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Se le ferie vengono prese prima che si superi il periodo di comporto, il licenziamento è illegittimo.

Malattia-lavoro

​Con l'ordinanza n. 582 dell'8 gennaio 2024 la sezione lavoro della Corte di Cassazione, nel confermare la sentenza che aveva escluso che il lavoratore fosse rimasto assente dal servizio per un numero di giorni superiore a quello previsto dal contratto collettivo per la conservazione del posto di lavoro, ha affermato che al lavoratore assente per malattia spetta la possibilità di mutare il titolo dell'assenza con la richiesta di fruizione delle ferie già maturate, allo scopo di sospendere il decorso del comporto, precisando, altresì, che tale facoltà è immediata derivazione del generale principio di conversione delle cause di assenza dal lavoro - e cioè della possibilità di mutamento del titolo dell'assenza stessa – introdotto nell'ordinamento giuridico per effetto della sentenza n. 616 del 1987 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2109 c.c., nella parte in cui non prevede che la malattia insorta durante il periodo feriale ne sospenda il decorso.

Il caso.

La Corte d'appello confermava la sentenza di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore per superamento del periodo di comporto, ciò sul rilievo che erano stati erroneamente computati cinque giorni di assenza erano, invece, riferibili a ferie.

Secondo la Corte Territoriale la condotta datoriale, che dopo due anni aveva imputato a malattia i giorni di ferie, sarebbe stata contraria a buona fede e correttezza, rilevandogiudicanti che alla scadenza dell'ultimo periodo di malattia il lavoratore aveva chiesto ed ottenuto cinque giorni di ferie, che erano scaduti in prossimità della chiusura aziendale per la pausa estiva, ritenendo, quindi, che il lavoratore, che aveva chiesto di poter beneficiare delle ferie dopo la scadenza della malattia, non dovesse precisare la sua intenzione di interrompere il decorso del comporto.

Per la cassazione della sentenza proponeva ricorso la società datrice, sostenendo, in primis, che nel caso in cui tra la fine di una malattia e l'inizio di un'altra vi siano dei giorni festivi o comunque non lavorati si debba presumere che la malattia sia continuativa, ed in secondo luogo negando che nel caso di specie vi fosse stata, da parte di essa datrice, la violazione dei doveri di correttezza e buona fede.

La decisione della Cassazione.

Anzitutto i giudicanti della Suprema Corte hanno ricordato che la sentenza n. 616 del 1987, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2109 cod. civ., nella parte in cui non prevede che la malattia insorta durante il periodo feriale ne sospenda il decorso, è stato introdotto nell'ordinamento giuridico il principio di conversione delle cause di assenza dal lavoro e cioè della possibilità di mutamento del titolo dell'assenza stessa, ancorché in corso, in altro che presupponga una diversa giustificazione. 

Tale principio, hanno proseguito i decidenti, in difetto di una disciplina legislativa di dettaglio, opera in tutte le sue implicazioni e con riferimento ai reciproci rapporti fra tutte le varie ipotesi di sospensione dell'obbligo lavorativo, con la conseguenza che anche il periodo di comporto, ai fini dell'art. 2110 cod. civ., diviene suscettibile di interruzione per effetto della richiesta del dipendente di godere del periodo feriale, che il datore di lavoro deve concedere anche in costanza di malattia del dipendente stesso.

In ossequio a tale generale principio, dunque, prosegue la sentenza, deve ritenersi che al lavoratore assente per malattia sia consentito di mutare il titolo dell'assenza con la richiesta di fruizione delle ferie già maturate al fine di sospendere il decorso del periodo di comporto.

Tale facoltà, non è incondizionata e, tuttavia, il datore di lavoro, di fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell'assenza per malattie in ferie, e nell'esercitare il potere, conferitogli dalla legge (art. 2109, secondo comma, cod. civ.), di stabilire la collocazione temporale delle ferie nell'ambito annuale armonizzando le esigenze dell'impresa con gli interessi del lavoratore, è tenuto ad una considerazione e ad una valutazione adeguate alla posizione del lavoratore in quanto esposto, appunto, alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto.

Simile obbligo viene meno, prosegue la sentenza, solo allorquando il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto e, in particolare, quando le parti sociali abbiano convenuto e previsto, a tal fine, il collocamento in aspettativa, pur non retribuita.

Infine, conclude la Cassazione, ove una richiesta di ferie sia stata avanzata e, sia pure parzialmente, accolta prima del superamento del periodo di comporto, la dedotta successiva rinuncia alla fruizione delle ferie nel periodo indicato dal datore di lavoro deve essere provata in maniera chiara e inequivoca, attesa la garanzia costituzionale del diritto alle ferie e il rilevante e fondamentale interesse del lavoratore a evitare, con la fruizione delle stesse o di riposi compensativi già maturati, la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto, con la ulteriore conseguenza della perdita definitiva della possibilità di godere delle ferie maturate.

 

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