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12 ottobre, ricordiamo Alfonso Favino, l'Avvocato che morì con la Toga addosso

12 ottobre, ricordiamo Alfonso Favino, l'Avvocato che morì con la Toga addosso

​In occasione dell'anniversario della scomparsa dell'avvocato Alfonso Favino, noto scrittore che morì a seguito di un infarto, dopo aver concluso la sua arringa difensiva nell'aula del Palazzo di Giustizia di Roma con ancora addosso la sua toga, abbiamo voluto dedicargli questo omaggio con la pubblicazione di un brano di un suo celebre romanzo.

da: I due volti del professore - Roma 1979

Dopo la lezione sulla libertà, il pomeriggio del sabato successivo, Pardi si reca in ufficio (non c'era personale dipendente in detto giorno), entra nella stanza di Silvano senza bussare. Ai suoi occhi si presenta una scena assolutamente inedita e non gradita per lui: Silvano e Luciana sono seduti comodamente in due poltrone, vicinissimi e si tengono per mano, in un atteggiamento di familiarità evidente. Davanti a loro su un tavolino dei liquori, del whisky. Luciana subito si alza e con intonazione umoristica dice: "Buonasera professore" e rivolgendosi a Silvano: "Parleremo un'altra volta di questo affare della boutique che vuoi comprare. Ora devo andare, scusate, è tardi".

E dopo aver dato un bacio sulla guancia a Pardi esce di corsa dalla stanza, va via. Silvano, evidentemente contrariato dall'arrivo di Pardi con aria falsamente disinvolta chiede notizie precise dell'accordo di Beirut, di cui già era informato. Il professore resta fermo vicino al tavolo, guarda Silvano con aria interrogativa e fissandolo bene negli occhi dice: "Ma, dimmi, per caso la ragazza ti interessa e tu le fai la corte?".                                                                                                                                                     Silvano aggrotta la fronte, domanda: "Perché, non è possibile una cosa del genere? È vietata? E da chi?"                                                                                                                                                                                "No, non è possibile, esattamente, e a vietarla sono proprio io, sappilo una volta per tutte" precisa Pardi con voce calma e sicura. "E perché mai questo divieto; che c'entri 'tu con l'intimità e la libera scelta della ragazza?" "Non si tratta di libera scelta; Luciana è una mia alunna e per mie ragioni non permetto che tu o altri la importuni o la insidi." 

"Tu, professore, stai vaneggiando; della ragazza potrai aver conquistato l' amicizia dell'insegnante, l'affetto, la stima, ma non la donna o la femmina, e non credo, non penso che tu voglia anche in questo interloquire, come si dice. A proposito domani telefonerò a Parigi per avere conferma della disponibilità del noto deposito in dollari."                                                                                                                               Piero si avvicina ancora di più a Silvano, gli si mette faccia a faccia, dice: "E se mi interessasse anche la donna?"                                                                                                                                                              Silvano: " Ma, professore, potresti essere arrivato in ritardo, no?" e si mette a ridere.                             "Non si tratta di ritardo" replica Pardi "perché non siamo in corda per uno stesso traguardo; ma escludo che tu abbia..." "Se lo dici tu, professore, che non siamo in corsa per lo stesso traguardo, mi spieghi allora che cosa vuoi da me in questa storia di Luciana? E che significano tutte queste romanticherie? Se tu Luciana non l'hai neppure toccata... tanto e vero che lei mi domandava più o meno allusivamente se tu, in parole povere, sei un frocio: e allora che significa questa gelosia del c.., professore; romanticherie, non è vero? Dopo tutto senza voler fare un dramma la studentessa mi piace abbastanza e poi, guarda proprio non è il tipo per te, e scafata, scafatissima, e lo sai bene che pizzica', no?"

A questo punto Pardi afferra Silvano per il bavero della giacca e con lo sguardo acceso e con voce ferma inveisce: "Senti, tanta volgarità mi disgusta ed è pari alla tua sfrontatezza; io rispetto gli altri e intendo essere rispettato a mia volta anche da un delinquente della tua taglia, vigliacco!".

E gli da una forte spinta. Silvano inciampa in una sedia e cade per terra... si solleva, piglia un pesante portacenere e, alzando il braccio per tirarlo contro Pardi, irato e forse umiliato dalla caduta, grida: "A me delinquente? perché tu, professore, non lo sei più di me? Dopo tutto tu sei la laurea e la professione dei miei delitti che sono anche tuoi. E per una donna, una drogata e parac...stai qui ad offendermi e aggredirmi," e gli scaglia contro il portacenere.

Piero evita il colpo, ma l`altro lo raggiunge, cerca di infliggergli un pugno che va a vuoto, poi con un calcio gli fa perdere l'equilibrio, lo fa cadere, e, in un attimo, nella mano destra apre un lungo coltello a scatto. Pardi più svelto che mai, con un'abile mossa di judo, gli manda all'aria il coltello ed esclama: "Sciagurato, ricorri all'arma dei vili," e subito l'affronta prendendolo per il collo, lo spinge contro il muro, ma quello con pugni allo stomaco colpisce Pardi, il quale con tutto il suo peso e la sua forza pesta un piede dell'altro che urla allo spasimo accasciandosi. Piegato su se stesso Silvano tira fuori la sua Colt, la punta e minaccia:                                                                                                                                           "L'ultima parola la vorrei dire con questa, ma lo dico prima a voce: non ti muovere che ti ammazzo".

Si raddrizza lentamente in piedi, appoggiandosi allo schienale del divano e con tono rabbioso: "Sappi, professore, non mi hai mai fatto pietà con la tua... malattia, io non sono riuscito mai a capirla la tua giustificazione per tutti i delitti che commetti."

Piero si lascia cadere in una poltrona, dice: "Mi fai ridere con quell'aggeggio in mano; spara pure, se ne hai il coraggio, libererai la società di un pazzo incosciente." "Ipocrita" dice Silvano, ormai riavutosi, e che ha deposto l'arma sullo scrittoio. "Ti sei servito del mio braccio, della mia audacia, della mia fatica,

così come di Ermanno e Miscèl, e mi hai sempre stimolato con la tua mente effervescente e fantasiosa, e ora credi di umiliarmi con il disprezzo che si deve ai cosiddetti delinquenti. Sappi che mi sento orgoglioso della mia condizione, che io non sono un vinto che si piega alla pietà di chicchessia Tu lo sai bene che sono contro la società, e non so dire molte parole, come sapresti fare tu, per spiegare il mio stato d'animo. Io mi sento orgoglioso, ripeto, di essere quello che sono e disprezzo gli altri, il loro menefreghismo e i loro sotterfugi, la loro disonestà di fatto e la loro onestà di prole, parole; conosco bene la cattiveria del prossimo nel cui amore non credo, perché non esiste, e non va mai oltre la cerchia della famiglia e neppure sempre". "Io non ho avuto nulla da nessuno, non ho avuto padre, non ho avuto che il dolore di una madre malata, cui guardavo sempre con un senso di sgomento e di disperazione. Sì, sono andato anche a scuola e ho fatto qualche studio a sbalzi, nell'indifferenza sempre dell'ambiente e di tutti; ho sempre sentito freddo negli altri e quando sono stato in collegio

qualche lumacone ambiva a toccarmi le p..."Ho conosciuto solo le restrizioni, i divieti, i no, no, no, in ogni direzione e tutte le proibizioni, come senza aria e ossigeno, senza libertà' il mondo era per me una galera, una brutta galera, e un nemico da vincere:un nemico!".

Silvano si siede, accende una sigaretta, e con voce più distesa: "Non vedevo che sbarre, e la mia estrema povertà. Soltanto la natura mi dava la gioia e a vita. Mia sorella presto andò a finire in balia di mascalzoni che profittarono di una ragazza sola, con un fratello debole e inerme quanto lei.

"E reagii un giorno contro quell'eterna galera, e quel nemico; reagii per conquistare la mia libertà, abbattei la grata... della cosiddetta legge, capisci, per conquistare la mia libertà. L'ho conquistata! Nessuno può farmela perdere. Non voglio fare filippiche contro nessuno' e soltanto uno sfogo.         Nella mia mente ho la visione nitida di ciò che devo e di ciò che non devo fare, e non voglio pietà, non tollero offese."

 E con voce un po' commossa Silvano aggiunge: "Se avessi avuto un padre, e una madre non malata, che presto mi lasciò, forse mi avrebbero reso accettabile il peso delle restrizioni, dei doveri in cambio del loro amore,della loro protezione.

"E, devo dirlo, un po' di comprensione qualche volta l'ho ricevuta proprio da te. Per questo, forse, istintivamente, la mia mano si e fermata poco fa, il dito non ha premuto il grilletto. Ma tu non devi, non puoi chiamarmi delinquente, con disprezzo." Pardi, che immobile finora ha seguito il senso, più che le parole di Silvano, e le volute del fumo della sua immancabile sigaretta, con voce chiara osserva:          "Vedi, Silvano, tu di questa società cui hai dichiarato guerra, che avversi, per non dire che odi, ti avvali a modo tuo illecitamente, o parassitariamente, e ne godi tutti i vantaggi; ti ribelli ad essa, la ripudi e però ne accetti gli utili beni, le conquiste." 

Silvano: "Come? L'essenziale è aggredirla, colpirla al fine di scardinarla perché, così com'è, è assurda. Io non ho bombe nella mia mani, ma è come se le avessi, e ogni volta che ne scoppia una ad opera di fanatici ne sono felice, è come se fosse stata lanciata anche da me; come le bombe che devono annunciare il caos". 

Pardi: "Questo e nichilismo e criminalità, da condannare esemplarmente l'uno e l'altra. Tanto più che riconosci che se avessi avuto anche tu la normale assistenza di un padre e di una madre, probabilmente, saresti ben diverso." Silvano: "E con ciò che vuoi dire?" 

Pardi: "Che il tuo discorso è incoerente sul piano logico." Silvano: "Quale sarebbe allora secondo te la conseguenza logica?" Pardi: "Il delitto non ha alcuna logica, la logica del delitto e l'assurdo e la follia." 

Silvano: "E come, che significa allora la tua logica, professore, per quanto riguarda te personalmente? Cioè come la spieghi, non la tua delinquenza, non voglio offenderti, dico la tua condotta, con codesta tua logica?".

Pardi piega il capo in giù, non risponde. Tace ancora. Poi lentamente come parlando a se stesso: "Già altra volta ebbi ad accennarti al mio male; posso dirti che si tratta di un demone, di un demone della cui iniquità sono ben conscio, e tuttavia mi rapisce, travolge... La mia natura passionale poi ha oltrepassato ogni limite. E tu sai bene da quando il male mi possiede.

"Ma io soffro, da tempo; da sempre soffro; non avrò mai pace." Silvano scuote la testa come per dire che non comprende un bel nulla, e si reca al bagno per rassettarsi alla meglio. Poco dopo ne torna e dice: "Professore, mi compiaccio per la tua forza; evidentemente ti tieni in splendida forma e non bastano le lezioni di judo, che prendemmo, a farti cosi in gamba. Ti ammiro, non c'è dubbio sei forte; ma riconosci che mi hai sopraffatto di so resa anche, in un certo senso. Non è vero?".

Pardi: "Silvano, dimmi la verità, hai forse dato a Luciana una qualunque dose di droga anche leggera? O te ne ha chiesto soltanto?.  Silvano: "Sì, mia ha chiesto delle anfetamine e dell"hashish, ma le ho dato di questo soltanto, perché sai che dell'altra 'roba' non ne darei, per evitare grattacapi"  Pardi: "Ti chiedo, in nome del nostro passato comune e per quel tanto che ancora ci lega, di lasciarla stare Luciana; io ho dei sentimenti affettuosi vivi e sinceri per lei, e se passo anche per impotente, è perché voglio liberarla anche da ogni soggezione da qualsiasi sostanza tossica, anche la più leggera."                                   Silvano, dopo aver alquanto esitato: "Ti posso promettere un bel nulla, caro professore, tutto si volgerà da se, senza scossoni, ma io non intendo obbedire a nessuno, capisci? Se tu riuscirai prima e meglio di me, Luciana sara tua. La ragazza è interessante e per me è una nuova esperienza."  Pardi: "Allora è chiaro, tu mi parli di una relazione tua con Luciana, addirittura; o vuoi dire altro?"

Silvano: "Basta, professore, rischi di farmi venire un mal di testa e non ne ho voglia. Mi pare che stai esagerando, e ti ripeto: se Luciana sarà tua, io non rimpiangerò nulla, accetterò il verdetto come ho fatto poco fa. Di donne ce ne sono tante." Pardi: "Ti prego, Silvano, di non dare a Luciana nemmeno un grammo di roba. Mi prometti almeno questo?"                                                                                             Silvano: "Prometto. Passando ad altro, sappi, se non ti è ancora stato detto, che quella tale impresa in un banca del nord è andata a segno, e il bottino e stato pieno, sui trecento, abbiamo colto l'ora e il giorno che trasferivano dei capitali in altra sede. C'è stato un po' di trambusto all'uscita, dopo il colpo. Tu non vuoi la stecca, ma se hai bisogno di liquido."                                                                                             Pardi: "No, grazie, non ne ho bisogno." Silvano: "Senti, professore, siccome noi non sappiamo stare con le mani in mano, e sempre che tu ne voglia far parte, ti informo che c'è un colpo da azzeccare in Svizzera, un bidone grande grande con traffico di valuta: qualche centinaio di milioni puliti puliti, senza tanti grattacapi, con travestimenti personali; una pacchia, non ti sembra? Soltanto è da dire che siamo insidiati nell'affare dalla concorrenza di una gang di marsigliesi. Ah, già, tu la conosci, quella di Tsé-Tsé. rammenti?"                                                                                                                                                             Pardi, che nel frattempo ha pensato a Luciana, e chiaramente ha capito che Silvano è tutt'altro che nel cuore di lei, avendo a volo così intuito dallo stesso discorso di lui, non sa cosa rispondere alla proposta, restando distratto; e per la prima volta si accorge di avere nei suoi soci, non degli amici, bensì degli estranei che vede davanti a sé come un ingombro e un intralcio. Tuttavia dice: "Bene, bene, quando potrai danni tutti i particolari dell'avventura, ti sarò puntuale anche perla mia possibile partecipazione..."

 Pardi non termina le sue parole che entra Miscèl gaia e pimpante con il suo cagnolino Bebè in braccio, in un tailleur di gabardine dal taglio impeccabile che modella e snellisce la sua persona, profumata del solito Asperge, e l'acconciatura dei capelli da coiffeur dei quartieri alti. Piero ricorda, a vederla cosi, come in un lampo, quando nel Piazzale degli Uffizi si incontravano, lui e lei, ciascuno nella sua parte. "Il tempo come è fugace" egli pensa, e rivede se stesso seduto ai piedi di una di quelle statue con le quali conversava, e che lo facevano intensamente vivere, più che sognare.

Miscèl si avvede subito che qualcosa non va, che c'è stata una lite, uno scontro fra Piero e Silvano, come le appare da qualche mobile spostato, dalla rivoltella sullo scrittoio; e deve esserci stata addirittura una colluttazione fra i due: Silvano ha la cravatta fuori posto, è rosso in volto, graffiato sembra, Pardi è molto pallido, la donna resta interdetta, guarda, e sta per domandare che cosa mai sia accaduto, quando entra Ermanno con la sua solita aria di boss ingentilito dal benessere, da abiti di taglio elegantissimo e da cravatte vistose, dal volto bruno, sorridente, che dice della sua ferrea salute e del suo buon umore solito, di romano di Roma, trasteverino.

E anche Ermanno subito immagina che fra i due soci c'è stato qualcosa di grosso, con vie di fatto, e fa il viso interrogativo verso Pardi che lo guarda, e accenna un saluto. Prima a parlare e Miscèl, con tono un po' drammatico, come di attrice; "Insomma, che succede di grave, che significa quell'arnese? E indica la rivoltella sulla scrivania".

Ed è Silvano a rispondere: "Sono un delinquente, per il professore, un delinquente, non aggiungo altro; mi ha chiamato cosi e ho reagito."                                                                                                                 Ermanno: "Tutto qui il problema? Se ti ha chiamato per quello che sei e che siamo, di che ti offendi?, ma ci tieni a fà la guardia o il poliziotto, per caso? Ci hai anche la pistola a portata di mano! E poi se te l'ha detto lui che è delinquente tuo paro, 0 se te lo dicessi io, ma dove sta l`offesa?                                      Ti dovresti offende se te lo dicesse una cosiddetta persona per bene, o un procuratore della Repubrica, che deve salvare la dignità del prossimo e quella parola non la po' sbattere sul grugno del cosiddetto delinquente. Non ti pare?"                                                                                                                                  E rivolgendosi a Pardi: "Professore, che senso ha quella parola quando uno non va più a bottega ed e pure un riabilitato?, riabilitato! Come siamo anche io e Miscèl, e questa parola..." Miscèl, come morsicata: "Per due sciocchezze di gioventù, da minorenne, non ci tengo proprio, io sono Miscèl e basta."                                                                                                              

Ermanno: "E basta proprio, perché riabilitato vuole dire abilitato un'altra volta a fare fesserie, a ricominciare da capo, e questa volta la patente, la licenza te la da il giudice per farti largo senza tanti fastidi del passato, ché altrimenti quel foglio verde del penale coi suoi carichi te sta addosso e te rode come li pidocchi, con licenza parlando. Quanto a te, Silvà, non ti offendere per quella parola se detta fra noi, ripeto: se uno di voi dice a me delinquente, io ci fo una risata, anzi solleticherebbe il mio orgoglio, la mia vanità. Mio padre era un gratta, mio zio Agostino era il re della patacca, nella mia famiglia c'è una tradizione antica di generazioni, osservata con onore e impegno, d'annà a Regina Coeli.                                

Figli della sorella di mia nonna Clementina, cinque maschi, erano fra i primissimi nella cronaca nera di Roma, sempre loro, e quanto ci tenevano!                                                                                                    "Sílvà , anche sul piano nazionale quella parola detta tra noi stuzzica il mio orgoglio; ci pensate, ragazzi, se ci fossero le olimpiadi del delitto, che fregherebbe a noi italiani anche una sola medaglia d'oro? Dallo scippo alla rapina, alla truffa, alla corruzione, agli aerei della 'Locchi", ai sequestri di persona, per tacere dei furti a catafascio. Che medagliere! Ragazzi. Come quello, senza offende, del Nastro Azzurro, quando Ii combattenti vanno in corteo e tintinna come un dindarolo, con tutte quelle medaglie d"oro, d'argento... Che gloria !"

Pardi, Silvano, Miscèl, ridono, ma la tensione dell'ambiente non si rilassa ancora, ed Ermanno continua: "Dopo tutto, e la società che vuole il ladro, lo aspetta, lo cerca, e anche i truffatori e via di seguito; che vuole anche il malato, lo aspetta, lo cerca. Il medico chi aspetta, il sano? o, invece, non aspetta un bel malato, magari immaginario? E se non arrivano di malati, si affaccia alla finestra e batte le mani al prossimo che crepa di salute?"                                                                                                                       

Miscèl: "Bisognerebbe fare come una volta si faceva in Cina, mi sembra: il medico si pagava solo quando si stava bene in salute."                                                                                                        

Ermanno:giusto, sarebbe giusto. E l'avvocato non aspetta che gli arrivi, per esempio, una gagliarda truffa di cui tutta la stampa parla; una corruzione di alto bordo, un omicidio per passione; e così via, per tanti articoli del codice e delle altre leggi?"

"E il giudice nel suo ufficio non aspetta e cerca che gli assegnino casi sempre più interessanti, complicati e gravi, per stendere delle belle sentenze, scritte fitte fitte e tanto lunghe? E per leggerle poi, per leggerne qualcuna che mi interessava, non ci ho preso il vizio degli occhiali?"                             

Ermanno tace per un po', come se avesse parlato a lungo, allarga le braccia e, con voce piana ¬ mentre Pardi si alza e va su e giù per la stanza- soggiunge: "Siamo dei chiamati a quelle attese della società, noi, amici!                                                                                                                                                                   La bonanima de zi Agostìno me lo diceva sempre ¬ allora ero un ragazzo io » quando usciva da Regina Coeli per liberta provvisoria o a pena espiata, e ogni volta mi offriva una cioccolata calda in quel piccolo bar di Ponte Mammolo, me lo diceva sempre zì Agostino: 'Ermà, sò appena uscito dal carcere, che già mi sento drento all'ossa un richiamo di quella cella maledetta, un richiamo fino fino che se lo potessi agguantare cò le mano! Tu sei un ragazzo, non mi puoi capire. Povero zio! Zì Agosti, quanto te capisco! parola di Ermanno."                                                                                                                                     

Si ride. E Bebè, il chiuahua di Miscèl, prende ad abbaiare con insistenza.  "Povero tesoro mio" dice la padrona "e la solita crisi di gelosia che gli prende se mi vede contenta, a ridere con gli altri. Gli manca la parola."                                                                                                                                                          Ermanno: "E meno male, ci mancherebbe, di questi tempi che tutti parlano e vogliono parlà, che anche le bestie avessero la parola; state sicuri che per prima cosa si costituirebbero in sindacati, e figuratevi un po' le giuste rivendicazioni."                                                                                                                                 

Si ride. Miscel acquieta Bebè con un biscotto e, facendosi seria in viso, dice: "Però, signori, queste liti non mi piacciono; siamo arrivati addirittura alla pistola, non mi sento più tranquilla; comincio ad avere un'agitazione per tempi lunghi."                                                                                                                  Ermanno: "A' Miscèl, come parli bene!" Miscèl: "Non capisco più, mi sento intontita, e vedo anche altri problemi. Evidentemente, non vi meritate la libertà, sì, proprio così, la libertà di quanto noi si gode oggi, a danno di altri; allora venga il comunismo, che io ho sempre auspicato e auspico tuttora per mettere tutti i cavalli sulla stessa linea di partenza, e poi via al galoppo e chi ha più fiato..."                               

Pardi, indifferente alla tiritera di Miscèl, continua a tacere seguendo i suoi pensieri, Silvano mette a posto la sua Colt nella fondina; ed è Ermanno a rispondere: "Ti sei ammattita? Adesso vuoi far la cavalla alle Capannelle o a Tor di Valle? Ma sì tu non faresti manco dieci metri, a' Miscèl; e a me pure verrebbe il fiatone. Amica bella, e chi ti darebbe gli agi di cui godi e i profumi che te porti appresso come una gran dama d'una verza, se..."                                                                                                                                      "No, mio caro, io mi porto addosso, che ce l'ho sempre fitto nel naso, eternamente, il profumo di quattro soldi, la puzza di quel profumo da quattro soldi di quando, le prime volte, battevo. Hai capito? E me ne frego di avere oggi quello che non ho avuto neppure in minima parte allora, quando avrei voluto avere anche poco, il necessario, e non essere una povera foglia sbattuta dal vento, nella fanciullezza.

Sono io e quelli come me che vogliono ben altro e aspirano alla giustizia totale per tutti. Vi dico anche che sono una femminista, e il mio motto e: io sono mia."                                                                       

Ermanno: "Miscèl, non dire buffonate. Amici miei, facciamola finita, e che, E: diventata un'accademia o un scuola sia nostra azienda di import-export? Viviamo dei fatti e lasciamo sta' le parole, e se sotto ci sono altri problemi si parli chiaro. Da quando sono con voi non abbiamo mai fatto discussioni di morale o di offese, e abbiamo lavorato concordemente e onestamente - cioè senza tradimenti - e pure il professore è stato dei nostri con tutto l'entusiasmo del suo ingegno. E gli affari ci vanno bene, pure troppo."                                                                                                                                                          

Silvano: "Il professore vorrebbe guarire di questa nostra azienda, avete capito? Mi dice che lui la vede in altro modo, e che vorrebbe cambiare, se non ho capito male, perché lui e malato, si sente malato."Pardi guarda Silvano con compatimento e stizza insieme; si rende conto ancora una volta che il livello intellettuale dei suoi compagni di sciagure è una povera cosa, e lo umilia profondamente, salvo le battute spiritose di Ermanno e quelle di svampita di Miscèl (la quale però conosce bene talune aperture mentali del maestro, come lei, anche lo chiama); e, invece,nelle azioni delittuose mostrano capacità addirittura inverosimili di audacia, di intuito, di forza e di acrobaticità, nonché di intelligenza. È questa una stranezza di cui egli non ha saputo mai dare una spiegazione.

Ed è Miscel a interrompere il corso dei pensieri di Pardi. Gli va vicino, lo prende sottobraccio, allontanandosi dagli altri, dice: "Grande amico, conosco qualche tua malinconia, e anche la tua solitudine; la tua Miscel ti ha messo sempre a disposizione il suo cuoricino così sensibile. Vuoi ascoltare della musica?".Pardi le ricambia la gentilezza con un ricordo: "Come dalla prima volta che ci incontrammo, tu sai dimenticare presto le cose brutte, e sorridere."Ella sa, conosce il debole del suo amico, il quale ha bisogno distendersi e sognare ad occhi aperti, spesso ascoltando della musica, specie quando una condizione dolorosa lo metta in imbarazzo  in difficoltà.

Miscèl fa cenno a Silvano ed Ermanno di andare via, di tagliare la corda; i due obbediscono, salutano e si allontanano, Domani si incontreranno di nuovo per decidere più di un problema sul tappeto.

 

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