che l'edificabilità non si esaurisce in quella residenziale abitativa, perché tiene conto di altri tipi di utilizzazione che possono avere ad oggetto sia interventi pubblici che interventi del privato, con l'ovvia conseguenza che ove siano previsti solo interventi pubblici, tali aree andranno qualificate come non edificabili (cfr. Cass., Sez. I, 28/09/2016, n. 19193; 24/06/2016, n. 13172; 13/01/2010, n. 404);
  • è altrettanto vero che non bisogna dimenticare che la legislazione, soprattutto quella regionale, si è mossa per introdurre strumenti diretti a ridurre il sacrificio delle zone destinate a servizi pubblici, rispetto a quelle interessate ai programmi di trasformazione urbana.  

In buona sostanza, alcune Regioni hanno dettato criteri di stima dell'indennità di esproprio i) che tengono conto della valorizzazione delle caratteristiche concrete dei suoli destinati a servizi ed attrezzature pubbliche e ii) che attribuiscono a tali suoli, che ricadono nel perimetro urbano, un carattere di edificabilità, con la previsione della possibilità di adottare misure compensative o di stipulare accordi di cessione che prevedano la facoltà di edificare su aree diverse da quelle espropriate. Orbene, tornando al caso di specie, a parere dei Giudici di legittimità, bisogna partire proprio dalla legge regionale di riferimento, che nella fattispecie, stabilisce che per i suoli destinati a servizi pubblici, quando sono inseriti in aree in cui sono presenti, o sono in fase di realizzazione, le opere di urbanizzazione primaria richieste dalla legge, il valore di mercato da assumere come riferimento ai fini della liquidazione dell'indennità per la loro espropriazione va determinato sulla base di una valutazione delle concrete possibilità di sfruttamento a fini edilizi. Tali potenzialità edilizie saranno desumibili:

  • dall'esistenza di opere di urbanizzazione primaria, ed in ogni caso dallo sviluppo edilizio già in atto nella zona;
  • dalrapporto con le aree limitrofe,
  • dall'esistenza e dall'utilizzabilità di impianti di servizi pubblici essenziali ed infrastrutture necessarie alla vita di una comunità sociale.

Orbene, nella fattispecie di cui stiamo discorrendo, il suolo oggetto della controversia presenta le caratteristiche suddette, con l'ovvia conseguenza che, secondo la Corte di Cassazione, l'indennità stimata è da ritenersi coerente al valore di mercato del suolo, che non potendo essere classificato come suolo a destinazione agricola, è da un lato i) superiore al valore di quelli con tale tipo di destinazione, e dall'altro è ii) sia in linea con il valore dei fondi con potenzialità edilizie che ampiamente inferiore a quello corrente nel medesimo Comune per le aree residenziali. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, i Giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso. 

 

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