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Uomini e No

rizzo

Il numero 25 del settimanale "L'Espresso" dello scorso 17 giugno, aveva come titolo "UOMINI E NO" con un fotomontaggio che raffigurava a sinistra Aboubakar Soumahoro, di nazionalità italiana, sindacalista che in Calabria si opponeva alla "legge" dei caporali, che trattano come schiavi, è il caso di dirlo, i lavoratori africani e asiatici che lavorano, in condizioni disumani e con paghe da fame, anche lì. Un giovane ucciso con un gesto di "gratuità del male"! E a destra, la foto del ministro dell'interno, Matteo Salvini.
Le polemiche, e non da oggi, hanno raggiunto un livello incandescente e hanno riproposto, in Italia come in altri Paesi, non solo europei, quali rapporti ognuno di noi deve avere con i più deboli, i più poveri, gli emarginati, i sopraffatti, con chi non rinuncia a sfidare la morte pur di conquistarsi un "posto al sole". Soprattutto in un'epoca in cui si sono sovvertite le regole di buona accoglienza e dove la percezione ha preso il posto della realtà.
Ma quel titolo de l'"Espresso" richiama alla memoria anche altre epoche in cui i problemi non avevano solo una valenza economica, ma morale ed ideale. Ideale soprattutto.

Ci richiama un'epoca e alcuni scrittori che tra il 1938 e il 1945 ci indicarono valori irrinunciabili per i quali bisognava essere pronti anche a sacrificare le nostre stesse esistenze. Valori che avevamo ereditato dalla rivoluzione francese del 1789: libertà, uguaglianza e fraternità e sui quali bisognava costruire la nostra libertà.

Dopo il 1945 uscirono moltissimi libri che fotografarono le condizioni drammatiche, la ferocia, i combattimenti, gli abusi che si erano perpetrati e si perpetravano nei confronti di chi non era intenzionato a rinunciare alle tradizioni più profonde. E, soprattutto, la grande gara di accoglienza nei confronti di quelle famiglie (gli sfollati) che erano attratte dai paesi del meridione d'Italia, liberato per primo.

Elio Vittorini pubblica nel 1945 da Bompiani, "UOMINI E NO". Un libro ambientato nella Milano del 1944 con moltissime abitazioni crollate sotto i bombardamenti delle truppe alleate e le persone sbandate alla ricerca di un rifugio tra i pericoli delle bombe o di finire in una retata nazi-fascista. O morire per un attentato partigiano. Era un'epoca, questa descritta dall'autore, in cui a Milano i corpi dei fucilati venivano esposti sui marciapiedi.
Ma la scena più drammatica si svolge nel cortile di San Vittore dove un ufficiale tedesco fa sbranare un malcapitato, che con la resistenza non aveva avuto nulla a che fare, reo di aver ucciso il fedelissimo cane dell'ufficiale tedesco.

Italo Calvino, nel 1947, pubblica da Einaudi, "IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO" la Resistenza vista dagli occhi di un adolescente, Pin, un bambino di dieci anni, orfano, con una sorella che fa la prostituta e che non disdegna accompagnarsi anche ai soldati tedeschi. Ad uno di questi, un marinaio, Pin ruba una pistola che lo porterà in carcere dove conosce Lupo Rosso, il mitico partigiano di sedici anni.
Riescono a fuggire e a raggiungere altri raggruppamenti di partigiani.
Pin fa amicizia con altri partigiani. E sempre alla spasmodica ricerca di un amico di cui sente il bisogno dopo essere stato abbandonato dai genitori in tenere età.
Ma dopo la cruenta battaglia, tra le forze partigiane e quelle nazi-fasciste, Pin va alla ricerca della sua pistola, che aveva nascosto nel sentiero dei nidi di ragno.
Numerosissimi gli autori che hanno con libri ben documentati, e ben scritti, raccontato quest'epoca che ha visto la violenza spadroneggiare e dettare legge.

Ma uno dei più prolifici autori che si sono occupati della Resistenza è stato Beppe Fenoglio con "Il partigiano Johnny", "Una questione privata", "Primavera di bellezza", "L'imboscata", "I ventitré giorni della città di Alba".
Poi arrivarono i libri di Primo Levi e disvelarono al mondo intero la barbarie dei campi di sterminio. Un titolo su tutti: "Se questo è un uomo".
E come dimenticare il campo di concentramento di Theresienstadt, dove accanto agli artisti più famosi, troviamo una fortissima "concentrazione di bambini".
Non so a voi. Ma a me addolorano le immagini di quei "bambini in gabbia" sul confine tra il Messico e gli USA, il cui presidente è stato l'ennesimo regista di questo dramma umano.
Elio Vittorini, che non fu solo scrittore, individua in questo periodo, una serie di scrittori e delle loro opere, Cesare Pavese, Pier Antonio Quarantotto Gambino, Giuseppe Dessì, Romano Bilenchi, Domenico Rea, Francesco Jovine e qualche altro, il "neorealismo narrativo", sul piano formale ad ovviare ad un tecnicismo letterario affinché sia possibile rendere "…i problemi degli affetti e dei rapporti tra gli uomini […accessibile a tutti gli uomini]".
E sono proprio quegli affetti e quei rapporti tra gli uomini che oggi soffrono in un palcoscenico mondiale che li vede deprivati da ogni e qualsiasi funzione umana. Anzi.

 

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