In caso di successione di una serie di contratti a termine senza sostanziale soluzione di continuità tra un docente e il M.I.U.R., il docente stesso non può pretendere la il riconoscimento giudiziale della illegittimità della apposizione del termine, e quindi la trasformazione del rapporto da contratto a tempo determinato a contratto a tempo indeterminato, tanto più a seguito della recente sentenza della Corte Costituzionale, ma il Ministero va tuttavia condannato al pagamento in favore dei soggetti lesi delle differenze retributive tra quanto percepito in forza dei contratti a termine intercorsi e quanto avrebbero dovuto percepire con il riconoscimento dell´anzianità di servizio maturata in base ai periodi effettivamente lavorati nei limiti della prescrizione quinquennale, con esclusione degli scatti di cui all´art. 53 della legge n. 312/1980.
Lo ha stabilito il Tribunale di Mantova, con Sentenza n. 147/2016 pubblicata il 6/10/2016.
La questione
Con ricorso proposto innanzi al Tribunale di Mantova, un gruppo di docenti premetteva di aver stipulato con il M.I.U.R. una serie di contratti di lavoro a tempo determinato, successivi l´uno agli altri.
I docenti ricorrenti, pur coscienti del divieto della conversione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato, lamentavano che tale divieto si ponesse in aperto contrasto sia con il principio di effettività del diritto comunitario, sia con le finalità proprie dell´accordo quadro sui contratti a tempo determinato concluso nel 1999 tra le organizzazioni intercategoriali, e che una differenziazione di trattamento fondata sulla natura (privata o pubblica) del datore di lavoro non potesse essere considerata ammissibile, e quindi giustificabile, se non in presenza di giustificazioni oggettive, che nella specie non ricorrevano.
Pertanto, richiamata la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, chiedevano al giudice di dichiarare illegittime o nulle le clausole con cui era stato previsto un termine ai detti contratti da essi stipulati e la conversione a tempo indeterminato del rapporto, il risarcimento dei danni subiti, e la ricostruzione giuridica ed economica della propria posizione.
La decisione del Tribunale
Il giudice monocratico ha richiamato, preliminarmente, la sentenza della Corte Cost. n. 187/16, e, in base ai principi in essa iscritti, ha accolto solo parzialmente il ricorso.
La Consulta, con la citata pronuncia, ha rilevato il giudice, ha sostenuto che il piano straordinario di assunzioni indetto dalla legge n. 107/2015 ("Buona scuola"), lo scorrimento delle graduatorie e i concorsi riservati costituissero una misura riparatoria adeguata a beneficio dei docenti per il danno da essi subito dalla reiterazione illimitata dei contratti a tempo determinato.
Pertanto, in ordine al capo di domanda con cui i ricorrenti avevano chiesto la dichiarazione della illegittimità della apposizione del termine e la trasformazione dei rapporti a tempo indeterminato, il Tribunale si è pronunciato negativamente, richiamando anche alcune recentissime pronunce dei giudizi di merito di I e II grado.
Il ricorso è stato invece giudicato fondato, e pertanto accolto, in relazione all´ultimo capo di domanda, riguardante il riconoscimento, richiesto dai ricorrenti, della medesima progressione stipendiale spettante ai docenti di ruolo.
Dalla documentazione esibita in giudizio dai ricorrenti, ha premesso il giudice, era stato dimostrato che tra gli stessi e il Ministero erano intercorsi numerosi contratti di lavoro a termine, senza sostanziale soluzione di continuità e di durata annuale o comunque tale da coprire pressoché integralmente ciascun anno scolastico, così come era stata data piena prova che, per tutto il periodo coperto dai vari contratti a termine, essi avevano percepito il trattamento economico iniziale previsto per il personale di ruolo corrispondente alla qualifica, senza beneficiare della progressione economica riconosciuta dalla contrattazione collettiva per il personale di ruolo.
In pratica, quindi, i docenti erano sempre stati retribuiti con lo stipendio di prima fascia, equivalente a quello previsto per il personale scolastico con anzianità inferiore ai due anni.
Mentre, quindi, il carattere speciale del sistema di reclutamento del personale della scuola poteva giustificare, ai sensi e secondo i principi sposati dalla Corte Costituzionale, la legittimità del termine apposto ai contratti, tale specialità non poteva affatto impedire l´accertamento di un trattamento discriminatorio nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, alla stessa stregua dei criteri normalmente utilizzati nel campo dell´impiego privato. Infatti, da un lato non sussiste "alcuna
incompatibilità sussiste tra il complesso normativo in tema di supplenze e l´art.6 del D.Lgs. 368/01", e dall´altro "il principio di non discriminazione è sancito dall´art. 4 della
Direttiva 1999/70/CE e costituisce, accanto al principio della tutela giurisdizionale effettiva
derivante da norme dell´Unione un principio generale del diritto dell´Unione".
Il giudice, esaminando quindi la censura riguardante la pretesa violazione del divieto di discriminazione, ha rilevato come l´art. 6 prima citato stabilisse che al lavoratore assunto con contratto a tempo determinato spetta "ogni altro trattamento in atto" per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello, in proporzione al periodo lavorativo prestato, e non obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine; e come la clausola 4 punto 1 dell´accordo disponesse che, riguardo le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non potessero essere trattati in
modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili "per il solo fatto
di avere un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non
sussistano ragioni oggettive", principio confermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Orbene, le ragioni oggettive che ai sensi dell´art.4 punto 1 della direttiva clausola avrebbero potuto giustificare la differenza di trattamento, avrebbero potuto essere desunte unicamente dalla "sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego in questione, in base a criteri oggettivi e trasparenti, in modo da verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l´obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria".
Non certo, quindi, con l´essere un dipendente a tempo determinato, di ruolo o meno e assunto o
meno con concorso, circostanze, ha ribadito il giudice, che non avrebbero mai potuto essere utilizzate per negare la progressione retributiva in funzione dell´anzianità maturata (Corte di Giustizia 22 dicembre 2010, cit. punto 43)
In conclusione, per tutte le considerazioni che precedono, il M.I.U.R. è stato condannato al pagamento in favore dei ricorrenti delle differenze retributive tra quanto percepito in forza dei contratti a termine intercorsi e quanto avrebbero dovuto percepire con il riconoscimento dell´anzianità di servizio maturata in base ai periodi effettivamente lavorati nei limiti della prescrizione quinquennale.
Con la sentenza in commento, il giudice ha anche precisato che, essendo stati azionati crediti di natura retributiva, il loro termine di prescrizione è quinquennale, decorrente dalla data di deposito del ricorso.
Rigettate quindi le domande relative alla illegittimità del termine apposto ai contratti impugnati, il Ministero è stato condannato al pagamento in favore delle parti ricorrenti delle differenze retributive tra quanto percepito in forza dei contratti a termine intercorsi e quanto avrebbero dovuto
percepire con il riconoscimento dell´anzianità di servizio maturata in base ai periodi
effettivamente lavorati nei limiti della prescrizione quinquennale, con esclusione degli scatti di cui all´art. 53 della legge n. 312/1980, oltre interessi legali.
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