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Impugna licenziamento e trova altro lavoro, Cassazione: condotta non integra risoluzione per mutuo consenso

Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con Sentenza n. 22489 del 4 novembre 2016.
Il caso culminato nel pronunciamento del Giudice di legittimità aveva tratto origine dal licenziamento irrogato ad una lavoratrice che, nel corso della causa proposta per far valere l´illegittimità del provvedimento risolutorio del preesistente rapporto, era stata costretta, per sopperire alle esigenze primarie di vita sue e del figlio, a cercare un´altra occupazione.
Il Giudice di prime cure aveva dichiarato inefficace il licenziamento intimato alla donna, ordinandone la riammissione in servizio e condannando la società datrice di lavoro a pagarle le retribuzioni maturate.
Successivamente la Corte d´appello di Firenze, su ricorso del datore soccombente in prime cure, aveva riformato totalmente la sentenza di primo grado ravvisando un mutuo consenso delle parti, per fatti concludenti, alla risoluzione del rapporto, legato al fatto che nelle more del giudizio, nonostante l´impugnazione stragiudiziale del licenziamento, la lavoratrice licenziata avesse deliberatamente cercato, trovandola, altra occupazione.
La lavoratrice, ritenendo essere stati lesi i propri diritti, aveva così proposto ricorso in Cassazione.
La decisione della Suprema Corte
La Sezione ha accolto le doglianze articolate dalla lavoratrice, cassando la Sentenza impugnata.
I Giudici di Piazza Cavour, infatti, dando continuità al proprio orientamento ormai consolidatosi, hanno rilevato che il comportamento in esame da parte del lavoratore non è di per se sufficiente a far ritenere una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, quando, almeno, non sia accertata - sulla base di ulteriori e significative circostanze - una chiara e certa volontà comune di porre fine ad ogni rapporto lavorativo.
In altri termini, grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l´onere di provare le circostanze da cui ricavare la volontà chiara e certa delle parti di far cessare definitivamente il rapporto di lavoro, volontà che erroneamente era stata ravvisata, nel caso de quo, nella circostanza che la donna avesse trovato una nuova occupazione.
Per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o, comunque, a non proseguire il rapporto di lavoro, in buona sostanza - ha affermato la Suprema Corte - non è sufficiente il mero decorso del tempo fra il licenziamento (o la scadenza d´un termine illegittimamente apposto) e la relativa impugnazione giudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro (ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso), per cui, non costituiscono da soli significative circostanze l´avere il lavoratore, nelle more, percepito il TFR e/o cercato o trovato nuova occupazione.
I Giudici Supremi hanno quindi cassato con rinvio la Sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti.
Sentenza allegata






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