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Sentenza divorzio, intervista a Bernardini de Pace: «È la vera parità, alle mie clienti io dico di lavorare»

di Elvira Serra
Annamaria Bernardini de Pace, matrimonialista temutissima dai mariti. Cosa pensa della sentenza della Cassazione che cancella il parametro del «tenore di vita» nella definizione dell´assegno?
«Ne penso benissimo».
Non ci credo.
«E invece sì, perché quando nel 1975 fu decretato il principio dell´uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, veniva affermata la dignità delle donne. Ma la dignità sta nell´autoresponsabilità e nell´autonomia economica».
C´è da dire che lei ha aiutato tante donne ad avere lauti assegni di mantenimento.
«Se è per questo l´interpretazione giurisprudenziale del tenore di vita è stata introdotta anche grazie a me, che ho rotto le scatole a tutti i giudici. Se la Cassazione lo consentiva, perché non dovevo far avere il massimo alle mie clienti?».
Allora non capisco perché è contenta adesso.
«Quando mi sono sposata avevo 22 anni e mio marito dieci di più. Era il mio professore all´università e pose come condizione che abbandonassi gli studi. Per i miei sfizi personali non presi mai soldi da lui: davo ripetizioni di francese, vendevo i vestiti di Edy Campagnoli, cose così. Poi quando ho capito che non lo amavo più, mi sono rimessa a studiare e ho dato 18 esami in due anni. Ho cominciato a fare questo mestiere a 35 anni, ho mantenuto io le mie figlie e ho messo la mia grinta a disposizione delle altre».
Sono sempre più confusa.
«Con la sentenza di oggi (ieri, ndr) le donne finalmente impareranno a difendere il loro diritto alla dignità, all´autonomia e al lavoro. Adesso dovranno alzarsi anche i mariti, quando di notte i figli piangono. Se vogliono che la moglie non lavori, lei dovrà pretendere la comunione dei beni».
La fa facile.
«Ho sempre detto patti chiari, intendo prematrimoniali, e vita lunga al matrimonio: perché se sai come va a finire è più facile farlo durare».
Pensa che se la Cassazione si fosse espressa così dieci, venti, venticinque anni fa, avrebbe vinto le sue cause?
«Non credo che ne avrei persa qualcuna, non comincio nemmeno se penso di perdere. E comunque avrei trovato lo stesso il modo di difendere le vittime, come lo troverò».
 
Ha già qualche idea?
«Sì, ma non gliela posso dire. Altrimenti darei un vantaggio ai miei avversari».
Cosa direbbe oggi a una sua cliente?
«Quello che ho sempre detto: di trovarsi un lavoro. Molte mi hanno dato retta».
E se non lo trovano?
«Di conservare la documentazione che lo dimostra. Perché si decide caso per caso, ma sposarsi non va inteso come una assicurazione sulla vita».
Finalmente, forse.
«La libertà vale qualsiasi prezzo. Mi creda: un assegno che ti piove in testa è comunque un legame che ha una parte dolorosa, perché qualsiasi cifra, per una ex moglie, è meno di quanto pensa di meritare. E questo fa sempre male».
pubblicato su Corriere.it 11.5.2017

 

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