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Allontanamento del coniuge o del partner dalla casa coniugale: quando ha diritto di rientrarvi?quando si verifica invece la cessazione del titolo di occupazione?

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In caso di conflitti di coppia, accade spesso che uno dei coniugi o partner si allontani nell'immediato dalla casa adibita ad "abitazione familiare".

In questi casi cessa il titolo che legittima il coniuge o per il partner non proprietario all'occupazione della casa familiare? Una volta allontanatosi il coniuge e/o partner è legittimato a ritornarvi?

Bisogna distinguere i casi di matrimonio e convivenza more uxorio.

In caso di matrimonio, se ad allontanarsi è il coniuge proprietario della casa familiare nessuna influenza può esservi sul titolo dell'altro coniuge non proprietario a rimanere in casa legittimamente, quanto meno fino all'eventuale udienza presidenziale di separazione.

Se invece ad allontanarsi è il coniuge non proprietario in presenza di una giusta causa (quale potrebbe essere l'allontanamento determinato da maltrattamenti o esigenza di salvaguardare la prole), egli non perde certamente il titolo (che resta per così dire sospeso). In caso di rifiuto dell'altro a consentirgli il rientro in casa il coniuge che si era allontanato ha certamente possibilità di chiedere e ottenere la reintegrazione (art. 1168 c.c.) in quanto la sua condizione di detentore qualificato resta integra.

Se il coniuge non proprietario, invece, si dovesse allontanare senza giusta causa rifiutando di tornarvi, troverà applicazione l'art. 146 c.c il quale stabilisce che "il diritto all'assistenza morale e materiale previsto dall'art. 143 è sospeso nei confronti del coniuge che, allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare, rifiuta di tornarvi": nei suoi confronti va considerato cessato del tutto il titolo che consentiva l'occupazione dell'immobile. Cioè che determina questo effetto non è tanto l'allontanamento dalla casa coniugale ma il rifiuto di rientrarvi.

Nel caso di unione civile valgono le stesse regole: l'art. 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76 comma 20 stabilisce l' applicabilità alle unioni civili delle norme del codice civile che concernono i coniugi richiamate espressamente dalla legge; il comma 19dello stesso articolo dichiara applicabile alle unioni civili l'art. 146 del codice civile. 

 Nella convivenza di fatto  si applicano regole diverse. L'allontanamento volontario di uno dei due conviventiche dimostra inequivocabilmente il venir meno della solidarietà familiare, legittima senz'altro il convivente proprietario ad agire per la restituzione dell'immobile. La giurisprudenza ammette, tuttavia, anche tra conviventi l'azione di reintegrazione in presenza di un allontanamento provocato con la violenza o clandestinamente ( sul punto Cass. civ. Sez. II, 21 marzo 2013, n. 7214).

In caso della cessazione della convivenza, la legge 20 maggio 2016, n. 76, in vigore dal 5 giugno 2016, prevede che il proprietario dell'immobile debba concedere al partner un congruo termine per andare via di casa e trovare una nuova soluzione abitativa.

Recentemente è stata sottoposta all'attenzione della Suprema Corte una questione interessante, riguardante la legittimità o meno della pretesa dell'ex convivente di rientrare nella casa della ex compagna adibito a luogo di convivenza, dopo essersene allontanato.

IL CASO:

L'ex convivente allontanatosi dalla casa della ex compagna, ove si era svolta la convivenza, propone ricorso in Cassazione avverso la decisione della Corte D'appello che aveva confermato la sentenza del Giudice di prime cure che lo aveva ritenuto colpevole del reato di violazione di domicilio aggravato, per essersi introdotto nell'abitazione della ex, dove si intratteneva contro la espressa volontà della stessa, provocandone anche delle lesioni fisiche.

Assumeva il ricorrente che, erroneamente, la Corte territoriale aveva ritenuto inquadrabile, nella fattispecie astratta del delitto di violazione di domicilio, aggravata, come contestata, la condotta dell'imputato, colpevole di essersi introdotto nell'abitazione della ex, con la quale aveva appena interrotto la convivenza. Riteneva pertanto che, proprio in virtù dello stabile rapporto di convivenza esistente da tempo, sussisteva il proprio diritto a entrare e a intrattenersi nella casa comune, in ragione del potere di fatto sulla cosa proveniente dalla convivenza more uxorio.

LA DECISIONE

La Suprema Corte ritiene infondato il ricorso.

Con sentenza del 28 gennaio 2019, n. 3998, V sez. penale, la Corte di Cassazione ha affermato che dopo l'interruzione della relazione l'ex convivente che si allontana e poi vuole rientrare nella casa della ex compagna commette violazione di domicilio.


Eloquente la motivazione adottata: specifica in particolare la Suprema Corte che la convivenza more uxorio, quale formazione sociale che dà vita a un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare. Ne consegue che l'estromissione violenta o clandestina dall'unità abitativa compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest'ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l'azione di spoglio.
Tutti i conviventi (membri della famiglia e ospiti) sono titolari dello jus prohibendi, onde il consenso di uno non può prevalere sul dissenso degli altri, spettando il diritto all'inviolabilità del domicilio a tutti i componenti della famiglia (ivi compreso il convivente more uxorio) per il solo fatto della convivenza. In tale prospettiva, il legittimo esercizio dello jus escludendi, proprio in ragione della definizione del domicilio, quale luogo di privata dimora, dove si esplica liberamente la personalità del singolo, presuppone necessariamente l'esistenza di una reale situazione di fatto che colleghi in maniera sufficientemente stabile il soggetto allo spazio fisico in cui si esplica la sua personalità.
Infine chiarisce la Corte in relazione al reato di violazione di domicilio, che il bene giuridico protetto dalla previsione di cui all'art. 614 c.p., deve essere individuato nella libertà della persona colta nella sua proiezione spaziale rappresentata dal domicilio, di cui viene garantita, attraverso la predisposizione del meccanismo sanzionatorio, l'inviolabilità, in conformità al dettato costituzionale dell'art. 14 Cost., comma 1, che, peraltro, riconosce al domicilio le stesse garanzie della libertà personale riconosciuta nell'art. 12 Cost., alla cui disciplina l'art. 14 Cost., rinvia per le sole eccezioni consentite al principio della inviolabilità del domicilio. Nell'ambito dei luoghi di privata dimora, espressione della libertà del singolo, assume rilievo centrale, come si evince dalla stessa formulazione della norma in commento, "l'abitazione", intesa quale luogo adibito legittimamente e liberamente a uso domestico di uno o più persone ovvero il luogo in cui si compie tutto ciò che caratterizza la vita domestica privata. Quanto al soggetto passivo del delitto di cuiall'art. 614 c.p., esso viene pacificamente individuato nel soggetto titolare del diritto di vietare a terzi l'ingresso o la permanenza in uno dei luoghi presi in considerazione dal citato art. 614 c.p. comma 1.
Nel caso di specie, la donna aveva già comunicato di non voler proseguire la relazione con l'ex compagno, il che comportava necessariamente ed evidentemente il venir meno, a partire da quel momento, di qualsiasi diritto che fino ad allora egli aveva potuto vantare sulla base della convivenza con la persona che aveva la titolarità dell'abitazione.
La fine della relazione decreta la fine della convivenza e, con essa, la titolarità dello jus proibendi con la conseguenza che la condotta del convivente che si allontana e poi vuole rientrare nella casa della ex compagna integra la violazione di domicilio, essendosi egli introdotto nell'abitazione della sua ex compagna contro la sua chiara ed espressa volontà.
La ratio di tale decisione è confortata dalle pronunce (cfr. Cass. Sez. 2, n. 217 del 12/2/1962 - 30/03/1962) che hanno riconosciuto nella moglie legalmente separata e rimasta nella casa coniugale, l'unica titolare del diritto di escludere anche il marito dal domicilio. 

Avv. Daniela Bianco del Foro di Reggio Calabria

 

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