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Si ha reato di maltrattamenti di animali anche quando si incide sulla sola sensibilità psico-fisica

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 I giudici della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con la recente sentenza del 4 aprile 2019 n. 14734, hanno affermato il principio secondo cui anche le condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell'animale, procurandogli dolore e afflizioni, integrano il reato previsto e punito dall'art. 727 del codice penale di abbandono e maltrattamento di animali

I Fatti

Il titolare di un'azienda agricola era stato condannato dal Tribunale di Cuneo alla pena dell'ammenda per il reato di cui all'art. 727 c.p. perché faceva trasportare 63 asini in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.

L'imputato avverso la sentenza di condanna proponeva ricorso per cassazione deducendo diversi motivi.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge e, segnatamente, la nullità del decreto penale di condanna per omessa allegazione della richiesta di emissione del decreto del Pubblico Ministero, che avrebbe determinato un vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 460, n. 1, lett. c) cod. proc. pen.

Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'articolo 420-ter cod. proc. pen., perché il Tribunale avrebbe omesso di concedere un rinvio per legittimo impedimento dell'imputato, legittimamente comunicato.

Con un terzo motivo di ricorso si denunciava la violazione e dell'errata applicazione dell'art. 727 cod. pen., osservando che, per una serie di ragioni, gli animali si trovavano in buone condizioni di salute e che il giudice del merito non avrebbe dimostrato la presenza del requisito

della sofferenza negli animali.

Con un quarto motivo di ricorso deduce la violazione dell'art. 131-bis cod. pen., lamentando che per le modalità della condotta si sarebbe dovuto ritenere sussistente la causa di non punibilità

 Motivazione

I giudici della Terza Sezione hanno ritenuto inammissibile il ricorso proposto.

I primi due morivi del ricorso sono stati dichiarati del tutto infondati per i motivi indicati nella motivazione che vi invitiamo a valutare nell'allegata sentenza.

Per quel che interessa in questa sede ci soffermeremo a valutare gli argomenti utilizzati dai giudici di legittimità a fondamento del rigetto del terzo motivo del ricorso.

Innanzitutto i giudici della terza sezione penale hanno richiamato il principio più volte affermato che la detenzione impropria di animali, produttiva di gravi sofferenze, va considerata, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), attingendo al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali (Sez. 3, n. 37859 del 4/6/2014, Rainoldi e altro, Rv. 260184; Sez. 3, n. 6829 del 17/12/2014 (dep. 2015), Garnero, Rv. 262529) specificando che "assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell'animale, procurandogli dolore e afflizione (Sez. 7, n. 46560 del 10/7/2015, Francescangeli e altro, Rv. 265267),".

Pertanto tali sofferenze si verificano negli animali tutte le volte ad esempio, in cui ci sia stato la privazione di cibo, acqua e luce (Sez. 6, n. 17677 del 22/3/2016, Borghesi, Rv. 267313) o durante il trasporto di animali stipati in spazi angusti di piccole dimensioni e privo d'aria (Sez. 5, n. 15471 del 19/1/2018, PG. in proc. Galati e altro, Rv. 272851).

Nel caso di specie gli asini erano stati trovati con le unghia eccessivamente lunghe tali da non consentirgli un'agevole deambulazione.

Il Collegio ha ritenuto la condizione in cui erano tenuti gli asini incompatibile con la loro natura e produttiva di gravi sofferenze, in quanto non consentiva loro di potere stare all'impiedi e di deambulare regolarmente, costringendoli ad assumere posizioni innaturali.

La accertata tenuta degli animali non solo ha concretizzato una condizione innaturale ma ha prodotto gravi sofferenze negli animali. Per sofferenze-affermano i giudici di legittimità- devono intendersi non solo quelle condizioni che possono determinare un vero e proprio processo patologico, bensì anche i meri patimenti (come già ritenuto, con riferimento alla precedente formulazione della disposizione in esame, dalla risalente Sez. 3, n. 1215 del 21/12/1998 (dep. 1999), Crispolti p Rv. 212833, nonché, con riferimento all'attuale configurazione, da Sez. 3„ n. 175 del 13/11/2007 (dep. 2008), Mollaian, Rv. 238602). 

 Pertanto secondo i giudici della Cassazione " anche la detenzione di un animale in condizioni tali da costringerlo ad un portamento innaturale, tale da impedire o rendere difficoltosa la deambulazione o dal mantenere una posizione eretta e stabile, integra la violazione dell'art. 727 cod. pen. "

In altre parole con il principio più volte ribadito dai giudici di legittimità che tende a prendere in considerazione anche il requisito della sofferenza psichica, gli animalisi considerano oramai come esseri viventi suscettibili di tutela diretta e non mediata quali oggetto del sentimento degli esseri umani nutrito verso di loro

La sentenza impugnata pertanto è stata ritenuta immune da censure ed è stata confermata in toto anche per la dichiarata inammissibilità del quarto motivo del ricorso che non era stato proposto avanti al giudice di merito e che per la prima volta veniva proposto avanti al giudice di legittimità.

Si allega sentenza

 

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