"A fine mese, quando ricevo lo stipendio, faccio l´esame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato". Così scriveva Paolo Borsellino. Ed il suo amico Giovanni: "Credo che ognuno di noi debba essere giudicato per ciò che ha fatto. Contano le azioni non le parole. Se dovessimo dar credito ai discorsi, saremmo tutti bravi e irreprensibili."
Un´ultima, indiretta, citazione la traiamo dal bellissimo film "Il giudice ragazzino", del 1994, di Alessandro Di Robilant. Prima dei titoli di coda la voce fuori campo di Giulio Scarpati, il protagonista della pellicola, recita uno stralcio dell´idea di Livatino sul "Giudice nella società", esposta in una relazione: «Il Giudice deve offrire di sé stesso l´immagine di una persona seria, equilibrata, responsabile; l´immagine di un uomo capace di condannare ma anche di capire; solo così egli potrà essere accettato dalla società: questo e solo questo è il Giudice di ogni tempo. Se egli rimarrà sempre libero ed indipendente si mostrerà degno della sua funzione, se si manterrà integro ed imparziale non tradirà mai il suo mandato».
Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Rosario Livatino. Tre grandi, tre martiri che, insieme a tanti altri, altrettanto noti e meno noti, hanno testimoniato, sacrificando quasi sempre i propri affetti ed alcune volte anche la vita, l´alto Ministero della magistratura. Ci hanno insegnato che cosa significa essere e fare i giudici.
In questi giorni, gli organi di informazione ci hanno raccontato di vicende squallide. Di Magistrati in Ferrari e magliette da teenagers e chiome impomatate che sarebbero stati esperti più che nel celebrare processi, nel ricattare sessualmente giovani studentesse non tutte, a quanto pare, dai saldi principi.
Di Magistrati sensali, che avrebbero coperto i primi. Di Magistrati che, insieme ad Avvocati, si sarebbero messi d´accordo per comprarsi case e Ville al termine di procedure di esecuzione drogate. Di Magistrati che avrebbero falsato processi e aggiustato sentenze, dietro laute tangenti. Potremmo continuare.
Tutti costoro saranno giudicati e, se non riusciranno a dimostrare la propria estraneità, è bene che siano espulsi per sempre dalla Magistratura e condannati ad una pena esemplare. Interesse della Giustizia è che non ci siano sconti, che essi siano trattati con una adeguata severità per il giuramento disatteso.
Ma nessuno tocchi la Magistratura in quanto tale, che in un paese democratico, oltre che ordine dello Stato, è stata e rimane il primo presidio di legalità. Ci siano maggiori controlli e maggiore rigore, ed anche un serio esame di coscienza sugli errori che sono stati compiuti, ma non si indulga alla generalizzazione, alla colpevolizzazione indiscriminata di una categoria che ha offerto allo Stato migliaia e migliaia di Magistrati seri che hanno per l´intero corso delle proprie vite portato sulle spalle la Toga con esemplare dignità.
Noi, più che guardare alle pecore nere, che non ci sono soltanto tra le file della Magistratura, ma anche della politica, delle libere professioni, della burocrazia e di ogni altro mondo, preferiamo guardare a loro: a Paolo, Giovanni, Rosario, e a quelli come loro. Quelli che hanno combattuto fino all´estremo, mafiosi, corrotti, massoni e criminali. Che hanno rifiutato di intrattenersi nei salotti buoni, che non hanno accettato prebende inopportune per incrementare il proprio più che degno stipendio. Che non hanno mai utilizzato il proprio potere per garantire scorciatoie carrieristiche ad amici e familiari, o per procurarsi intrattenimenti galanti.
Essi, sono e rimarranno i nostri riferimenti.
Avv. Piero Gurrieri