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Trattenuta TFR illegittima, quando a sbagliare è la P.A.

Dal 2011, tutti i dipendenti della Pubblica Amministrazione assunti dopo il 31 dicembre 2000 sono soggetti al trattamento di fine rapporto (TFR); esso è una porzione di retribuzione spettante al lavoratore subordinato al momento della cessazione del rapporto di lavoro, effettuata da parte del datore di lavoro.
Il Tfr, dunque, è una prestazione economica totalmente a carico del datore di lavoro, sia esso un privato o lo Stato; tuttavia, la Pubblica Amministrazione trattiene ogni mese sulla busta paga, a titolo di trattamento di fine rapporto (Tfr), una somma pari al 2,5% calcolata sull´80% della retribuzione.
Tale trattenuta non trova giustificazione nella legge in quanto essa dovrebbe essere posta a carico dello Stato-datore di lavoro e non a carico del lavoratore.
Si tratta di una trattenuta illegittima e irragionevole che comporta una riduzione della retribuzione del lavoratore ed è una palese discriminazione fra dipendente pubblico in regime di TFR e dipendente privato.
Nonostante tale principio sia stato ribadito negli anni sia dalla Corte Costituzionale che dalle pronunce dei tribunali regionali, ancora oggi non mancano casi in cui a pagare parte della quota del Tfr sia il lavoratore.
Proprio in virtù di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nel 2012 e nel 2014 nonché dalla giurisprudenza più recente, il lavoratore ha il diritto di chiedere ed ottenere, in via giudiziale, presso il Giudice del lavoro territorialmente competente, la restituzione di quanto trattenuto indebitamente dalla Pubblica Amministrazione.
Sul punto molte sono le pronunce dei tribunali di Roma, Milano e Salerno che hanno aderito a tale orientamento condannando le Pubbliche Amministrazioni convenute in giudizio a restituire le somme trattenute dalle buste paga dei loro dipendenti.
Pertanto, tutti i dipendenti pubblici assunti dopo il 31.12.2000 che si trovino in regime di Trattamento di fine rapporto possono convenire in giudizio chiedere la restituzione delle somme sottratte ingiustamente.
Avv. Rosaria Panariello
 
 
 
 
 
 

 

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