Le perizie giurate depositate da una parte non sono dotate di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di avere accertato, ad esse potendosi solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice, delle quali pertanto egli, da un lato, non è obbligato in nessun caso a tenere conto e, per converso, ove ritenga di farvi riferimento, deve motivarne adeguatamente la forza probatoria che intende loro assegnare.
Lo ha affermato il T.A.R. Campania, Sede di Napoli, Sezione IV, con Sentenza 19/10/2016, n. 4774, pronunciando in merito ad un ricorso, con cui la ricorrente aveva impugnato il provvedimento con il quale veniva ingiunta la demolizione di una serie di manufatti e ampliamenti asseritamente da ella ascritti a comodi rurali già in essere e poi crollati, realizzati senza permesso di costruire in area vincolata con D.M. del 25 gennaio 1958, ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004.
Il ricorso era stato affidato ad una serie di doglianze, unitamente alla precisazione dell´avvenuta presentazione di un´istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. 380/01, la cui pendenza non avrebbe potuto consentire all´Amministrazione di procedere all´effettiva demolizione delle opere abusive.
La decisione
Il T.A.R. ha rigettato il ricorso, confermando pertanto l´atto di demolizione impugnato.
La Sentenza merita particolare interesse per le argomentazioni rese dal Collegio in relazione alle modalità che parte ricorrente ha inteso utilizzare ai fini della dimostrazione della consistenza originaria della costruzione.
Riguardo le dichiarazioni giurate rese da (OMISSIS) in ordine a tali dimensioni, ha osservato il T.A.R. come le stesse non potessero essere prese in considerazione, trattandosi di dichiarazioni identiche, laconiche, e comunque assolutamente non idonee a consentire l´identificazione certa di preesistenze edilizie, le quali avrebbero necessitato di prove certe in ragione dell´impatto che la loro legittimazione avrebbe prodotto sul carico urbanistico della zona, a maggior ragione in una zona, come quella in esame, in cui l´edificazione era sostanzialmente inibita.
Il Collegio ha quindi ribadito che sia la perizia giurata che le dichiarazioni giurate di terzi non vincolano il Collegio sul piano probatorio.
Al riguardo, ricordando l´insegnamento giurisprudenziale secondo il quale le perizie giurate depositate da una parte non sono dotate di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di avere accertato, ad esse potendosi solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice, delle quali pertanto egli, da un lato, non è obbligato in nessun caso a tenere conto e, per converso, ove ritenga di farvi riferimento, deve motivarne adeguatamente la forza probatoria che intende loro assegnare.
Infatti, per principio giurisprudenziale consolidato, l´onere della prova circa la data di realizzazione dell´immobile abusivo spetta a colui che ha commesso l´abuso e solo la deduzione, da parte di quest´ultimo, di concreti elementi a sostegno delle proprie affermazioni, trasferisce il suddetto onere in capo all´amministrazione. rimanendo pertanto
esclusa la possibilità che l´autore dell´abuso comprovi la data di ultimazione delle opere facendo ricorso alla testimonianza (T.A.R. Umbria, I, 30 agosto 2013, n. 462; Tar Lazio - Roma, III, 2 maggio 2013, n. 4383).
Il ricorso, in mancanza di puntuale dimostrazione in ordine alle menzionate circostanze fattuali, è stato quindi rigettato.
Segue Sentenza
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5446 del 2007, integrato da motivi aggiunti, proposto da
D.R., rappresentata e difesa dall´avv. Enrico Angelone (C.F. (...)), con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, Via Cervantes n. 64,
contro
Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall´Avvocatura Municipale, con domicilio eletto presso gli uffici dell´Avvocatura in Napoli, piazza Municipio,
A) quanto al ricorso principale:
- della disposizione dirigenziale del Comune di Napoli n. 671 del 28 giugno 2007, notificata in data 16 luglio 2007, di demolizione delle opere abusive realizzate in via Camaldolilli n. 145;
- dei verbali di sopralluogo richiamati nel provvedimento impugnato;
- di ogni ulteriore atto connesso, conseguente o consequenziale.
B) quanto ai motivi aggiunti depositati il 13 maggio 2008:
- della disposizione dirigenziale del Comune di Napoli n. 21 del 28 gennaio 2008, notificata il successivo 3 marzo 2008, con la quale è stato disposto il rigetto dell´istanza di sanatoria delle opere sub A).
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l´atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Vista la sentenza non definitiva n. 530 del 15 gennaio 2015;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell´udienza pubblica del giorno 22 giugno 2016 la dott.ssa Maria Barbara Cavallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
1. Con ricorso notificato il 26 settembre 2007 la ricorrente ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe sub A), con il quale veniva ingiunta la demolizione di una serie di manufatti e ampliamenti asseritamente da ella ascritti a comodi rurali già in essere e poi crollati, realizzati senza permesso di costruire in area vincolata con D.M. del 25 gennaio 1958, ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004.
Il ricorso veniva affidato ad una serie di doglianze, unitamente alla precisazione dell´avvenuta presentazione di un´istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. 380/01, la cui pendenza non avrebbe potuto consentire all´Amministrazione di procedere all´effettiva demolizione delle opere abusive.
2. Con successivi motivi aggiunti notificati il 29 aprile 2008, la ricorrente ha altresì impugnato il provvedimento di rigetto dell´istanza di sanatoria (d.d. 21/2008), con una serie articolata di censure, facenti comunque riferimento al contenuto dell´istanza di sanatoria presentata il 2 ottobre 2007, che non sarebbe stato debitamente valutato dall´Amministrazione all´atto dell´emissione del provvedimento di rigetto della domanda di sanatoria.
Altri motivi si incentravano sulla preesistenza dei volumi oggetto di ordine di demolizione, che la parte, attraverso una perizia tecnica e alcune dichiarazioni di terzi depositate in atti, affermava essere, per l´appunto, esistenti da tempo.
3. Con memoria depositata il 31 ottobre 2014 il Comune di Napoli ha eccepito l´improcedibilità del ricorso principale avverso l´ordinanza di demolizione.
Nel merito ha chiesto il rigetto dei motivi aggiunti.
4. All´udienza pubblica del 3 dicembre 2014, il collegio ha trattenuto la causa in decisione al cui esito ha emesso sentenza non definitiva (n. 530 del 29 gennaio 2015) avente ad oggetto il solo ricorso principale, che, in accoglimento dell´eccezione sollevata dal Comune, è stato dichiarato improcedibile, in quanto la presentazione dell´istanza di accertamento di conformità, successivamente all´impugnazione dell´ordinanza di demolizione, ha prodotto l´effetto di rendere improcedibile l´impugnazione stessa per sopravvenuta carenza di interesse.
È stato altresì rilevato che le doglianze rivolte avverso l´ingiunzione di demolizione sono state trasposte in motivi all´interno del ricorso per motivi aggiunti avverso il nuovo ordine di demolizione, che ha superato integralmente il contenuto del primo provvedimento.
5. In ordine al ricorso per motivi aggiunti, il Collegio ha rimesso la causa sul ruolo e, in via istruttoria, ha richiesto integrazioni documentali relative all´istanza di sanatoria del 2 ottobre 2007 (non depositata in giudizio da nessuna delle due parti) nonché alla natura dei manufatti oggetto di successivo ordine di demolizione.
Sotto il primo profilo, il documento è stato ritenuto indispensabile al fine di decidere sul primo dei motivi aggiunti, che fa riferimento alla mancata motivazione, da parte del Comune, sulla domanda di mutamento di destinazione d´uso, che, a detta della parte ricorrente, formava oggetto di un capo autonomo della domanda del 2 ottobre 2007.
Sotto il secondo profilo, con particolare riferimento al motivo III.1, il Collegio ha rilevato che la ricorrente ha in più occasioni evidenziato che gli ampliamenti volumetrici eseguiti costituiscono fedele ricostituzione di volumi preesistenti, eseguita mediante un intervento di restauro e risanamento conservativo, fornendo, sul punto, un principio di prova, costituito da una perizia tecnica di parte che ritiene che i volumi eseguiti possano costituire la ricostruzione di manufatti esistenti, e da alcune dichiarazioni di soggetti che dichiarano di aver contezza dell´esistenza di un manufatto di circa 80 mq.
A fronte di questo, il collegio ha chiesto all´Amministrazione di fornire documentati chiarimenti ai sensi dell´art. 63, co. 1, c.p.a., non risultando sufficienti le risultanze già depositate.
6. All´esito del deposito di documenti da parte dell´Amministrazione comunale così come richiesto dalla sentenza parziale, parte ricorrente ha depositato un nuovo atto di motivi aggiunti (notificati il 19-20 maggio 2015) nei quali, in sostanza, senza censurare nello specifico alcun atto in particolare, prende posizione sulla documentazione depositata dall´Amministrazione, obiettando che essa nulla aggiunge rispetto a quanto prospettato e non riesce a dimostrare gli abusi contestati.
7. Fissata l´udienza pubblica del 24 giugno 2015, il Comune ha chiesto e poi ottenuto un rinvio della trattazione stante la notifica dei summenzionati motivi aggiunti, per il mancato rispetto del termine a difesa rispetto alla data fissata per la discussione dell´intero ricorso.
8. In data 15 aprile 2016, la signora D. ha depositato atto di revoca del mandato al precedente avvocato Giuseppe Vecchione.
Un nuovo mandato difensivo veniva conferito all´avv. Enrico Angelone.
9. All´udienza pubblica del 22 giugno 2016, discussa la causa, il collegio la tratteneva in decisione.
Motivi della decisione
1. Ai fini del corretto inquadramento della vicenda de quo, è necessario ripartire dall´istanza di accertamento di conformità presentata dalla ricorrente il 2 ottobre 2007, assunta dal Comune al prot. 3672 del 3 ottobre 2007 e depositata in giudizio dall´Amministrazione a seguito della richiesta istruttoria di cui alla sentenza parziale.
Nella suddetta istanza la signora D. chiedeva il rilascio del permesso di costruire in sanatoria (accertamento di conformità) per l´avvenuta esecuzione di alcune opere in aderenza ad un comodo rurale, ex art. 36 TUED, e precisamente:
- realizzazione di n. 2 ampliamenti in muratura di mq 25,00 completi di copertura;
- vano ripostiglio di mq 6,00 e muratura in tufo di altezza variabile m. 2,50- 1,00, con sovrastante cordolo in calcestruzzo;
-platea in calcestruzzo di mq 70,00 pavimentata con mattonelle;
- tettoia in legno di mq 50,00;
- cordolo in c.a. con sovrastante steccato in legno, delimitante il piano di campagna coperto da brecciame;
-trasformazione del comodo rurale in un´unità abitativa costituita da quattro vani, w.c. e cucina.
In sostanza, la richiesta di sanatoria riguardava un cambio di destinazione d´uso (trasformazione del comodo rurale in abitazione) e varie modifiche edili, che vanno da una sanatoria di volumetria alla realizzazione di una sorta di cortile coperto da tettoia in legno, tutte aventi ad oggetto opere " pertinenziali" ad un piccolo manufatto rurale per la cui manutenzione straordinaria (ricostruzione del solaio di copertura parzialmente crollato, tinteggiatura, installazione di nuovi infissi) era già stato ottenuto un permesso di costruire (n. 14/2006).
1.1. Il Comune ha denegato la sanatoria (d.d. 21/2008) in quanto "l´art. 2 comma 4) della variante generale al Prg consente, nelle more dell´approvazione dei piani urbanistici esecutivi, solo la conservazione dei volumi legittimi esistenti e non la realizzazione di nuovi volumi come nel caso in esame; inoltre in zona PI del piano territoriale Paesistico Agnano Camaldoli è vietato ai sensi dell´art. 10 comma 4, qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti. Infine gli artt. 167 e 181 del Codice dei beni culturali e del paesaggio escludono la compatibilità paesaggistica degli interventi che abbiano determinato la creazione di nuovi volumi".
1.2. La ricorrente ha quindi impugnato il diniego con i motivi aggiunti oggetto del contenzioso che residua dopo la cennata declaratoria di improcedibilità, dividendoli in due gruppi:
-un primo gruppo contiene le censure (da I a V) avverso il rigetto della domanda di sanatoria del 2 ottobre 2007;
- un secondo gruppo contiene censure (da VI a IX) avverso l´originario ordine di demolizione, che è stato in effetti rinnovato in sede di diniego di sanatoria.
2. Il collegio prende inizialmente in considerazione le prime cinque censure, tutte basate, nel complesso, sulla violazione dell´art. 36 TUED in relazione a diversi articoli della Variante Generale al Piano regolatore di Napoli del 2004 e sul difetto di motivazione, così articolabili:
I- illegittimità del diniego di sanatoria nella parte relativa alla richiesta di mutamento di destinazione d´uso senza opere, impresso al nucleo preesistente del manufatto originario;
II- illegittimità del diniego di sanatoria della tettoia;
III- illegittimità del diniego di sanatoria dell´ampliamento di 50 mq (25 mq per due);
IV- violazione dell´art. 36 TUED e violazione del giusto procedimento per mancata acquisizione del parere della Commissione edilizia;
V- difetto di motivazione e istruttoria.
Le censure hanno tra loro un unico filo conduttore, che è l´assentibilità in diritto delle opere realizzate dalla ricorrente perché questo sarebbe consentito dalle NTA della Variante Generale al PRG.
Il punto di partenza della ricostruzione normativa è costituito dall´art. 46 delle NTA, in quanto gli immobili si trovano in zona Fa1 (Sottozona Fa-componenti strutturanti la conformazione naturale del territorio destinate a parco territoriale).
La sottozona Fa "identifica le parti del territorio destinate a parchi che comprendono le più rilevanti unità morfologiche connotate, nell´insieme, da sussistente prevalenza dello stato di natura o dell´utilizzazione a scopi colturali rispetto all´edificazione e all´urbanizzazione. Le parti del territorio ricadenti in detta sottozona comprendono i beni immobili qualificati di bellezza naturale, aventi valore paesistico, storico e ambientale nel loro complesso e, come tali, sottoposti a tutela improntata a integrità e globalità."
In questa zona, in base al comma 4 del citato articolo, "le trasformazioni fisiche consentite sono quelle previste per la zona E di cui all´articolo 39, salvo quanto disposto dal presente articolo per ciascuna delle parti di cui al precedente comma, in rapporto ai relativi caratteri distintivi e alle finalità di uso pubblico che si intendono conseguire."
In particolare, le aree agricole ricadenti nella sottozona Fa contrassegnate con il n.1, come nel caso oggetto del presente giudizio, sono identificate con le parti del territorio connotate dalla funzionalità dell´attività agricola tuttora prevalente e ad altri usi connessi, ivi compresi gli spazi che rivestano carattere testimoniale del paesaggio agrario. Dette aree, fermo restando quanto disposto dal comma 4 dell´art. 46, sono assoggettate alla disciplina di cui all´articolo 40, salvo alcune utilizzazioni marginali ai soli fini del conseguimento della fruizione pubblica dei fondi.
Orbene, l´art. 40 riguarda la Sottozona Ea, che identifica le parti del territorio ricadenti in zona E connotate dalla funzionalità all´attività agricola tuttora prevalente, nonché ad altri usi connessi. In queste aree il comma 2 consente interventi relativi alla costruzione di nuovi edifici a scopo residenziale, connessi alla conduzione del fondo agricolo, purché il richiedente sia compreso tra i soggetti di cui al successivo comma 13 (proprietari coltivatori diretti, proprietari conduttori in economia, proprietari concedenti, enfiteuti o titolari di altro diritto reale, affittuari o mezzadri aventi diritto a sostituirsi al proprietario nell´esecuzione delle opere, sempreché gli edifici rurali, a uso residenziale e non, siano stabilmente utilizzati per la conduzione del fondo agricolo).
Sono altresì ammessi interventi relativi alla costruzione di pertinenze per usi accessori funzionali all´attività agricola con unità minima d´intervento fissata in ha 1.
Va altresì evidenziato che "l´edificabilità di cui ai commi 2 e 7 è vietata nelle parti della sottozona Ea: i) connotate dalla presenza di fenomeni di instabilità dei versanti, riportate nella tav.12 - tavola dei vincoli geomorfologici; ii) ricadenti nelle aree perimetrate con riferimento all´articolo 1 quinquies della L. n. 431 del 8 agosto 1985; iii) ricadenti in terreni compresi entro una fascia altimetrica di 30 metri al di sotto dei crinali; iv) ricadenti nelle aree assoggettate a vincoli d´inedificabilità di cui alla parte IV della presente normativa."
L´art. 39, a sua volta, con riguardo alle zone E (ossia alle parti del territorio che comprendono le più rilevanti unità morfologiche connotate, nell´insieme, da sussistente prevalenza dello stato di natura o dell´utilizzazione a scopi colturali rispetto all´urbanizzazione e all´edificazione), al comma 4, per gli insediamenti, gli edifici e i manufatti rurali esistenti, ammette le trasformazioni fisiche indirizzate al recupero delle caratteristiche tipologiche originarie, nonché dei valori testimoniali delle attività colturali connesse.
Il comma 5 stabilisce che "ai fini dell´applicazione dell´articolo 9 del titolo III della L 24 marzo 1989 n.122, è esclusa ogni deroga ai vincoli in materia paesaggistica e ambientale."
Il comma 6 infine stabilisce che negli insediamenti, manufatti rurali ed edifici esistenti le trasformazioni fisiche ammissibili sono limitate agli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di restauro e risanamento conservativo. Ai soli fini della realizzazione di attività di cui al comma 1 lettera b) dell´articolo 21, è altresì consentita la ristrutturazione edilizia e il riaccorpamento dei volumi legittimamente realizzati in epoca successiva al 1943."
3. Fatta chiarezza sul quadro normativo applicabile, a parere del collegio va esaminata preliminarmente la terza censura, relativa all´opera principale oggetto di richiesta, e successivo diniego, di sanatoria, ossia i due "ampliamenti in muratura" di 25 mq ciascuno, così definiti nell´istanza del 2 ottobre 2007 depositata in giudizio dal Comune a seguito della sentenza di questa sezione (vedi produzione documentale Comune marzo 2015).
La dicitura "ampliamenti in muratura" usata dalla parte, della quale il collegio ha potuto prendere contezza solo all´esito del completamento dell´istruttoria, è significativa in ordine al fatto che la ricorrente stessa ha inteso, da subito, tali opere come una nuova edificazione rispetto all´originario piccolo comodo rurale ancora in piedi, e oggetto di manutenzione straordinaria legittimamente assentita.
Tale aspetto deve essere sottolineato tenuto conto che la ricorrente, solo nel corpo del ricorso e non in sede procedimentale (è significativo che nulla in questo senso sia stato dedotto in risposta al preavviso di rigetto ex art. 10 bis L. n. 241 del 1990), abbia inteso qualificare gli ampliamenti come " fedele ricostruzione di volumi preesistenti, ormai ridotti a ruderi, eseguita attraverso un intervento di restauro e risanamento conservativo" (vedi pag. 10 motivi aggiunti), e questo in ragione della risposta data dal comune di Napoli che, nel provvedimento di diniego della sanatoria, ha ribadito che l´art. 2 co. 4 della Variante non consente la realizzazione di nuovi volumi.
In effetti, la suddetta disposizione è chiara nello stabilire che " nelle more dell´approvazione dei piani urbanistici esecutivi di cui alla disciplina degli ambiti, parte III della presente normativa, sono comunque consentiti interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo, nel rispetto della disciplina delle singole zone e salvo gli ulteriori interventi eventualmente previsti dalla normativa d´ambito".
Alla luce del quadro normativo sopra illustrato, appare chiaro che nella zona Fa1 non sono possibili interventi relativi alla costruzione di nuovi edifici a scopo residenziale, se non quelli, di cui all´art. 40, connessi alla conduzione del fondo agricolo da parte di soggetti qualificati, e non è questo il caso concreto.
Ma è altresì evidente che la ricorrente ha effettivamente realizzato (e l´espressione "ampliamenti" utilizzata nell´istanza di sanatoria lo conferma) una nuova costruzione e non una ricostruzione di manufatti esistenti, perché tale prospettazione è smentita, oltre che dal dato letterale di cui sopra, che ha un valore confessorio in ordine al reale intendimento della signora D., anche dalla risultanze di fatto, e in particolare: a) dalle fotografie allegate alla perizia tecnica di parte a firma del geom. V.R. (prod. D. 21 ottobre 2014), dalle quali non emerge alcun elemento che possa far desumere la preesistenza di tali manufatti e vengono cerchiati dei punti, definiti "spuntoni", che non consentono assolutamente di ricostruire l´originario stato dei luoghi; b) dalla stessa perizia sopra citata, che parla solo di una presumibile e/o verosimile preesistenza di detti volumi (" risulta verosimile che siano state rinvenute le originarie strutture fondali del volume collassato") ma senza fornire elementi di fatto che comprovino tale preesistenza, né aerofotogrammetrie della zona.
È d´altra parte poco verosimile che, mentre una parte del manufatto è rimasta in piedi integralmente, seppur sotto forma di rudere, altra parte sia completamente scomparsa nel nulla.
Quanto alle dichiarazioni giurate rese dai signori S. e D.M. in ordine alle dimensioni originarie del rudere (vedi produzione D. ottobre 2014), considerate nel complessivo contesto fattuale non possono essere prese in considerazione, trattandosi di dichiarazioni identiche, laconiche, e comunque assolutamente non idonee a consentire l´identificazione certa di preesistenze edilizie, le quali, come è noto, necessitano di prove certe in ragione dell´impatto che la loro legittimazione ha sul carico urbanistico della zona, a maggior ragione se trattasi di zona come quella in questione ove l´edificazione è sostanzialmente inibita.
Va ribadito, al proposito, che sia la perizia giurata che le dichiarazioni giurate di terzi non vincolano il Collegio sul piano probatorio.
Al riguardo, invero, soccorre l´insegnamento giurisprudenziale secondo il quale le perizie giurate depositate da una parte non sono dotate di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di avere accertato, ad esse potendosi solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice, delle quali pertanto egli, da un lato, non è obbligato in nessun caso a tenere conto e, per converso, ove ritenga di farvi riferimento, deve motivarne adeguatamente la forza probatoria che intende loro assegnare (Tar Lazio, sez. III quater, 23 gennaio 2014 n. 855; in argomento anche Cons. Stato, sez. IV, 24 aprile 2009 n. 2579).
Infatti, per principio giurisprudenziale consolidato, l´onere della prova circa la data di realizzazione dell´immobile abusivo spetta a colui che ha commesso l´abuso e solo la deduzione, da parte di quest´ultimo, di concreti elementi a sostegno delle proprie affermazioni, trasferisce il suddetto onere in capo all´amministrazione (cfr. T.A.R. Campania Napoli sez. III, 20 aprile 2016 n. 1957; id., sez. VI, 17 settembre 2015 n. 4565; Tar Toscana, sez. III, 14 maggio 2014 n. 795; Cons. St., sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 45; id, sez. V, 9 novembre 2009, n. 6984).
È stata infatti esclusa la possibilità che l´autore dell´abuso comprovi la data di ultimazione delle opere facendo ricorso alla testimonianza (T.A.R. Umbria, I, 30 agosto 2013, n. 462; Tar Lazio - Roma, III, 2 maggio 2013, n. 4383).
4. La reiezione del terzo motivo agevola la decisione sui restanti.
Infatti, la decisione in ordine alla legittimità del diniego di sanatoria non può che spiegare effetti sulla richiesta di mutamento di destinazione d´uso (primo motivo), in considerazione sia del fatto che la normativa applicabile alla zona Fa1 rende sostanzialmente vincolata la destinazione agricola della stessa e, quindi, anche dei manufatti esistenti, ma soprattutto in virtù della evidente ragione che il manufatto originario, pur se ristrutturato, per caratteristiche e dimensioni (50 mq) non può certamente essere trasformato in abitazione così come richiesto dalla parte (che faceva riferimento a un fabbricato complessivo di 80-100 mq).
Ne discende che la richiesta in sé, oltre che infondata, diviene ipso facto neppure procedibile essendo mutata la realtà di fatto che ne sta alla base.
Sotto questo profilo, è evidente che la motivazione del diniego su questo specifico punto, che parte ricorrente prospetta essere stata assente nel corpo del provvedimento, è in re ipsa.
5. Quanto al secondo motivo (realizzazione di una tettoia di 50 mq che, secondo la ricorrente, non sarebbe passibile di demolizione), esso va respinto in quanto è evidente che essa comporta una rilevante alterazione dei profili paesaggistici in zona vincolata e, come tale, non può essere mantenuta in assenza di autorizzazione dell´autorità competente (ex plurimis, T.A.R. Napoli sez. VI 22 ottobre 2015 n. 4931), a prescindere dal fatto che il regolamento edilizio, all´art. 3, consenta la realizzazione di tettoie fino al 30% della Superficie non residenziale.
Infatti, per giurisprudenza costante, le opere edilizie abusive realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico si considerano eseguite in totale difformità dalla concessione e, anche ove costituenti pertinenze o volumi tecnici, non sono suscettibili di autorizzazione in luogo della concessione (permesso di costruire che, nel caso di specie, era necessario) (cfr. T.A.R. Napoli (Campania) sez. VI 16 giugno 2016 n. 3027).
6. Va respinto anche il quarto motivo (mancanza del parere della Commissione edilizia), in quanto per giurisprudenza consolidata nel procedimento di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, il parere della Commissione Edilizia Comunale non è necessario, in assenza di una espressa previsione normativa e in considerazione della specialità del procedimento (ex plurimis, T.A.R. Lazio, sez. II, 14 ottobre 2015 n. 11660; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 05 marzo 2015 n. 1399).
7. Infine, la disamina sopra affrontata rende chiaro che non è affatto riscontrabile il difetto di motivazione e istruttoria che parte ricorrente prospetta nel quinto motivo, posto che il provvedimento di diniego è chiaro nell´illustrare le ragioni poste alla base della decisione dell´Amministrazione e basate, come detto, sull´oggettiva assenza di riscontri alla asserita preesistenza dei manufatti abusivi e al contrasto con la normativa di settore che regola le costruzioni in zona Fa1.
In detta zona, infatti, il combinato disposto delle disposizioni sopra citate esclude la sanatoria per manufatti di nuova costruzioni privi di titoli edilizi, se non per quelli connessi alla conduzione del fondo agricolo, purché il richiedente sia compreso tra i soggetti di cui al successivo comma 13 dell´art. 40 delle NTA alla Variante (e non è il caso oggetto del presente giudizio).
Il provvedimento impugnato, inoltre, sottolinea, oltre al carattere vincolato dell´area (" l´intervento rientra nel piano territoriale paesistico di Agnano-Camaldoli come zona PI, protezione integrale, e ricade nel perimetro del parco regionale metropolitano delle colline di Napoli approvato con delibera della Giunta regionale della Campania n. 855 del 10 giugno 2004 (BURC n. 36 del 26 luglio 2004) come zona B, riserva generale2), anche la circostanza che "l´area è individuata nelle tavole della pericolosità idraulica come area a suscettibilità all´innesto e del rischio atteso come area a rischio atteso, R 3, delle norme di attuazione del Piano Stralcio per l´Assetto Idrogeologico".
Sul punto, va evidenziato che l´edificabilità di cui ai commi 2 e 7 dell´art. 40 delle NTA, sopra citato, è comunque vietata nelle parti della sottozona Ea "connotate dalla presenza di fenomeni di instabilità dei versanti, riportate nella tav.12 - tavola dei vincoli geomorfologici".
Senza trascurare che il comma 6 dell´art. 39 delle NTA, pure astrattamente applicabile, stabilisce che negli insediamenti, manufatti rurali ed edifici esistenti le trasformazioni fisiche ammissibili sono limitate agli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di restauro e risanamento conservativo. Ai soli fini della realizzazione di attività di cui al comma 1 lettera b) dell´articolo 21, è altresì consentita la ristrutturazione edilizia e il riaccorpamento dei volumi legittimamente realizzati in epoca successiva al 1943.
Orbene, è evidente che è esclusa la nuova edificazione (nella quale va certamente ricompreso l´ampliamento a cui la ricorrente fa riferimento), non potendosi considerare la ricostruzione di opere non più esistenti quale restauro e risanamento conservativo, posto che queste ultime attività presuppongono necessariamente l´esistenza concreta di un edificio.
8. I motivi da sei a nove, avendo ad oggetto il reiterato ordine di demolizione, possono essere esaminati di seguito e congiuntamente.
In essi si censura la motivazione del provvedimento perché priva di riferimento all´interesse pubblico all´eliminazione in concreto delle opere abusive (sesto motivo), perché comunque si tratterebbe di opere pertinenziali (settimo motivo), perché sarebbero comunque volumi tecnici (ottavo motivo) e perché avrebbe dovuto comunque applicarsi la sanzione pecuniaria ex art. 33 TUED (nono motivo).
In primo luogo, deve rilevarsi che legittimamente la demolizione è stata disposta ai sensi dell´art. 27 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Le opere, infatti, sono state edificate in area classificata come zona F, parco territoriale e altre attrezzature e impianti a scala urbana e territoriale, sottozona Fal, aree agricole, dalla variante generale al Prg approvata con DPGRC n.323 del 11 giugno 2004 (BURC n.29 del 14 giugno 2004), disciplinata dagli artt. 45 e 46, e ricade in ambito 32 Camaldoli, art. 162; l´intervento rientra nel piano territoriale paesistico di Agnano-Camaldoli come zona PI, protezione integrale, e ricade nel perimetro del parco regionale metropolitano delle colline di Napoli approvato con delibera della Giunta regionale della Campania n. 855 del 10 giugno 2004 (BURC n. 36 del 26 luglio 2004) come zona B, riserva generale.
Ebbene, in presenza di simili dati di fatto (aumenti volumetrici e mutamenti della sagoma realizzati in zona vincolata), va ribadito che, come rilevato nello stesso provvedimento impugnato, l´ordinanza di demolizione resa in applicazione del severo regime di cui all´art. 27 D.P.R. n. 280 del 2001 è da ritenersi provvedimento doveroso e, in tal senso, rigidamente vincolato (cfr. art. 27 co. 2 D.P.R. n. 380 del 2001, cit. "il dirigente o il responsabile, quando accerti l´inizio o l´esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, (...) nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla L. 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa. ...").
8.1. In merito all´invocato difetto di motivazione anche in rapporto alla tutela dell´affidamento e all´interesse pubblico alla demolizione va, poi, ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l´ordine di demolizione, vincolato come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d´interesse pubblico né una comparazione di quest´ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto (ex plurimis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, n. 03614/2016; id., sez. VI, 15 luglio 2016 n. 3555; Cons. St., sez. IV, 28 giugno 2016 n. 2908).
Al fine di disporre la demolizione è, infatti, sufficiente il richiamo dell´abusività dell´opera in rapporto alla strumentazione urbanistica e di tutela paesaggistica, senza che occorra, per la piana applicazione della normativa sopra citata (art. 27 D.P.R. n. 380 del 2001) alcuna altra precisazione.
8.2. Si lamenta, poi, la mancata considerazione della natura pertinenziale delle opere.
Sul punto basti ribadire che ove gli interventi edilizi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, stante l´alterazione dell´aspetto esteriore, gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell´autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che, quand´anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e quindi, assentibili con mera D.I.A., l´applicazione della sanzione demolitoria è, comunque doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica (ex plurimis, T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 03 marzo 2016 n. 1167).
In ogni caso, la natura pertinenziale delle opere avrebbe potuto riguardare la sola tettoia, ma non certamente i due grossi ampliamenti di 50 mq oggetto della domanda di sanatoria.
8.3. Identico discorso in ordine alla natura assertivamente tecnica dei volumi realizzati in mancanza di titolo.
Al di là del fatto che tale natura è indimostrata, va ribadito che l´art. 27 citato, in presenza di manufatti realizzati in zona sottoposta a vincolo, rende doverosa la demolizione d´ufficio di tutti gli interventi realizzati sine titulo e non solamente degli interventi realizzati senza permesso di costruire. Il divieto di incremento di volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, a nulla rilevando la loro natura pertinenziale dal punto di vista civilistico. Il vincolo imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude, in assenza del relativo titolo, qualsiasi nuova edificazione (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 10 marzo 2015 n. 1444).
8.4. L´ultima censura è quella riportata al sub IX relativa alla mancata valutazione dell´impossibilità di procedere alla demolizione senza pregiudicare la statica dei volumi residuali e applicando, quindi, la sanzione pecuniaria.
Essa è infondata per diversi ordini di ragioni che sono state già fatte propria dalla Sezione nella sentenza 4065/2016 e che è opportuno riproporre.
In primo luogo, si osserva che l´argomento si sostanzia nell´invocare l´applicazione dell´art. 33 D.P.R. n. 380 del 2001 nella parte in cui, appunto, impedisce la demolizione allorchè non sia possibile senza pregiudizio per la parte legittima del fabbricato.
Sennonché, l´applicabilità dell´art. 33 D.P.R. n. 380 del 2001 va esclusa, essendosi fatta, come si è detto, doverosa applicazione dell´art. 27 D.P.R. n. 380 del 2001 che prevede sempre e comunque la demolizione senza che si debbano effettuare ulteriori valutazioni.
Peraltro, come pure è stato sovente affermato da questo Tribunale amministrativo, per gli immobili in area vincolata, anche l´art. 33, al co. 3, D.P.R. n. 380 del 2001 prevede pur sempre la rimessione in pristino sia pur "indicando criteri e modalità diretti a ricostituire l´originario organismo edilizio" (v. T.A.R. Campania, sez. VI, n. 785/2014).
Inoltre, quand´anche si ritenesse astrattamente applicabile la particolare eccezione all´applicazione della sanzione demolitoria secondo quanto argomentato dalla parte ricorrente, la censura sarebbe egualmente infondata.
Va ribadito, infatti, che, mentre l´ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto ha natura di diffida e presuppone solo un giudizio di tipo analitico- ricognitivo dell´abuso commesso, il giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell´abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria (art. 33 co. 2 TUED) può essere effettuato soltanto in un secondo momento, cioè quando il soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l´organo competente emana l´ordine (indirizzato ai competenti uffici dell´Amministrazione) di esecuzione in danno delle ristrutturazioni realizzate in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o delle opere edili costruite in parziale difformità dallo stesso; soltanto nella predetta seconda fase non può ritenersi legittima l´ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione intorno all´entità degli abusi commessi e alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria, sempre se vi sia stata la richiesta dell´interessato in tal senso (ex multis, v. T.A.R. Napoli, sez. IV, n. 3120/2015, nonché id., sez. VII, 14 giugno 2010 n. 14156).
9. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, i motivi aggiunti vanno respinti siccome infondati.
I secondi motivi aggiunti, notificati il 19 maggio 2015, non censurano nello specifico alcun nuovo provvedimento e si limitano a ribadire le considerazioni già svolte negli atti processuali già depositati, considerazioni alle quali il Collegio ritiene di aver adeguatamente replicato nel corpo della presente decisione.
Anche questi motivi aggiunti, pertanto, vanno respinti.
10. Le spese di lite, liquidate in dispositivo tenendo anche conto della fase chiusa con la sentenza non definitiva n. 530/2015, seguono la soccombenza come per legge.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sui ricorsi per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Condanna R.D. al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Napoli, che liquida in complessivi Euro 4000,00 (quattromila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall´autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nelle camere di consiglio dei giorni 22 giugno 2016 e 12 ottobre 2016, con l´intervento dei magistrati:
Anna Pappalardo, Presidente
Michele Buonauro, Consigliere
Maria Barbara Cavallo, Primo Referendario, Estensore