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Sessant’anni fa se ne andava Adriano Olivetti Un’ipotesi di futuro per una ripartenza

rizzo

Oggi siamo tutti in preda a voler conoscere cosa potrà accaderci tra un istante, un giorno, una settima, un mese. E chissà quando …!

Restiamo incollati, davanti ai televisori, da mane a sera, nella speranza di sentirci dire che questa peste del Terzo millennio si avvia verso la fine. Anche se, visto la complessità di questo virus, difficilmente ci sarà una "fine definitiva"; ma conviene attrezzarci ad una forma di "convivenza" forzata.

Dipendiamo da "tuttologi" che puntualmente ci invadono da maree di parole che servono più a confonderci le idee che non a rasserenarci.

Ogni tanto leggiamo, chi legge, qualche bella intervista che, almeno, ci ricorda da dove poter cominciare, quando la vedremo, " La luce in fondo al tunnel", refrain di ogni intervistatore.

Ha un'origine questo virus? Alessandro Barbero , storico, medievista, scrittore e accademico italiano, specializzato in storia del Medioevo e in storia militare, ha rilasciato un'intervista a Mario Calabrese, newsletter #altrestorie, che si può leggere integralmente sul sito www.mariocalabresi.com. : "Le comunità medievali non avevano cure e allora si organizzarono per provare a reagire e a difendersi. Avevano capito subito che la malattia era contagiosa e cominciarono ad adottare quei comportamenti che noi stiamo ripetendo oggi: far sapere subito cosa stesse accadendo; isolare i malati; chiudere le aree del contagio; non fare i funerali. La quarantena venne inventata dopo la prima grande peste del 1348. Tutti questi protocolli sono arrivati identici fino a noi, come fossero depositati nella nostra memoria e nelle nostre coscienze".

Ieri come oggi.

E domani?

Ce lo spiega Bruno Segre, classe 1930, ricercatore e operatore culturale, laurea all'Università di Milano con Antonio Banfi in filosofia e un curriculum di grandissimo rispetto. Nella sua lunga vita ha avuto moltissime, e nobilissime, esperienze di lavoro e tra queste, ancora giovanissimo, si è occupato, nell'ambito del Movimento Comunità fondato da Adriano Olivetti (1901 – 1960) nel 1946 a guerra finita, di sociologia della cooperazione ed educazione degli adulti.

Nel 2015 Bruno Segre, come una sorta di ringraziamento, ci regala un bellissimo libro, "Adriano Olivetti,"Un Umanesimo dei tempi moderni. Impegni, proposte e progetti per un mondo più umano, più civile, più giusto", Imprimatur edizioni,Reggio Emilia 2015. Nella foto di copertina del libro Segre è a sinistra. 

Ora, che sono passati sessant'anni dalla scomparsa di Olivetti, Segre mette mano alla bio - bibliografia, ai saggi, ai discorsi, agli interventi pubblici, alle realizzazioni di un'esperienza unica nel panorama industriale, culturale, di grande umanità. E lo fa con il rigore del ricercatore, con l'affetto che, in quell'epoca gli ha testimoniato il suo mentore.

Scrive Segre di Olivetti: "Ricercatore instancabile, con lo sguardo proteso sempre avanti, credeva fermamente in una funzione attiva della cultura nell'industria e, insieme, nel progetto sociale di una Comunità di cui l'industria fosse momento propulsore. Nella sua breve esistenza riunì intorno a sé un'intera generazione di intellettuali di cui seppe essere il geniale regista. Intellettuale egli stesso, anche se fuori da ogni schema, pioniere nel campo dell'urbanistica, editore, filosofo della politica, creatore dello 'Stile Olivetti', riuscì a lasciare un'eredità doviziosa: il magistero di un umanesimo dei tempi moderni".

Il padre Camillo, ingegnere eclettico e geniale inventore, nel 1908 fondò a Ivrea la prima fabbrica italiana di macchine per scrivere.

Tra il 1925 e il 1926 manda il figlio Adriano negli Stati Uniti d'America, dove si arricchì in esperienza studiando le tecniche dell'organizzazione del lavoro nell'industria americana, ma soprattutto lo impressiona il rapporto che esiste tra operai e datori di lavoro.

Nel 1932 Adriano Olivetti diventa direttore dell'Azienda e nel 1938 presidente.

A questo punto la Olivetti coinvolge maggiormente gli operai in una forma di marcata consultazione nei problemi della fabbrica.

"Furono a poco a poco perfezionati le istituzioni di assistenza. Nel 1934 si sviluppò l'assistenza medica di fabbrica, nel 1935 iniziò nella sua forma primitiva. Ma già sufficiente, l'asilo, nel 1936 sorgeva il Centro formazione Meccanici per dare a poco a poco vita a un complesso sistema atto ad assicurare ai vostri figli il più grande beneficio che dà la ricchezza: la certezza di un'istruzione conforme al proprio talento e al proprio merito". 

Dopo organizzò la mensa aziendale e l'Assistenza Lavoratrici Olivetti, che potevano rimanere a casa, con un congedo pagato, per accudire il proprio bambino: "Specialmente in questa forma di solidarietà verso la più alta espressione e il più alto sacrificio dell'umanità che è la funzione materna, noi esprimiamo col nostro istituto la nostra intera solidarietà, affinché nessuna madre, e qui diremo meglio nessuna operaia che sia madre, possa vedere con invidia e con dolore quelle madri che hanno la gioia di tenere in una casa i primi mesi di vita del loro bambino".

Nel 1956 l'Olivetti ridusse l'orario di lavoro da 48 a 45 ore settimanali, senza decurtazione di salario, con i sabati liberi e con tre settimane di ferie estive pagate.

Prestiti per l'acquisto della casa venivano accordati ai lavoratori senza interessi e a Ivrea sorse un intero villaggio di case di operai e impiegati.

Una vera e propria Comunità.

Olivetti tentò di esportare questo modello anche nel Meridione d'Italia con una serie di interventi che videro nella costruzione dello stabilimento di Pozzuoli una grande speranza per il Meridione. "Uno stabilimento la cui 'prima pietra' viene posta nel 1951 e che, inaugurato il 23 aprile del 1955, sarà per molti anni un simbolo di efficienza. L'insediamento di questa fabbrica – il primo impianto industriale che nel secondo dopoguerra una grande industria meccanica del Nord abbia ritenuto di far nascere nel Mezzogiorno – mira come fattore di propulsione di una nuova dinamica dello sviluppo, in grado di abbattere la arretratezza e il ristagno dell'Italia meridionale, riproponendo nel suo tessuto socio-economico il medesimo approccio gestionale e gli stessi rapporti uomo - fabbrica già sperimentati a Ivrea".

L'esperimento di Adriano Olivetti, un industriale che va ad investire nel Meridione è stato il primo.Ma ne seguirono altri. E tutti fecero la stessa fine, perché il modello gestionale era diametralmente opposto a quello in auge nel Meridione. Allora come oggi.

Olivetti, capì quasi subito, come andavano le cose nel Meridione.

Infatti all'inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli constatò che "… nel giorno del taglio del nastro, forse a causa del fatto che l'azienda ha sistematicamente cestinato le quarantamila lettere di raccomandazione indirizzate, le autorità invitate si dichiararono per gran parte impegnate in improrogabili impegni istituzionali".

Adriano Olivetti muore il 27 febbraio 1960, con un infarto in treno che lo stava portando a Losanna.

Dopo qualche anno, con vari pretesti l'impresa viene "commissariata" e fu, di fatto, "normalizzata".

Ma nei suoi libri, e sono tanti, ci sono tutti gli elementi per la costruzione di quella "Città dell'Uomo", solidale e comunitaria alla quale hanno sempre pensato i grandi Uomini.

 

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