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Tutte le agenzie hanno battuto i comunicati, domani titoloni in prima pagina. I Familiari delle vittime della strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980 - stanno dicendo e diranno - hanno avuto giustizia. Con sentenza depositata al termine del nuovo processo sui mandanti, la Corte di Assise di Bologna ha infatti condannato all'ergastolo l'esponente di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini e a 6 e 4 anni di carcere Piergiorgio Segatel e Domenico Catracchia.
Abbiamo, al contrario, il dovere di chiederci se questa è Giustizia, o un suo surrogato. Se è Giustizia esser costretti ad attendere 42 anni - tanti ne sono trascorsi da una tra le stragi più efferate della storia della Repubblica - prima di poter vedere i mandanti e gli esecutori materiali processati e puniti. Se sentenze così colpevolmente fuori tempo siano balsamo o strazio per chi dopo aver perso un figlio, un fratello, un genitore, un congiunto, è stato costretto dallo Stato ad un calvario senza fine. Sempre ammesso che vi sia sopravvissuto.
No, davvero non c'è molto da rallegrarsi per questa sentenza, neppure definitiva. Ci saranno altri gradi di giudizio, passerà ancora altro tempo per il completamento di questo mosaico dell'orrore, che fin qui non è andato oltre la condanna per Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, gli unici due ergastoli comminati in via definitiva. Perchè tutto il resto - dai 30 anni per Luigi Ciavardini, all'ergastolo per Gilberto Cavallini e, adesso, Bellini, è tutto in aria. Aleatorio, come questo processo sospeso nel tempo, per cui sembra non potersi mai scrivere la parola fine. Perfetto corollario di una vicenda tragica, l'accertamento della cui verità è stato occultato da cortine fumogene, silenzi e complicità ad ogni livello.
I Familiari delle vittime innocenti di quella strage, quelli rimasti vivi, non sorrideranno, e neppure gli onesti di questo paese. Rifletteranno, semmai, sulle parole scritte solennemente alle spalle del pretorio dei tribunali e proprio davanti al pubblico: "La legge è uguale per tutti" e "La Giustizia è amministrata in nome del popolo". Chiedendosi, come in un momento di scoramento arrivò a chiedersi tanti anni fa perfino Piero Calamandrei, se dobbiamo ancora crederci, oppure umilmente ripartire da qui. A capo chino e chiedendo pure scusa.
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