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Risarcimento danno da fermo tecnico, SC spiega come deve essere provato

Moscuzza

 

Durante il periodo necessario per riparare l´autoveicolo a seguito di incidente stradale, il danno subito dal proprietario, indifferentemente che si tratti di danno emergente (ossia la perdita economica subita) o di lucro cessante (ossia il mancato guadagno), non può essere risarcito automaticamente, ma deve essere sempre allegato e provato da chi invoca il risarcimento.
 
Lo stabilisce la Cassazione, III sezione Civile, con sentenza n. 13718/2017 depositata il 31 Maggio.
 
A seguito di incidente stradale, un soggetto citava in giudizio la Società assicuratrice, per ottenere il risarcimento danni. Rigettata la domanda presso il Giudice di Pace, presentava appello. E così presso la Corte, otteneva in suo favore, esclusivamente l´esonero dal pagamento dell´importo della fattura emessa dal carrozziere, e non anche il danno da sosta tecnica, ossia quello derivante dal non potere utilizzare l´autoveicolo, e ritenuto dall´ attore senz´altro da doversi liquidare, in quanto conseguenza automatica dell´incidente.
 
Veniva così investita la Cassazione, di una questione su cui da anni si discute, è che ha dato luogo a una divergenza di opinione tra gli stessi giudici della Corte.
 
Il tema foriero di contrasto, riguarda la dimostrazione del danno da fermo tecnico.
 
L´orientamento che si deduce dalla giurisprudenza più risalente (la n. 6907/12, la n. 9626/13, la n 22687/13, e la n. 13125/15) è quello secondo il quale può liquidarsi il danno in via equitativa, indipendentemente dalla prova specifica, posto che l´autoveicolo fermo presso il carrozziere, genera una spesa per il proprietario che è comunque tenuto a pagare la tassa di circolazione, il premio di assicurazione, nonché a subire il deprezzamento del valore dell´auto.
 
orientamento a cui la Cassazione ha ritenuto dare continuità è quello più recente (Cass. 07/02/1996, n. 970; Cass. 19/11/1999, n. 12820; Cass. 17/07/2015, n. 15089; Cass. 14/10/2015, n. 20620) secondo cui il danno di cui trattasi, deve essere allegato e provato tramite la dimostrazione delle spese sostenute per la ricerca di un mezzo alternativo da potere utilizzare, o della perdita dell´utilità economica che deriva dalla rinuncia ai proventi ricavabili dal suo uso.
 
Il pregiudizio va dunque sempre provato, non potendosi procedere ad un risarcimento per il danno in re ipsa.
 
In questo caso, diversamente, considerando il fatto stesso di per sé un danno, non necessita di prova, dovendosi risarcire automaticamente.
 
Considerato che l´attore, su cui gravava l´onere di provare il danno, non vi aveva provveduto, e non essendo lo stesso suscettibile di valutazione equitativa, la Suprema Corte riteneva In conclusione, nel caso specifico, corretta la sentenza impugnata, e rigettava il relativo ricorso, considerato inammissibile anche l´altro motivo di gravame.
Il ricorrente aveva infatti lamentato la mancata rivalutazione in appello, del debito in oggetto.
 
Trattandosi di obbligazione risarcitoria, e quindi di un debito di valore, questo non è determinato nel suo preciso ammontare, e deve perciò essere rivalutato annualmente, tenendo conto degli indici Istat dal momento in cui l´evento dannoso si è verificato, fino alla data di pubblicazione della sentenza, nonché tenendo conto del ritardo nel pagamento e quindi del mancato godimento delle utilità che da esso sarebbero conseguite.
 
La Suprema Corte ha spiegato l´inammissibilità di tale motivo di gravame.
 
Infatti, poiché il debito, dal momento della pubblicazione della sentenza si converte in debito di valuta, e perciò certo nel suo ammontare, la rivalutazione non è più dovuta, ma sino all´ effettivo pagamento, devono essere corrisposti gli interessi moratori in applicazione della disposizione contenuta nell´ art. 1224, primo comma, c.c..
 
 
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Messina, nell´anno 2015
 
 
 
 
 
 
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