Una ordinanza rivoluzionaria, quella emessa dalla prima sezione penale del Tribunale di Milano, nella persona del giudice Guido Salvini.
Una ordinanza sicuramente garantista, e fondata per di più su un precedente recente reso dalla Suprema Corte di Cassazione, ma che, al tempo stesso, sempre che il principio di diritto da cui essa muove sarà fatto proprio dai giudici di merito, potrebbe determinare la fine di migliaia, probabilmente decine di migliaia, di processi in tutto il territorio nazionale.
Il problema ruota attorno alla interpretazione dell´articolo 159 del Codice di Procedura Penale
"Notificazioni all´imputato in caso di irreperibilità".
Come noto, esso dispone (per comodità e completezza, se ne trascrive il dispositivo) che:
"1. Se non è possibile eseguire le notificazioni nei modi previsti dall´articolo 157, l´autorità giudiziaria dispone nuove ricerche dell´imputato, particolarmente nel luogo di nascita, dell´ultima residenza anagrafica, dell´ultima dimora, in quello dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa e presso l´amministrazione carceraria centrale. Qualora le ricerche non diano esito positivo, l´autorità giudiziaria emette decreto di irreperibilità con il quale, dopo avere designato un difensore all´imputato che ne sia privo, ordina che la notificazione sia eseguita mediante consegna di copia al difensore.
2. Le notificazioni in tal modo eseguite sono valide a ogni effetto. L´irreperibile è rappresentato dal difensore".
La norma, di generalizzata applicazione, muove quindi da una sorta di fictio juris, la cui ratio è da sempre stata individuata in un ragionevole bilanciamento tra certezza del diritto, esigenza di celerità nello svolgimento dei procedimenti penali ed un minimo di garanzia per il soggetto irreperibile, che, dal momento in cui tale stato di irreperibilità viene certificata attraverso il provvedimento giudiziale, riceverà ogni comunicazione nella persona del difensore appositamente nominato d´ufficio.
Ma, come premesso, il giudice Guido Salvini, assegnato alla Prima sezione penale del Tribunale di Milano, ha aperto una breccia.
Il caso in questione riguardava un giovane straniero di nazionalità algerina sottoposto a procedimento penale in quanto trovato in possesso di banconote false.
Come di norma, sulla base della disposizione codicistica prima richiamata, la sua difesa era stata affidata ad un avvocato d´ufficio, che, non conoscendo il luogo in cui dimorava il proprio assistito, non aveva avuto alcun colloquio con lui. Ma, sulla base della norma, l´algerino riceveva abitualmente ogni comunicazione nello studio del Professionista, presso il quale risultava domiciliato.
Da qui, i dubbi del giudice, che, nella propria ordinanza, scrive:
"Vi è da chiedersi se da tale elezione di domicilio, del tutto formale se non fittizia, possa ricavarsi la prova della conoscenza da parte dell´imputato della celebrazione dell´udienza a suo carico".
Una affermazione evidentemente retorica, in quanto, trattandosi di fictio juris, risulta evidente che l´algerino, come ogni altro soggetto che, sottoposto a procedimento penale, venga a trovarsi nella medesima situazione, non avrebbe nè mai avrebbe potuto avere alcuna conoscenza di ogni atto che fosse a lui notificato, O comunque mai o quasi mai sarebbe possibile dimostrare tale conoscenza.
Quindi, continua il giudice, "quello che si celebrerebbe è un processo a un ´fantasma´". E poiché in uno Stato di diritto e garantista non possono essere celebrati processi fantasma, le udienze - questa la conclusione -devono necessariamente essere sospese ed il processo non può andare avanti, e potrà riprendere il proprio corso solo dal momento in cui - e se - la polizia giudiziaria individuerà la dimora dell´imputato e costui potrà essere regolarmente e pienamente informato della pendenza a proprio carico di un procedimento penale, e del suo stato.
Il Giudice, al pari degli altri che, negli ultimi anni e sulla base delle medesime considerazioni, erano approdati alla stessa conclusione, mette le mani avanti, perfettamente consapevole che non si tratta solo di decidere sul caso singolo, ma che le ragioni giuridiche alla base di quella sua ordinanza, potrebbero mettere a repentaglio migliaia di procedimenti pendenti. Si tratta, dice, di "situazioni identiche a quella ora esaminata (che, ndr) si presentano con molta frequenza in questo Tribunale".
Solo a Milano? Certamente no, in tutta Italia. Processi per reati certamente minori, ma anche di estrema pericolosità sociale, quali il furto e la ricettazione. Procedimenti penali, quelli in relazione ai quali si procede con il rito degli irreperibili, i cui autori sono in egual misura cittadini stranieri e cittadini italiani, probabilmente con una leggera prevalenza dei primi sui secondi. Ma si tratta di numeri elevati, considerato che si ritiene che equivalgono ad una percentuale tra il 10 e il 20% di tutti i procedimenti penali pendenti davanti ad un giudice monocratico.
Ma il pronunciamento del Tribunale di Milano non sembra affatto giuridicamente peregrino. L´ordinanza richiama, invece un pronunciamento recente della Corte Suprema di Cassazione, datato 24 gennaio 2017, secondo il quale l´elezione di domicilio presso il difensore d´ufficio di per sè non prova la conoscenza del processo. Un pronunciamento della Cassazione, ispirato ad una interpretazione garantistica che ha una radice comunitaria, facendo riferimento ad alcune sentenze della CEDU, peraltro risalenti a qualche anno fa, con le quali il giudice europeo ha ritenuto la contrarietà all´ordinamento comunitario, ed in particolare il contrasto rispetto all´articolo 6 della Convenzione, di quelle norme interne che, non richiedendo l´effettività della conoscenza del procedimento da parte dell´imputato, ma precostituendo una sorta di presunzione legale di conoscenza, rischiano di pregiudicare gravemente il diritto di ogni persona a conoscere la pendenza a proprio carico di un processo, così venendo a ledere radicalmente il proprio diritto ad una efficace difesa.
Insomma, una vera e propria grana, che rischia di mandare in soffitta, ancor prima dell´avvio della sua applicazione, il correttivo Orlando che dal prossimo 3 agosto permette agli Avvocati di rifiutare l´elezione di domicilio quando, considerate le circostanze dei singoli casi, essi non riterranno possibile sostenere con pienezza la difesa dei soggetti loro affidati.
La sospensione dei processi fino a quando non potrà essere comunicata all´imputato, previa l´individuazione della sua dimora, la pendenza del procedimento è lo stato del medesimo, risulta indubbiamente essere la scelta più garantista e più in linea con il diritto europeo. L´ordinanza del giudice ambrosiano è assolutamente ineccepibile, e non a caso la Camera Penale di Milano ha espresso il proprio compiacimento per tale orientamento. Eppure, al tempo stesso, il pronunciamento in questione rischia di risultare estremamente impopolare. Certamente, potrebbero determinarsi delle situazioni in cui migliaia e migliaia di reati possono rimanere impuniti, in quanto è lecito dubitare delle possibilità degli investigatori anche a fronte delle carenze di organico, di assegnare alla ricerca degli irreperibili quelle risorse anche umane che sarebbero necessarie.
L´ordinanza milanese, oltre che un problema giudiziario, che come tutti i problemi giudiziari, troverà una ottimale composizione nell´ambito del diritto, rischia di essere, o di diventare molto presto, un serio problema politico, con cui la politica dovrà fare seriamente i conti.