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Massimo Giannini è il direttore del Quotidiano torinese La Stampa. Che, suona già incredibile dirlo così, è stato denunciato insieme al suo giornale, dall'ambasciatore russo in Italia Sergey Razov, il quale si è recato, nientedimeno, alla Procura della Repubblica di Roma per chiedere la punizione dei Giornalisti de "La Stampa" per l'articolo del 22 marzo dal titolo "Se uccidere il tiranno è l'unica via d'uscita". Un articolo con cui l'Autore, Domenico Quirico, aveva ricostruito alcuni scenari, interni all'establishment russo, secondo cui alcuni gruppi non escluderebbero l'eliminazione politica e fisica di Putin come via risolutiva per ristabilire la pace.
Dopo la denuncia con "sfuriata" dell'ambasciatore, con siparietto finale davanti a numerosi giornalisti che lo ascoltavano a metà tra l'incredulo e il divertito, Massimo Giannini ha affidato ad un video la propria replica: "Solo nel mondo alla rovescia di 'santa madre Russia', quella che piace tanto a Putin, può accadere che un ambasciatore di un Paese che ha decretato la più sporca guerra contro una democrazia liberale come l'Ucraina possa intentare una causa contro un giornale responsabile solo di raccontare quello che sta succedendo in quel Paese" - ha cominciato Giannini - per poi continuare: "Razov ci ha attaccato per istigazione a delinquere, perché in uno splendido articolo, il forse più grande inviato di guerra in Italia, Domenico Quirico, raccontava una tesi ricorrente, che alberga addirittura in molte cancellerie, secondo la quale a questo punto della guerra forse la cosa migliore da fare sarebbe uccidere il tiranno. Nel suo articolo Quirico articolava la tesi, la descriveva in tutti i suoi aspetti e concludeva dicendo che chi questa tesi sostiene, si illude, perché se anche si potesse arrivare a uccidere il tiranno le cose poi peggiorerebbero ancora".
Infine, ha così concluso: "Questa è la Russia di oggi, guidata da un autocrate che sul suo territorio fa chiudere giornali, non possiamo dire che uccida, ma forse anche questo succede, uccide giornalisti contrari al regime, arriva ad imprigionare oligarchi o dissidenti invisi al regime, come Navalniy. Oggi non dobbiamo prendere lezioni da quel paese, una lezione che respingiamo con forza, perché siamo sereni su quello che facciamo e scriviamo, perché siamo un giornale libero, che cerca di raccontare i fatti ma che ha anche le sue tesi e le difende, le sue idee e le propugna".
Parole esemplari, che non abbisognano di alcun commento. Solidarietà al Collega e ai Giornalisti de "La Stampa".
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