Lo scorso 9 gennaio, quando le ombre della sera cominciavano ad avvolgere Catania, Anna Ruggieri ha lasciato questo mondo. Si è spenta dopo una lunga malattia una Collega che, per 40 anni, ha illustrato la Toga, il Foro ma soprattutto quei principi - solidarietà, altruismo, dedizione al prossimo, predilezione per gli ultimi di questo mondo, gratuità dell´impegno - che possono fare di una vita una bellissima storia, destinata a rimanere nella memoria di tanti per tanti anni.
È stata un grande avvocato, con una passione per il diritto penale è quello di famiglia e minorile, ma anche una combattente per i diritti civili e la parità tra i sessi. Impegnata in politica in prima persona nel Partito Comunista etneo, più che a competere per assumere cariche e ricoprire poltrone - non era interessata né alle prime né alle altre - durante la sua lunghissima militanza si è concentrata sulla quotidianità di un impegno tenace e disinteressato: portandosi nei quartieri dormitorio della città etnea, abbandonati al proprio destino e privi dei più elementari servizi, prendendo parte a numerosissime associazioni per denunciare soprusi e ritardi della politica e delle istituzioni, combattendo una straordinaria battaglia per l´emancipazione delle donne e la parità tra i generi.
Se n´è andata una magnifica donna e un grande avvocato, ed adesso tutti noi siamo un po´ più soli. Desideriamo ricordarla prendendo in prestito alcuni stralci di due scritti: il primo pubblicato da Marinella Fiume su Noidonne.org il 12 gennaio, pochi giorni dopo la sua morte, ed il secondo pubblicato da Antonino Ciavola nella sua bacheca Facebook pochi giorni fa ma scritto nell´ormai lontano 2005 ed allora pubblicato su Altalex, nel quale, al paragrafo 4), emerge la straordinaria personalità di Anna Ruggieri, in quel momento impegnata, da avvocato, a sostenere la cura Di Bella, che da lì a poco avrebbe portato la Consulta ad intervenire a con una notissima sentenza che ha segnato gli anni più recenti della nostra storia.
Ai familiari di Anna e a quanti ne furono compagne e compagni nelle strade, polverose da Ella percorse; alle Colleghe e ai Colleghi del Foro etneo e degli altri che ebbero la fortuna di conoscerla; alle cittadine e ai cittadini che beneficiarono del suo impegno, a tutti esprimiamo le nostre condoglianze.
Il direttore
Avv. Piero Gurrieri
Marinella Fiume su Noi Donne
Nel tardo pomeriggio di Martedì 9 gennaio, dopo una lunga malattia, Anna Ruggieri è morta a Catania. Anna Ruggieri è stata per tutti l´avvocata avendo esercitato per più di quarant´anni e con passione la professione nel suo studio di Piazza Europa a Catania, occupandosi di processi penali e di diritto di famiglia.
Raccontava che una volta in Pretura un tizio che voleva un´informazione le chiese: "Signora o signorina?". E lei rispose provocandogli grande imbarazzo: "Avvocato!".
Per alcuni anni assistente universitaria di Istituzioni di Diritto e Procedura penale, è stata giornalista pubblicista con collaborazioni in diverse testate, componente della Commissione di Bioetica dell´Oasi Maria Santissima di Troina, del Direttivo dell´Osservatorio nazionale sul Diritto di Famiglia - sezione di Catania, socia della Società delle Storiche. Studiosa e attivista del pensiero filosofico e delle pratiche del femminismo, veniva spesso chiamata per conferenze e dibattiti televisivi in materia di lotta contro le violenze sessuali sulle donne e per la tutela dei minori.
La sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile per le sue battaglie in difesa dei diritti delle donne per le quali si è sempre battuta, con coraggio e onestà intellettuale, sostenendo anche la difesa, in campo penale, di molte donne, anche minorenni, vittime di abusi sessuali quando se ne parlava ancora molto poco.
Figura storica della sinistra catanese, fu tesserata e militante del PCI di Catania, tuttavia le sue posizioni non erano mai dogmatiche ma sempre critiche, tanto sul fronte del Partito quanto su quello delle donne.
Profondamente credente, si appassionava a problemi teologici e di fede e collaborava attivamente con l´Istituto siciliano di Bioetica e Cultura. Ma soprattutto era l´anima di iniziative culturali a Catania e provincia e un po´ in tutta l´Isola.
Particolarmente attiva nell´Acese, grazie al lungo sodalizio culturale con i professori Antonio Pagano, grecista, latinista e cultore di tradizioni popolari e di storia patria, e Salvatore Consoli, animatore del Cinefoto club Galatea. Non c´era argomento di natura culturale, talk show televisivo, presentazione di libri che non la vedesse coinvolta da protagonista sempre a titolo gratuito, anche perché non sapeva mai dire di no agli amici che la cercavano per la sua profonda umanità, per la brillantezza e il modo colloquiale con cui sapeva comunicare.
Di tutto era in grado di parlare con competenza, anche di agrumicultura, figlia com´era di un grande professore universitario di Agraria che le aveva trasmesso l´amore per i prodotti della nostra terra e soprattutto gli agrumi della riviera acese.
Impegnata nelle battaglie antimafia, aderì anche al "Comitato dei lenzuoli contro la mafia Catania - Messina" e portò avanti iniziative contro il racket delle estorsioni e per la diffusione della cultura della legalità nelle scuole. Chissà come trovava il tempo per fare a tutti, specialmente agli anziani e agli ammalati, ai carcerati, una telefonata, una visita, portando sempre un dolce o un lavoro all´uncinetto fatto dalle sue mani! (...) Era innamorata dei libri che comprava in gran quantità tanto per sé quanto per farne dono agli altri. Scriveva, e assai brillantemente, dagli articoli specialistici di diritto penale, a quelli di costume e satira politica, a quelli con cui condivideva le battaglie cittadine di Italia Nostra, alle recensioni librarie.
Il regalo più bello che potesse ricevere dalle amiche erano le scatole decorate con i disegni più vari, e in queste sue famose "scatole" selezionava e custodiva ritagli di articoli e fotocopie su svariati temi, pronti all´occorrenza ad essere ripresi per una conferenza, un convegno, un articolo, una trasmissione televisiva.
La cifra del suo impegno e della sua scrittura può definirsi "rivendicativa" del diritto di pensare e scrivere fuori dal coro, come quando, dall´alto della sua lunga esperienza in fatto di Diritto di famiglia, stigmatizzava la madre che "si mette in testa di far diventare orfano dell´altro genitore i figli impedendo loro di incontrare l´altro genitore" o il comportamento di "alcune donne, un tempo omertose su sopraffazioni e abusi in famiglia, che usano il ricatto dell´accusa sessuale verso il padre dei loro figli", finendo col chiedersi se "hanno digerito male la lezione femminista" e infine interrogandosi sul perché le donne italiane non votino per le altre donne ("invidia e diffidenza di genere?") mentre "esiste tanta capacità femminile di allearsi per progetti comuni, utili per una pluralità di persone!".
Con queste donne non era tenera, fino alla affermazione che oggi tra le donne devianti, fuori dalla delinquenza vera e propria, non possiamo comprendere solo le assassine, le ladre, le mogli conniventi degli incestuosi e le donne complici di spacciatori e mafiosi, ma dobbiamo comprendervi anche le mogli – difensori dei violentatori, le donne che tacciono per comodità, le mantenute (mogli e amanti di uomini ricchi), ovvero le escort, abituate a passare il loro tempo tra il parrucchiere, lo shopping, le partite a carte, gli impegni mondani e il conto in banca. E ancora le impiegate assenteiste, le utilizzatrici di maternità, mestruazioni, influenze, coliti, stati ansiosi-depressivi...
Dobbiamo considerare devianti quelle donne che continuano a tradire se stesse e le altre donne... che io chiamo forza-appoggio del potere maschile". Impietosa la conclusione del ragionamento: "il femminismo non è mai diventato un movimento di massa perché ha parlato delle malefatte degli uomini, ma non ha parlato delle malefatte delle donne".
Scrittura rivendicativa anche della presenza delle donne nella storia, malgrado questa le abbia colpevolmente obliate (...)
Tra le ultime sue uscite pubbliche la partecipazione al cortometraggio "Fuitina" di Salvo Spoto e Vito Trecarichi sul costume della fuga d´amore e in omaggio a Franca Viola, la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore. La norma invocata a propria discolpa dall´aggressore, l´articolo 544 del codice penale, secondo la quale il matrimonio che l´autore del reato contragga con la persona offesa estingue il reato, sarà abrogata con la legge 442, promulgata il 5 agosto 1981, a sedici anni di distanza dal rapimento di Franca Viola, e solamente nel 1996 lo stupro sarà legalmente riconosciuto in Italia non più come un reato "contro la morale", bensì come un reato "contro la persona"".
Toni Ciavola sulla propria bacheca (riprendendo l´articolo "Metodo Di Bella (ci vuole un fisico bestiale)" pubblicato su Altalex 05/10/2005 che, al punto 4, parla di Anna).
"all´Avv. Salvatore Ciavola, mio padre.
1. La prima sconfitta
Era il 1997 quando il mio amico Enzo Mellia, durante la pausa di una interminabile seduta del Consiglio dell´Ordine, mi propose di assumere una difesa relativa al Metodo Di Bella; in quel momento, non sapevo neanche di cosa parlasse.
E non sapevo, né potevo immaginare, che quell´incarico avrebbe cambiato il mio modo di intendere la professione di avvocato e, forse, la mia stessa vita.
Non conoscevo l´argomento, eppure i giornali erano pieni di notizie su questo argomento; ricordai di aver seguito alcuni servizi in TV che narravano di sentenze del Pretore di Maglie ... ma dove diavolo era Maglie?
Comunque, accettai. E subito iniziai a documentarmi, apprendendo di non essere il solo a seguire l´argomento, perché già vi erano stati alcuni ricorsi proposti al Pretore di Catania.
Venne a trovarmi in studio la figlia del cliente. Una donna bella, ancora giovane, ma prostrata dai sacrifici che la sua famiglia stava sopportando.
Il padre – il mio cliente - era un uomo poco più che sessantenne, affetto da tumore al pancreas, al quale la medicina ufficiale aveva tolto ogni speranza di sopravvivenza.
Disperato, si era rivolto a un medico di Acireale che applicava la famosa cura Di Bella, dal costo elevatissimo, non prescrivibile a carico dello Stato; e le prime applicazioni avevano funzionato, consentendo al malato (che giaceva stremato in fondo al letto) di rialzarsi e di riprendere una vita normale, fino a quando le risorse economiche erano finite.
Proponemmo così un ricorso per provvedimento di urgenza, scritto sulla falsariga di un analogo atto predisposto dal collega Biagio Impellizzeri, che assisteva un altro malato in condizioni analoghe.
Il mio ricorso fu depositato il 14 gennaio 1998, e quel giorno iniziò l´ultimo mese di vita del mio cliente.
Continuando ad informarmi con le simpatiche signore della cancelleria sulle altre analoghe cause pendenti davanti alla Pretura di Catania, appresi dell´esistenza di molti ricorsi per i quali si era formata una corrente giurisprudenziale ben diversa rispetto a quella di altre parti d´Italia; lì si accoglieva, qui si tendeva al rigetto dei provvedimenti ex art. 700.
Correva voce che i Pretori, chiamati a decidere quali giudici del lavoro, si fossero riuniti decidendo di rigettare i ricorsi in argomento.
Nel frattempo, la questione a livello nazionale diventava politica, e poiché il Ministro della Sanità in carica, che si opponeva alla concessione della cura gratuita, era di centro sinistra (Rosy Bindi) quello che appariva sui giornali era che il trattamento Di Bella apparteneva alla destra.
Incontrai un paio di volte il collega Biagio Impellizzeri nonché l´altra collega Piera Paladino, che a sua volta assisteva altri malati.
Messa a punto una convincente strategia difensiva mi recai fiducioso a discutere il mio ricorso, mentre i loro erano già stati rigettati.
Eppure, il punto di diritto non sembrava poi troppo complicato: il cocktail di farmaci ideato dal prof. Di Bella e prescritto dai medici suoi seguaci risultava indispensabile per la sopravvivenza dei pazienti, ma i farmaci in questione non erano inclusi nel prontuario terapeutico tra quelli prescrivibili a carico del servizio sanitario nazionale.
E poiché tale prontuario terapeutico è un atto amministrativo, il giudice civile aveva il potere di disapplicarlo ordinando alle aziende ospedaliere e alle USL, anche in via d´urgenza, la somministrazione gratuita.
Ero certo che l´orientamento dei Pretori catanesi fosse errato, così come ero certo di poter convincere il Giudice della mia causa a cambiare l´orientamento, seppur concordato con gli altri pretori ai fini di garantire l´uniformità di giudizio.
E naturalmente, fiducioso sull´autonomia e sull´indipendenza dei giudici, ritenevo che le questioni dibattute sulla natura politica del metodo Di Bella (di destra o di sinistra) fossero soltanto invenzioni giornalistiche.
Questa mia ferma convinzione non fu assolutamente scalfita dalla motivazione del Pretore, che citò nel suo provvedimento anche una relazione pubblicata sul noto quotidiano L´Unità.
Il Pretore rese vani tutti i miei sforzi e rigettò quel provvedimento tanto agognato dal mio cliente, affermando nella stessa dotta motivazione che la prescrizione medica prodotta in atti costituiva una sia pur convinta valutazione soggettiva dell´indispensabilità del farmaco che però non poteva convincere il giudice come atto di fede.
L´ordinanza fu depositata il 21 gennaio 1998 ed il mio cliente, unitamente ai suoi familiari, la commentò con le parole "è una sentenza di condanna a morte".
Incontrai i colleghi che, con me, condividevano questa lacerante sconfitta. E dissi loro che, se guerra era, noi eravamo certamente dalla parte dei giusti.
2. La vittoria di Pirro
Preparammo in poche ore i reclami al Tribunale, incoraggiando i clienti a resistere perché la decisione sarebbe giunta in tempi brevissimi.
Il ricorso fu presentato il 26 gennaio 1998; nel frattempo, i clienti ormai indebitati erano costretti a sospendere la cura per mancanza di denaro.
Rileggere quei ricorsi in appello a distanza di anni dà una sensazione strana; non più solo diritto, non più citazioni di giurisprudenza, ma cuore e diritto uniti in quella che non era più soltanto una causa, ma una sorta di missione.
La discussione avvenne il 10 febbraio, e ne uscii fiducioso: il Collegio mi aveva ascoltato e guardato con orecchie ed occhi palesemente diversi rispetto a quelli del Pretore.
Il 14 febbraio andai in Cancelleria, ancora una volta come avevo fatto l´11, il 12 e il 13: e subito mi dissero "eccolo... hanno accolto tutti i reclami! Bravi!"
Era passato un mese dal deposito del primo ricorso, e finalmente la Giustizia aveva trionfato. Così pensavo mentre cercavo un telefono per avvertire il cliente, non sapendo quale strano scherzo il destino ci avesse giocato.
Il mio cliente era morto la sera prima. Mi avevano cercato in studio per dirmelo, ma ero già andato via. Troppo tardi, e per un solo giorno.
Mi sentivo profondamente scosso. Cercavo conforto e decisi di andare in Pretura, per sfogarmi con le impiegate che avevano seguito tutto l´iter della mia causa e delle altre, e mi avevano chiesto notizie sul reclamo.
Crollai su una sedia e raccontai tutto a quelle persone che non conoscevano i meandri del diritto, ma erano (forse proprio per questo) dalla mia parte.
Furono proprio loro a risollevarmi, dicendo: "non molli tutto. Lei ha la chiave, adesso, per salvare altra gente. Lo faccia nel ricordo di questo cliente, e questo dolore non sarà stato inutile".
Non so chi abbia avvertito la stampa. So che mi chiamarono alcune redazioni, alle quali rilasciai alcune dichiarazioni poco cortesi nei confronti dei Pretori.
I giornali intitolarono: "Arriva la sentenza, ma lui è già morto. Autorizzata la cura gratuita per 10 malati terminali". Parlarono di me, di Biagio Impellizzeri e di Piera Paladino come del coraggioso pool di avvocati.
Ebbene, se pool doveva essere, che lo fosse; iniziò la guerra.
3. La sperimentazione
Cominciammo a riunirci spesso, anche con gli altri colleghi che nel frattempo avevano assunto incarichi simili. Altre cause, altri disperati che venivano nel mio studio per pensando che avessi la ricetta per la Giustizia.
D´accordo con gli altri colleghi, stabilimmo di operare gratis nei confronti di chiunque. Era ed è una violazione deontologica, forse... ma è tutto prescritto.
Il Governo, dopo pochi giorni, aveva emanato un decreto legge (n. 23 del 17 febbraio 1998) con il quale aveva avviato la sperimentazione; ma in realtà, tale misura apparentemente di favore era stata emanata (così recitava il preambolo) per evitare il ricorso dei malati alla tutela giurisdizionale (!!), bloccava la prescrivibilità dei medicinali non sperimentati e sanzionava i medici che prescrivevano le cure fuori prontuario con sanzioni disciplinari non inferiori alla sospensione!
Altri ricorsi, altre invenzioni di diritto per superare il necessario ostacolo dei Pretori. Memorie sempre più articolate, discussioni a muso duro, con la richiesta di decidere subito, in udienza, quello che tanto avevano già deciso prima ancora di leggere gli atti.
Soltanto con un Pretore speravo di fare breccia: mi conosceva da ragazzino, ci davamo del tu, e lo credevo diverso dagli altri.
E così, giocai la carta del diritto comunitario, chiedendo l´applicazione diretta del trattato UE e la disapplicazione delle ingiuste norme che, nel frattempo, il Governo evava emanato con decreto legge.
Ma anche questa volta, niente da fare: ricorso rigettato.
Era davvero una guerra ed io, senza conoscerlo, ero un soldato del Prof. Di Bella.
Altri avvocati ingrossavano il pool: Pietro Paterniti La Via, Enza Maniaci, Anna Ruggieri, Bruno Giaconia Fisaulii (già conosceva, mio coraggioso amico, il male incurabile che lo avrebbe portato via non molto tempo dopo: ma si batteva come un leone), Angelo Chiara ed altri ancora.
Sempre sconfitti in Pretura, ricorrevamo al Tribunale in una corsa contro il tempo.
Venne finalmente il giorno dell´udienza nella quale dovevamo chiedere di rimettere gli atti alla Corte Costituzionale per l´evidente (a nostro avviso) illegittimità del decreto legge, che fingeva di voler avviare la sperimentazione ma in realtà voleva solo bloccarci... per risparmiare denaro pubblico, così dicevano i politici in TV.
E lo dicevano anche alcuni pretori: "non portate i clienti in udienza, dovete essere voi avvocati a spiegare che non tutto è facile come sembra...".
Spiegare io? No, Signor Giudice... spiegalo tu, che la vita di un uomo va comparata e valutata con la spesa pubblica.... Spiegalo tu.
4. La toga di Anna
I ricorsi erano tanti, tutti chiamati nella stessa Camera di Consiglio. Anna Ruggieri pose la toga sulle mie spalle e, rivolta ai giudici, disse: "Signor Presidente, faremo un´unica discussione che vale per tutti i ricorsi, e parlerà l´avvocato Ciavola per tutti noi".
Fu una mossa a sorpresa. Non me l´aspettavo, ma era tardi per pensare. Il Presidente mi invitò a cominciare, e parlai. A lungo, rispondendo alle loro domande e illustrando tutte le argomentazioni che avevo studiato con i colleghi nei giorni precedenti.
Alla fine, vennero tutti ad abbracciarmi. I miei colleghi, e alcuni parenti dei malati che avevano atteso fuori dall´aula, ascoltando tutto.
Lì ho capito una volta di più che questa guerra, comunque finisse, valeva la pena di farla. E che l´avvocatura catanese l´aveva già vinta.
Con numerose ordinanze del 6 marzo 1998, il Tribunale di Catania, composto dai coraggiosi Giudici Salvatore Pagano, Pasquale Nigro e Carmelo Giongrandi, rimetteva gli atti alla Corte Costituzionale.
Con sentenza n. 185 del 26 maggio 1998, la Corte Costituzionale dichiarava l´illegittimità del decreto legge.
5. Quando il cliente ti lascia
I tempi, comunque, restavano lunghi. Ogni tanto arrivava una triste telefonata: un altro cliente non ce l´aveva fatta, era morto senza poter accedere alla sperimentazione, o subito dopo averla iniziata.
Nel frattempo, il prof. Di Bella contestava i protocolli utilizzati dal Ministero, sostenendo che non erano corretti, e che non aveva senso applicarli su malati terminali ormai allo stremo delle forze.
In questi casi, che erano poi la stragrande maggioranza di quelli selezionati, la cura serviva solo a ritardare la fine inevitabile.
La sperimentazione era tutta un bluff, insomma; e i clienti continuavano a morire.
6. La cura a casa!
Finalmente, però, la sentenza della Corte Costituzionale produceva i suoi effetti: i Pretori mutarono orientamento e cominciarono a concedere i provvedimenti cautelari.
Ma questa storia doveva ancora riservarci tante amarezze.
Una cliente, in stato terminale, difesa da me e da Pietro Paterniti La Via, dopo aver avuto notizia dell´accoglimento del ricorso, disse testualmente: "Non vado in ospedale, non faccio sperimentazione... i dottori mi devono portare i farmaci qui, in casa mia".
Sembrava un atteggiamento incomprensibile: dopo alcuni giorni, la donna morì, e capimmo tutto.
Sentiva arrivare la morte ed aveva voluto compiere un ultimo atto di ribellione contro i medici, contro i giudici, contro il sistema che la lasciava morire, e interveniva quando ormai la fine era prossima.
La gente, i malati, questa storia del metodo Di Bella non l´ha mai capita... e forse, neanche noi.
Ci chiamavano "il pool" e passavamo per coraggiosi; ma eravamo solo un manipolo di disperati avvocati, con addosso solo la toga e la forza di un´idea.
Non c´era nessun Perry Mason, nessuna intuizione geniale, nessuna vittoria eclatante.
Solo i clienti che continuavano a morire.
7. L´ultima cliente
Nel periodo anteriore alla sentenza della Corte Costituzionale, in coppia con il mio amico avv. Edo Ferlito, tentammo anche una strada diversa: rivolgerci a un Pretore di una sede distaccata, probabilmente non competente per territorio (queste cause sono assegnate solo alla sede circondariale) ma dotata di molta umanità.
La ricorrente era Patrizia, una donna di 37 anni apparentemente in buona salute, ma colpita da tumore alla mammella con metastesi diffuse e diversi interventi chirurgici già subiti.
Il Pretore dispose l´acquisizione di alcuni documenti, concesse il chiesto provvedimento e rinviò tutte le successive udienze, sempre confermando l´ordine di somministrazione gratuita dei farmaci richiesti.
Ad ogni udienza, portavo Patrizia con me: il Pretore, con dolcezza, le chiedeva notizie sulla salute.
Come tutti i giudici, anche Adriana Puglisi a volte indovina, e a volte sbaglia. Ma in lei ho visto quel giudice dal volto umano che tutti vorremmo avere davanti per decidere, quando sappiamo di avere ragione; un giudice che fa Giustizia, anche quando la legge sembra volerti sopraffare.
E per quanto possa sbagliare in futuro, il Giudice Adriana Puglisi resterà per sempre a credito.
I difensori di controparte si guardarono bene dal sollevare questioni di competenza.
8. Ci vuole un fisico bestiale
La resistenza di Patrizia durò a lungo. Un giorno, dopo l´udienza, andammo a fare colazione in un bar di Mascalucia, vicino la Pretura.
Mi parlò del suo matrimonio concluso con la separazione, di suo figlio che aveva l´età della mia e che, come lei, collezionava carte telefoniche.
Stabilimmo di farli incontrare per fare degli scambi. Non li hanno mai fatti.
Mi parlò del suo passato di atleta, della sua attività agonistica e della resistenza fisica che aveva accumulato in tanti anni di sport.
Una resistenza che funzionava anche contro il cancro: il prof. Di Bella, ancora una volta, aveva ragione.
Non era questione di dosi più o meno diverse di somatostatina, longastatina o altro.
Ci voleva soltanto, per verificare il reale funzionamento del MDB, un fisico non ancora indebolito e compromesso: quello che Patrizia aveva e che le consentiva di resistere, di combattere contro la malattia.
Anche a lei, la medicina ufficiale aveva tolto ogni speranza; eppure questa cura funzionava, il fisico reagiva e i miglioramenti erano evidenti.
Aveva di gran lunga superato ogni più rosea aspettativa di vita, e questo grazie al metodo Di Bella.
Patrizia, per me, è la prova del grande inganno della sperimentazione. Sui giornali si diceva che la cura si era rivelata un fallimento, perché la quasi totalità dei pazienti era andata incontro alla morte.
Ma io avevo davanti a me la prova vivente del buon funzionamento. Era lì, parlava, progettava avvenimenti futuri e mangiava di gusto una granita con brioche.
Alla radio c´era Luca Carboni che cantava. Ci vuole un fisico bestiale, per reggere ai colpi della vita.
Non la vidi mai più. Dopo alcuni mesi Edo Ferlito mi parlò di un rapido peggioramento. Poi morì.
9. Epilogo
Nel mese di luglio 2000 se n´è andato il mio amico Bruno Giaconia Fisauli, vittima della leucemia e componente del cosiddetto pool di avvocati MDB.
Era un grande barzellettiere, e aveva la capacità di scherzare sulla sua stessa malattia mentre, con pari disinvoltura, prospettava acute tesi giuridiche.
Mi manca.
Ho appreso dai giornali che il Pretore di Maglie avrebbe subìto una censura disciplinare per le sue ordinanze, definite "uso strumentale dell´attività giudiziaria per fini politici".
Io le ordinanze di quel Pretore le pubblicherei in appendice nei testi di diritto processuale civile. Sono belle, complete e chiare.
Il primo luglio 2003 è morto il Prof. Luigi Di Bella.
Ancora oggi, circa 15.000 malati in Italia si curano con il suo cocktail di farmaci.
Nel 1997 c´erano ancora le vecchie lire, e la cura costava dai 10 ai 15 milioni al mese.
La siringa temporizzatrice, in particolari momenti, era venduta al mercato nero al prezzo di lire 2.500.000.
Oggi una dose di somatostatina costa circa 16 euro.
La Pretura del lavoro non esiste più, ora si chiama Tribunale – sezione lavoro.
La sede di Catania è sempre in via Verona, e i giudici sono sempre gli stessi.
Quando posso, evito di andare in udienza lì. Brutti ricordi....
Chi aveva ragione in diritto? Probabilmente noi. Ma non ha molta importanza, in fondo... chi ha avuto la pazienza di leggermi, ha capito già da molte righe che questo racconto non riguarda il diritto.
Ho esitato a lungo prima di affidare questo racconto alla redazione. Ma ora che anche mio padre è morto, per un tumore al polmone, forse è il momento giusto.
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di Bruno Giaconia Fisauli, Catania 19 settembre 1954 – 16 luglio 2000; grande barzellettiere, amico indimenticabile, abilissimo avvocato".